Partito nazionale fascista

Formazione politica italiana fondata nel 1921 da Benito Mussolini per coordinare a livello nazionale l’attività dei Fasci di combattimento, sorti a Milano nel 1919. Si caratterizzò come partito di massa: ostile ai partiti tradizionali delle masse (popolare, socialista, comunista), che combatté e distrusse prima con la violenza squadristica, poi con le “leggi fascistissime” (1925-26), non si ridusse ad associazione di un’élite di intellettuali (come i nazionalisti) o a comitato elettorale (come i liberali), ma seppe inquadrare in forma nuova e in nome di un’ideologia reazionaria ampie fasce della società italiana (fascismo). Dopo un breve periodo di forte eclettismo programmatico, in cui furono avanzate rivendicazioni sociali e istanze repubblicane, il movimento fascista fece conoscere il proprio autentico volto politico. Esaltatore della violenza come motore della storia, scatenò le proprie squadre contro partiti e sindacati democratici e socialisti, condannò la democrazia parlamentare (sulla scia dell’Associazione nazionalista italiana, che si fuse con il PNF nel 1923), impose autoritariamente la pacificazione sociale per trasferire la lotta a livello internazionale, dove predicava lo scontro tra nazioni “proletarie” (come l’Italia) e nazioni “plutocratiche”. La struttura del partito rifletteva il rigido principio gerarchico della sua ideologia: il “duce” Benito Mussolini nominava il segretario, il quale, a sua volta, nominava il direttorio e i segretari federali. Mussolini, capo carismatico indiscusso del partito, esercitò un’accurata opera di mediazione tra l’anima squadristica del movimento e la richiesta di ordine e legalità da parte delle classi sociali dominanti, del cui consenso aveva bisogno per conquistare il potere. Questo spiega l’alternanza, nei primi anni di vita del PNF, di atti militari (violenze squadristiche, marcia su Roma, delitto Matteotti) e atti politici (governi di coalizione tra il 1922 e il 1925, il “listone” per le politiche del 1924). Il Partito fascista riuscì così a coagulare un blocco di potere fondato sulla grande borghesia industriale e sulla grande proprietà terriera (alle quali garantì un basso costo della manodopera), ma col sostegno anche di ampie fette della piccola e media borghesia urbana e rurale. Nonostante la conquista del potere fosse avvenuta nel 1922 (con la marcia su Roma), solo nel biennio 1925-26 fu realizzata la “fascistizzazione” dello stato, con cui il PNF divenne il partito unico e ogni altra formazione politica venne soppressa per legge. Nel processo di progressiva identificazione tra il partito e lo stato, il PNF assunse il controllo di ogni articolazione della vita politica e sociale del paese, controllando i comportamenti, ma anche la formazione delle coscienze e l’educazione dei cittadini (totalitarismo). Negli anni del regime ebbe milioni di iscritti (raggiunse la vetta dei 25 milioni nel 1942), favorito dalla necessità di avere la tessera del partito per poter lavorare o per accedere agli scarsi beni disponibili in periodo di guerra (si parlò di “tessera del pane”). Negli anni Trenta emersero, come indirizzi di fondo della politica del PNF, il sostegno pubblico all’economia capitalistica (protezionismo, nascita dell’IRI e dell’IMI), la funzione totalitaria del partito come regolamentatore complessivo della vita sociale, la scelta imperialistica che portò alla guerra d’Etiopia (1935), all’alleanza con Hitler e alla partecipazione alla seconda guerra mondiale (1940). Dopo la seduta del Gran Consiglio del 25 luglio 1943, che mise Mussolini in minoranza, provocando la caduta del regime, il nuovo governo Badoglio sciolse il PNF, che si ricostituì come Partito fascista repubblicano nella repubblica di Salò, sopravvivendo fino alla Liberazione nel 1945.