ottomano, impero

Vasto aggregato politico di territori, estesosi in Europa, Asia e Africa. Fondato nel secolo XIII, durò fino al 1918.

  1. Dalle origini alla grande espansione
  2. La struttura del potere ottomano
  3. Esaurimento e declino. La “questione d’Oriente”
  4. La crisi dell’impero ottomano e le radici della Turchia moderna
1. Dalle origini alla grande espansione

Le origini dell’impero vanno ricondotte al ruolo di avanguardia militare assegnata dai sovrani selgiuchidi ai confini con l’impero bizantino alla tribù degli osmanli o ottomani (turchi). Il fondatore della dinastia ottomana fu l’emiro Osman I (1299-1326). Il consolidamento e la prima fase espansiva del dominio ottomano ebbe luogo a opera dello stesso Osman e dei suoi successori Orkhan (1326-59), Murad I (1359-89), che stabilì la capitale ad Adrianopoli (Edirne) nel 1365, e Bayazid I (1396-1402). Decisive furono le vittorie di Kosovo Polje sui serbi nel 1389 e di Nicopoli su un esercito di crociati cristiani nel 1396. Dopo aver dilatato i loro domini nell’impero bizantino, in Bulgaria, in Serbia, gli ottomani puntarono alla conquista di Bisanzio; ma nel 1402 l’irruzione di Tamerlano determinò la sconfitta di Bayazid ad Ankara e il crollo del potere ottomano in Anatolia. Fu dai Balcani che gli ottomani rilanciarono la loro opera di conquista. Maometto I (1413-21), Murad II (1421-51) e Maometto II (1451-81) intrapresero una grande opera di conquista, che fece di quello ottomano uno dei grandi imperi della storia. Le tappe principali furono la vittoria di Varna del 1444 su una coalizione di forze cristiane, la seconda battaglia di Kosovo Polje nel 1448, che aprì la dominazione sui Balcani, e la presa a opera di Maometto II nel 1453 di Costantinopoli, che divenne capitale col nome di Istanbul. Seguirono la penetrazione in Grecia, la conquista di Trebisonda, la sottomissione della Moldavia, della Valacchia, di gran parte della Serbia, della Bosnia-Erzegovina, della Crimea, l’attacco sistematico alle posizioni di Genova e soprattutto di Venezia, la cui influenza sulla Grecia e sull’Egeo venne spazzata via, lo sbarco sulle coste pugliesi a Otranto. Con Bayazid II (1481-1512) si ebbe la perdita definitiva della Morea da parte di Venezia. Il figlio Selim I (1512-20) allargò l’opera di conquista in Asia a danno dei persiani e degli arabi. Tra il 1513 e il 1518 si impadronì in successione dell’Armenia, della Siria, dell’Egitto in cui sconfisse i mamelucchi, della costa del Maghreb, dove il potere venne delegato all’ammiraglio Khayr al-Din detto Barbarossa, che con le sue flotte corsare inflisse colpi micidiali ai commerci dell’Europa cristiana compiendo incursioni sulle coste spagnole e italiane. L’apogeo dell’impero venne raggiunto sotto il lungo regno di Solimano I il Magnifico (1520-66). Nel 1521 venne conquistata Belgrado; nel 1522 Rodi fu sottratta ai veneziani; nel 1526, dopo la grande vittoria di Mohacs, fu annessa l’Ungheria, con una puntata alle porte di Vienna nel 1529; nel 1529 l’Algeria divenne una provincia turca; nel 1534, dopo una guerra con i persiani, furono inglobati l’Azerbaigian e l’Iraq, mentre continuava, in alleanza con la Francia, uno stato endemico di guerra con la Spagna e Venezia nel Mediterraneo e con l’Austria nel settore danubiano. Un tentativo dell’imperatore Carlo V di prendere Algeri fallì clamorosamente. Nel 1564-65 Solimano pose l’assedio a Malta, di enorme importanza strategica, che fu salvata dagli spagnoli. Alla sua morte nel 1566, Solimano lasciava l’impero in una posizione di potenza straordinaria, in un contesto in cui gli ottomani minacciavano di diventare i padroni del Mediterraneo. La caduta di Cipro, sottratta nel 1570 ai veneziani, indusse l’Europa cristiana a un confronto risolutivo con gli ottomani. Il papa Pio V chiamò le forze a raccolta; fu costituita una Lega santa; e il 7 ottobre 1571 una grande flotta ispano-veneto-pontificia sconfisse la pur più numerosa flotta di Selim II (1566-74) nella battaglia di Lepanto, che segnò una svolta nella storia d’Europa. La forza espansiva dell’impero ottomano venne così, se non contenuta, bloccata in un momento cruciale. Sanzionata nel 1573 alla pace di Parigi la conquista di Cipro, conquistato nel 1577 lo Yemen, l’impero si trovò coinvolto, a cavallo tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, in guerre con l’Austria e la Persia. La guerra con Venezia del 1645-69 si chiuse con la presa di Candia. L’ultima grande puntata offensiva verso l’Europa fu rappresentata dal conflitto con l’impero asburgico tra il 1682 e il 1686, che vide l’assedio della stessa Vienna nel 1683, liberata dal re polacco Giovanni Sobieski III. Le forze congiunte austriache, polacche e veneziane inflissero ai turchi a Zenta nel 1697 una sconfitta definitiva, sanzionata dalla pace di Carlowitz nel 1699, con cui questi persero l’Ungheria, la Transilvania e la Croazia.

