Partito comunista dell’Unione Sovietica

È la denominazione assunta dal partito bolscevico in epoca staliniana. Le origini del PCUS risalgono alla corrente bolscevica (maggioritaria) del Partito operaio socialdemocratico russo (POSDR), sorta nel 1903 e poi trasformatasi in un partito indipendente nel 1912. Nel 1918, all’indomani della rivoluzione d’Ottobre (1917), il Partito bolscevico cambiò il nome in Partito comunista panrusso (bolscevico). In occasione del XIV Congresso (1925) divenne Partito comunista (bolscevico) dell’URSS. Assunse quindi la sua denominazione definitiva nel 1952. Come partito di “rivoluzionari di professione”, secondo il modello teorizzato da Lenin fin dai primi anni del secolo, ebbe un ruolo decisivo nella conquista del potere e nella conduzione della guerra civile. In quanto partito unico di uno stato totalitario, condizionò poi tutta la storia successiva dell’Unione sovietica (totalitarismo). Fino al 1917 la vita del partito fu animata da un vivace dibattito. Il periodo postrivoluzionario segnò invece la fine di ogni democrazia interna e l’adozione di una ferrea disciplina incentrata sul cosiddetto metodo del “centralismo democratico”. Questo assetto diventò un modello per tutti i partiti comunisti della Terza Internazionale. Dopo la morte di Lenin (1924), Stalin guidò una lotta spietata contro ogni dissenso nel partito, mirando alla creazione di una dittatura personale. Lo scopo venne raggiunto con l’eliminazione prima politica e poi anche fisica di gran parte della vecchia guardia bolscevica, tra il 1926 e il 1939, e con la parallela costituzione di un partito-regime di massa burocratico, gerarchico e centralizzato, che controllava capillarmente ogni settore della società e dell’economia, subordinando a sé sindacati, esercito e organizzazioni come il Komsomol (Unione comunista della gioventù). Il sistema concentrazionario dei gulag permise l’annientamento di ogni opposizione. Dopo la vittoria nella seconda guerra mondiale e la morte di Stalin (1953), il partito affrontò il contraddittorio periodo delle riforme introdotte dal nuovo segretario Kruscëv (1953-64). Le ambiguità e i limiti della destalinizzazione divennero ancor più manifeste nell’epoca di Breznev (1964-82) e dei suoi successori Andropov (1982-84) e Cernenko (1984-85). Il tentativo di Gorbacëv (1985-91) di coinvolgere il PCUS nel progetto di una riforma in senso democratico dell’URSS si rivelò fallimentare. Di fronte alle resistenze conservatrici dei vertici del partito, il PCUS fu infine travolto, nel 1991, dalla dissoluzione dell’intero stato sovietico, già profondamente indebolito dalla caduta dei regimi comunisti dell’Europa centro-orientale.