Paraguay

Stato attuale dell’America meridionale.

  1. L’età coloniale
  2. La repubblica
1. L’età coloniale

Il primo europeo a esplorare il territorio dell’attuale Paraguay fu Juan Díaz de Solís (1516), seguito da Sebastiano Caboto che, nel 1526, risalì il Paraná muovendo dal Río de la Plata. Dieci anni più tardi, Domingo Martínez de Irala si inoltrò nell’interno e fondò la città di Asunción, che fu per due secoli la roccaforte del potere spagnolo nella regione: da qui partirono le spedizioni che diedero origine alle principali città argentine, tra cui la stessa Buenos Aires. Posto inizialmente alle dipendenze del viceregno del Perú, passò poi sotto la giurisdizione del viceregno del Río de la Plata nel 1776. Al momento della colonizzazione europea esso era abitato da tribù indie di lingua tupi-guaraní, le quali stabilirono con i conquistatori rapporti pacifici, tanto che si arrivò presto a una fusione tra le due razze. La storia del Paraguay fino alla metà del XVIII secolo coincise in larga misura con la storia delle missioni dei gesuiti. Questi crearono, a partire dal 1609, delle comunità, dette reducciones, allo scopo di sottrarre gli indios alla vita nomade, di insegnare loro le tecniche agricole e artigianali, di istruirli nella religione cattolica e di renderli capaci di regolare la loro vita economica e sociale. Diffusesi rapidamente nelle zone attorno ai fiumi Paraná e Uruguay, le reducciones giunsero a organizzare fino a circa 150.000 indios, i quali, posti sotto la protezione dei gesuiti, sfuggirono alle razzie dei grandi proprietari brasiliani alla ricerca di schiavi per le loro piantagioni. Nel 1750 Ferdinando IV di Spagna cedette ai portoghesi il territorio a est dell’Uruguay. Gesuiti e indios si opposero strenuamente e impedirono, con la guerra dei Guaraní (1753), il trasferimento al Brasile, ma le missioni cominciarono dopo di allora a decadere. Nel 1767 la cacciata dei gesuiti dalla Spagna e dai suoi domini pose fine a quello che venne poi chiamato lo “stato comunistico” del Paraguay.