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2. La struttura del potere ottomano

Il centro dell’impero, giunto a comprendere nel 1530 circa 30 milioni di abitanti, era Istanbul, eretta da Maometto II a capitale, in cui convivevano in un contesto cosmopolita musulmani, cristiani ed ebrei. La città, che a metà Cinquecento era salita a circa 400.000 abitanti arrivando a circa 600.000 alla fine del secolo, divenne il centro amministrativo, politico e, grazie al grande porto, commerciale dell’impero. Il nucleo della potenza militare era costituito dal corpo dei giannizzeri, una sorta di guardia pretoriana formata da rinnegati cristiani. Alle diverse confessioni religiose, il potere ottomano, che pure aveva il carattere di una teocrazia, concesse una condizione di relativa tolleranza, vista come strumento di consenso e quindi di controllo politico e sociale. A cavallo tra XV e XVI secolo molti ebrei cacciati dalla Spagna cercarono scampo nell’impero. Sapiente fu la capacità di sfruttare le ostilità reciproche tra le diverse confessioni ed etnie. Fu Maometto II a imprimere al potere ottomano la sua struttura e a emanare i regolamenti volti ad assicurare l’uniformità amministrativa e giuridica dell’impero, sul fondamento della legge canonica musulmana (shari’a). Per consolidare il loro potere, i sultani non esitavano a procedere allo sterminio dei familiari che potessero avanzare pretese al trono. Nelle funzioni di primo ministro agivano i vizir, spesso uomini di umili origini. Le province dell’impero e gli stati vassalli venivano governati tramite pascià e governatori. Solimano il Magnifico procedette a separare il tesoro privato da quello pubblico e organizzò un assai efficiente sistema fiscale. Alle dipendenze del sovrano era il consiglio formato dai ministri, dai funzionari più elevati e dai capi militari, che si riunivano nelle riunioni del “divano” (Consiglio di Stato). In un impero militare come quello ottomano, l’esercito – diviso in un nucleo permanente centrale (giannizzeri e cavalleria) e nelle forze territoriali decentrate – teneva un posto privilegiato. I successi militari furono in maniera determinante legati all’eccellenza dell’artiglieria. La flotta si avvaleva dell’importante concorso delle formazioni corsare. La classe dirigente era improntata ai modi di vita dettati dall’islamismo sunnita e dominava sui sudditi musulmani, cristiani ed ebrei. La popolazione era divisa in due grandi categorie: i militari e i funzionari esenti dalle imposte da una parte e dall’altra i sudditi, composti da artigiani, contadini, non musulmani soggetti alle imposte. L’élite dominante mostrò la capacità di reclutare al proprio servizio soldati, politici, uomini di cultura, scienziati, tecnici, artisti anche dai popoli soggetti. I contadini cristiani delle zone conquistate erano grati per essere stati liberati dalla servitù della gleba e dagli oneri personali di matrice feudale.

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3. Esaurimento e declino. La “questione d’Oriente”

