pellirosse

Popolazioni dell’America settentrionale, di origine presumibilmente asiatica, che abitavano nel territorio prima dell’arrivo degli europei (1492) in un numero allora valutabile tra il milione e mezzo e i due milioni di individui. Il nome pellirosse venne loro dato per l’abitudine di dipingersi con sostanze rossastre; mentre quello di indiani è da farsi risalire alla convinzione di Colombo di aver incontrato al suo sbarco gli abitanti delle Indie orientali. I pellirosse erano divisi in molteplici tribù e traevano i mezzi di sostentamento prevalentemente dalla caccia, dalla pesca e dal mais. La loro religione aveva un carattere fondamentalmente animistico e si basava sulla credenza nell’esistenza di un grande spirito creatore e regolatore. Elaborati erano i loro rituali, che si manifestavano nell’abbigliamento, nella musica, nelle relazioni sociali. Il dominio dell’uomo sulla donna, in cui si rifletteva pienamente la divisione del lavoro, era incontrastato e nelle tribù vigeva la poligamia. In campo sociale ed economico l’impronta comunitaria era dominante. Dagli europei i pellirosse ricevettero il cavallo, che in America si diffuse con straordinaria rapidità e divenne per essi strumento essenziale di trasporto, di caccia e di guerra. La conquista europea mise in contatto i pellirosse con la civiltà introdotta nell’America del nord da spagnoli, inglesi e francesi, dando inizio a una serie di lotte che videro le tribù indiane trascinate come alleate e nemiche negli scontri tra le potenze europee sul suolo nordamericano. Se non che, considerato nel suo complesso, l’incontro dei pellirosse con gli europei assunse il carattere di uno scontro tra modi di vita incompatibili che ebbe quale esito finale la decimazione e l’emarginazione dei primi a opera dei secondi. Durante il XVII e il XVIII secolo si ebbero una serie di conflitti tra gli indiani da una parte e spagnoli, francesi e inglesi dall’altra. Ma fu a partire dalla costituzione degli Stati Uniti che tali conflitti si inasprirono dando luogo all’epoca delle “guerre indiane”. In questa seconda fase le guerre andarono assumendo un carattere in molti casi di sterminio nel quadro di uno sforzo crescente di cancellazione del modo di vita indiano a favore della colonizzazione bianca. Nel 1794 gli indiani furono gravemente battuti nella battaglia di Fallen Timbers; nel 1811 in quella di Tippecanoe. Un implacabile nemico degli indiani fu il generale e futuro presidente A. Jackson, il quale sconfisse i creek nel 1814 e iniziò vaste operazioni contro i seminole. La politica perseguita ufficialmente tra il 1815 e il 1860 dal governo statunitense di respingere le tribù indiane oltre il Mississippi e di concentrarle nelle riserve raggiunse i suoi obiettivi di fondo, ma non senza aspre resistenze specie da parte dei seminole, dei fox e dei sac. Il piano delle autorità era quello di mettere in atto una politica di integrazione degli indiani che ne cancellasse l’identità. In epoca successiva la lotta, che ebbe il suo periodo culminante tra il 1869 e il 1878 sotto l’inarrestabile impulso dell’espansione bianca, venne condotta soprattutto nelle Grandi Pianure in prima fila da sioux, apache, comanche, cheyenne, nez percés. Nel 1876 il generale George A. Custer e le sue truppe subirono una totale disfatta a opera dei sioux nella battaglia di Little Big Horn. L’ultima grande battaglia fu quella di Wounded Knee (1890), dove centinaia di sioux, tra cui donne e bambini, vennero sterminati. Dopo di allora la politica delle riserve non incontrò più ostacoli. La vita degli indiani, che all’inizio degli anni Novanta del XX secolo negli USA ammontavano a circa 1.500.000, è stata caratterizzata dall’emarginazione e dalla povertà.