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2. La repubblica

La fine della dominazione coloniale avvenne in modo relativamente indolore. Nel 1810 i rivoluzionari argentini insorti contro la Spagna tentarono senza successo di indurre il Paraguay a unirsi a loro. L’esempio di Buenos Aires mise tuttavia in moto un processo che portò di lì a poco alla proclamazione dell’indipendenza (1811). Tra il 1814 e il 1870 si succedettero tre dittature. La prima fu quella di José Gaspar Rodríguez Francia, che governò il paese fino alla sua morte (1814-40). Francia condusse una politica rigidamente isolazionistica, abolì i privilegi dell’aristocrazia, combatté il potere delle gerarchie ecclesiastiche, introdusse nuovi metodi nella coltivazione e nell’allevamento del bestiame. Sotto il suo regime il Paraguay, sebbene privo delle libertà politiche, conobbe uno sviluppo ordinato e pacifico, al riparo da quei sommovimenti che quasi ovunque in America Latina accompagnarono il processo di decolonizzazione. La seconda fu quella di Carlos Antonio López (1844-62), che riaprì il paese ai rapporti con l’esterno favorendo l’immigrazione e gli scambi commerciali. La terza, infine, fu quella del figlio di López, Francisco Solano (1862-70). Quest’ultimo, nel tentativo di rafforzare la posizione del Paraguay nel continente sudamericano, entrò in una rovinosa guerra contro il Brasile, l’Argentina e l’Uruguay (1864-70) che ebbe enormi costi umani e materiali (guerra di López). La popolazione fu decimata e l’economia distrutta; inoltre, il Paraguay dovette cedere parte dei suoi territori e subire l’occupazione dell’esercito brasiliano fino al 1876. La ripresa fu lenta. Alla stagnazione economica si aggiunse l’instabilità politica, caratterizzata dall’alternarsi al potere, tra complotti e colpi di stato, di esponenti ora dei liberali (azules) ora dei conservatori (colorados). Soltanto agli inizi del XX secolo la situazione cominciò a migliorare: riprese l’immigrazione, aumentò la produttività agricola e si ebbe un modesto sviluppo delle attività industriali. Nel 1932 scoppiò una nuova estenuante guerra con la Bolivia per il possesso del Gran Chaco conclusasi con la vittoria nel 1935 (guerra del Chaco). Il Paraguay ottenne questa volta la maggior parte del territorio conteso, ma il prezzo fu una nuova crisi economica e sociale accompagnata dal crescente peso dei militari nella vita politica. Nel febbraio del 1936, il colonnello Rafael Franco, alla guida di un gruppo di giovani ufficiali animati da propositi di mutamento sociale, prese il potere e avviò una serie di riforme (nazionalizzazioni, distribuzione delle terre, legislazione sociale). All’esperimento pose termine l’ala conservatrice dell’esercito, che represse duramente le agitazioni degli operai e degli studenti. Il programma di Franco, fu ripreso dal generale José Felix Estígarribia, eroe della guerra del Chaco, eletto presidente nel 1939, il quale fece approvare nel 1940 una nuova costituzione di tipo corporativo. Estígarribia morì poco dopo. Il suo successore, il generale Higinío Morínigo (1940-48), impresse una svolta alla politica estera schierandosi a fianco degli Alleati nella seconda guerra mondiale e stringendo più stretti rapporti con il Brasile e gli Stati Uniti in cambio di aiuti economici. Contro la dittatura di Morínigo scoppiò nel 1947 una rivoluzione promossa da settori dell’esercito, dai liberali e dalle sinistre, che fu repressa ma creò i presupposti per la sua fine. Le elezioni del 1949 diedero, infatti, la vittoria a Federico Chaves, ideologicamente vicino al giustizialismo di Perón, col quale allacciò rapporti di cooperazione sul piano economico e militare. Il ravvicinamento all’Argentina allarmò i conservatori, i quali ricorsero ancora una volta all’esercito. Nel 1954 il capo delle forze armate Alfredo Stroessner assunse il potere e pochi mesi dopo divenne presidente in seguito a elezioni con candidato unico. Stroessner, che restò alla guida del paese ininterrottamente fino al 1989, governò per oltre un decennio con mezzi eccezionali, instaurando un regime di stato d’assedio permanente. Feroce anticomunista, egli godette dell’appoggio economico degli Stati Uniti e del Brasile, il cui aiuto fu determinante per avviare un sia pur modesto processo di industrializzazione e di crescita economica. Nel 1967, Stroessner, sentendosi sufficientemente consolidato, varò una nuova costituzione e indisse elezioni alle quali furono ammesse le opposizioni. Verso la metà degli anni Settanta cominciarono a levarsi critiche nei confronti della sistematica violazione dei diritti umani da parte del dittatore. Agli inizi degli anni Ottanta prese corpo un vasto fronte di opposizione comprendente le sinistre, la chiesa cattolica, le organizzazioni sindacali, e gli Stati Uniti cominciarono a premere sull’alleato, ormai troppo screditato, perché lasciasse il potere. Stroessner non cedette e nel 1988 si fece rieleggere ricorrendo a brogli sistematici che andarono a rafforzare le opposizioni. Fu allora che alti esponenti del regime, per non essere travolti dal crollo ormai inevitabile della dittatura, presero l’iniziativa e, con una sollevazione militare, cacciarono il presidente nel febbraio del 1989. Il generale Andrés Rodríguez, autore del golpe, messo a capo di una giunta provvisoria, liberò i prigionieri politici e promise il ritorno alla democrazia. Le elezioni tenutesi in maggio videro ancora la vittoria del partito del regime (Partido colorado) e del suo candidato, lo stesso Rodríguez, ma un buon successo ottenne il principale partito di opposizione (Partito liberale radicale autentico). Il nuovo governo adottò una politica economica neoliberista, annunciando un piano di privatizzazioni. Si impegnò inoltre con gli Stati Uniti a combattere il traffico di droga. Nel 1991 fu eletta un’assemblea costituente, la quale approvò nel 1992 una nuova costituzione che prevedeva la non rieleggibilità del presidente in carica. Rodríguez fu quindi costretto a lasciare la presidenza. In un clima di scontri molto aspri, nelle elezioni presidenziali del 1993 ebbe il sopravvento Juan Carlos Wasmosy del Partido colorado, divenendo il primo civile ad assumere la carica di presidente dal 1954. Dopo l’imprigionamento del generale Lino Oviedo, accusato di aver organizzato un tentato colpo di stato nel 1996, le elezioni presidenziali del 1998 furono vinte da Raul Cubas Grau, che liberò Oviedo, causando fortissime reazioni da parte dell’opposizione, le quali nei primi mesi del 1999 indussero Oviedo e Cubas a fuggire rispettivamente in Argentina e in Brasile. Il Congresso nominò allora presidente ad interim Luis Gonzalez Macchi, che, dopo aver formato un governo di unità nazionale, avviò la privatizzazione delle industrie di stato e sottopose l’esercito a un maggiore controllo da parte del governo. Nonostante il rapido rilancio dell’economia, Gonzalez fu travolto da numerose accuse di corruzione e nelle elezioni presidenziali del 2003 si impose il candidato del Partido colorado, Nicanbor Duarte Frutos. Nelle successive elezioni del 2008 l’ex vescovo cattolico Fernando Lugo, candidato progressista dell’Alleanza patriottica per il cambiamento (APC) conseguì uno straordinario successo elettorale e nel 2009 sottoscrisse un accordo col presidente del Bolivia, Hugo Morales, con cui fu chiusa la disputa territoriale relativa alla regione del Chaco.
Gli sforzi di Lugo volti a favorire una redistribuzione delle terre furono fortemente contrastati dai grandi proprietari e dallo stesso Partito colorado. Nel 2012, dopo alcuni scontri violenti tra lavoratori e forze di polizia, Lugo fu destituito per essere sostituito dal suo vice Federico Franco.

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