Partito popolare italiano

Formazione politica cattolica italiana del primo dopoguerra. Fu fondato nel 1919 da don Luigi Sturzo, con coloro che aderirono al suo “Appello a tutti gli uomini liberi e forti” del 18 gennaio 1919, al fine di dare rappresentanza politica alle masse cattoliche, ancora prive di un proprio partito. Ebbe l’autorizzazione del papa Benedetto XV e del segretario di stato del Vaticano, cardinale Gasparri. L’intenzione dei vertici della gerarchia ecclesiastica era quella di spezzare l’egemonia del Partito socialista sulle masse popolari, soprattutto contadine, contrapponendogli un partito cattolico moderato. Veniva così definitivamente a cadere – dopo l’attenuazione del non expedit del 1904 e il patto Gentiloni del 1913 – l’ostilità manifestata dalla chiesa, fin dalla fondazione dello stato unitario, verso il coinvolgimento dei cattolici nella vita politica italiana. Don Sturzo, critico dell’“oligarchia” liberale, voleva creare un partito democratico e aconfessionale, con un programma ricco di proposte progressiste. Il PPI, infatti, si batté con i socialisti per il sistema elettorale proporzionale, che fu ottenuto nello stesso 1919 e che gli consentì di mandare 100 deputati alla Camera con il 20,6% dei voti. Centrale nel suo programma fu anche la rivendicazione del decentramento politico e dell’autonomia amministrativa locale. Dal pensiero sociale cattolico Sturzo riprese il sostegno alla piccola proprietà, da diffondere mediante una radicale riforma agraria, che redistribuisse le terre dei latifondisti. Sempre dal pensiero cattolico provenivano l’ideale della tutela della famiglia e delle libere associazioni (le “comunità intermedie”) e il modello corporativo nella concezione dei rapporti tra le classi sociali. Fu favorevole alla promozione di una legislazione sociale e a una riforma fiscale, che tutelasse le fasce sociali più deboli e conferisse carattere di progressività alle imposte. In politica internazionale appoggiò il programma wilsoniano dei 14 punti e credette nella funzione pacificatrice della Società delle Nazioni. La composizione sociale del PPI era interclassista e la sua organizzazione poteva contare sull’appoggio sia delle istituzioni controllate dalla grande e media borghesia cattolica (banche, giornali), sia delle organizzazioni del movimento cattolico popolare (cooperative, sindacati bianchi). Ne conseguiva una certa eterogeneità politica: intorno alle posizioni di Sturzo si formarono una destra conservatrice e integralista (padre A. Gemelli, don F. Olgiati) e una sinistra democratica e sociale (G. Miglioli, G. Speranzini). Il risultato di tale complessità fu la mediazione tra istanze borghesi e popolari: alla borghesia il PPI prometteva la tutela della proprietà privata, alle masse popolari la riforma democratica del sistema politico. Grazie alla massiccia presenza in parlamento, il PPI poté entrare in alcune coalizioni governative del dopoguerra: nel 1920 collaborò con il governo Giolitti (con i ministri F. Meda e G. Micheli), in cambio di garanzie per le scuole private religiose e per i sindacati bianchi; successivamente entrò nei governi Bonomi (1921) e Facta (1922). Dopo la marcia su Roma (1922) e l’avvento del fascismo, il PPI, la cui destra non era insensibile all’antisocialismo e al nazionalismo populistico dei fascisti, entrò nel primo governo Mussolini, ma lo abbandonò nel 1923, quando il congresso del partito si pronunciò a maggioranza contro il fascismo. Alcuni popolari di sinistra, come Miglioli, furono vittime della violenza squadrista. L’affermazione del fascismo fece perdere al PPI l’appoggio del nuovo papa, Pio XI, che favorì il regime di Mussolini (con cui arrivò alla stipulazione del Concordato nel 1929). Sturzo si dimise nel 1923 dalla segreteria del partito e nel 1924 riparò in esilio. Il partito si astenne nel 1923 sull’approvazione della legge Acerbo, finalizzata a consolidare il nuovo governo fascista con un premio di maggioranza nelle elezioni politiche del 1924. Dopo il delitto Matteotti (1924), il PPI partecipò alla secessione “aventiniana” con altri partiti antifascisti. Fu sciolto nel 1926, quando il fascismo divenne un regime a partito unico. La sua eredità fu ripresa poi negli anni Quaranta dalla Democrazia cristiana, in cui confluirono molti dei suoi membri.