Il successivo declino del potere ottomano fu dovuto al saldarsi, a partire dal XVII secolo, di vari elementi di crisi: l’incapacità di evoluzione scientifica e tecnologica, l’invadenza del clero e dei giannizzeri sul governo, la diffusa corruzione, la precarietà dei ruoli dello strato nobiliare, il peso fattosi via via più insopportabile di un apparato militare enorme e non sorretto da sufficienti forze produttive. Il tentativo compiuto da Osman II (1618-22) di riorganizzare il potere portò al suo assassinio da parte dei giannizzeri. Durante il Settecento la potenza militare dell’impero entrò in una crisi irreversibile; ed essa emerse nettamente nel corso delle guerre non solo con l’Austria, ma anche e soprattutto con la Russia che Pietro I il Grande aveva elevato a potenza europea. Nel 1718 l’impero perse il Banato e la Serbia. Nel 1774 la Russia prese la Crimea, estendendo la sua influenza sul mar Nero e sui Balcani. Istanbul era sempre meno in grado di controllare le province e in primo luogo l’Egitto e gli stati barbareschi. L’impero, attaccato da Napoleone nel 1798-1801, venne salvato dal collasso solo dalla vittoria della flotta inglese ad Abukir (1798). Ma la crisi interna – invano contrastata dal sultano Selim III (1789-1807) – continuava, e nel 1807-1808 i giannizzeri si rivoltarono. L’Egitto nel 1805 si rese di fatto autonomo sotto il pascià Mehmet Alì. Un momento di momentanea ripresa fu l’energica azione riformatrice di Mahmud II (1808-1839), che distrusse nel 1826 il corpo dei giannizzeri. Ma nel 1812 il sultano dovette cedere la Bessarabia alla Russia. Ormai l’impero, divenuto il “malato d’Europa”, si trovava in una crisi irreversibile, che si sviluppò lentamente ma inesorabilmente per tutto l’Ottocento e l’inizio del Novecento, fino al crollo definitivo nel 1918 (questione d’Oriente). Nel 1820 si ebbe la rivolta dell’Albania e nel 1821 quella della Grecia, che, dopo la disfatta navale subita dagli ottomani a Navarino nel 1827, si concluse nel 1829 col trattato di Adrianopoli, il quale diede vita allo stato greco indipendente e all’autonomia della Serbia, della Moldavia e della Valacchia. Poco dopo, nel 1830, la Francia iniziò l’occupazione dell’Algeria. Nel corso della guerra di Crimea con la Russia (1853-56) l’impero evitò la sconfitta e lo smembramento, che era nei piani russi, unicamente grazie all’intervento franco-inglese. L’inferiorità dimostrata in Crimea stimolò uno sforzo di modernizzazione civile, istituzionale, militare ed economica. Fu sancita la parità tra i musulmani e i non musulmani; l’impero venne aperto alla penetrazione economica in particolare di Francia, Inghilterra e Prussia; l’esercito fu modernizzato. Determinante fu l’impulso degli intellettuali, detti “giovani ottomani”, guidati da Namik Kemal (1840-88), e del gruppo di riformatori di Midhat Pascià (1822-83). Nel 1876 Abdulhamit II (1876-1909) emanò una costituzione liberale e convocò nel 1877 il primo parlamento, sciolto però poco dopo in seguito al ritorno al governo dispotico sotto la pressione del conflitto con la Russia, erettasi a protettrice dei popoli balcanici e di tutti i cristiani ortodossi. La guerra (1877-78), originata da una brutale repressione nell’Erzegovina e in Bulgaria, dopo una forte e imprevista resistenza turca, si concluse con il trattato di Santo Stefano. Il congresso di Berlino del 1878 stabilì che Serbia, Montenegro e Romania acquistassero l’indipendenza e la Bulgaria l’autonomia e che la Bosnia-Erzegovina passasse sotto l’amministrazione austriaca.

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4. La crisi dell’impero ottomano e le radici della Turchia moderna

Lo stabilirsi nel 1881 del protettorato francese sulla Tunisia e l’occupazione dell’Egitto nel 1882 da parte dell’Inghilterra infersero un nuovo grave colpo alla dominazione ottomana nell’Africa settentrionale. Tutto ciò contribuì ad alimentare il nazionalismo turco, avente quale obiettivo la riforma dell’impero. Una congiura di elementi militari venne soffocata nel 1889; il che ebbe solo l’effetto di alimentare la ventata nazionalistica, che trovò la sua più forte espressione nel movimento dei Giovani Turchi, il quale aveva forti radici nell’esercito e costituì l’organizzazione segreta dell’“Unità e Progresso”, di impronta liberale. Intanto gli spaventosi massacri condotti contro gli armeni nel 1893 contribuirono a isolare sempre più in campo internazionale il governo del sultano. La guerra con la Grecia del 1897, pur vittoriosa, si concluse con la cessione di Creta. Dopo una rivolta in Macedonia e la proclamazione dell’indipendenza della Bulgaria, i nazionalisti passarono nel 1908 alla rivolta aperta, inducendo il sultano a ripristinare la costituzione del 1876 e a riconvocare il parlamento. Tentata vanamente nel 1909 la via della repressione, Abdulhamit venne deposto e suo fratello Maometto V (1909-1918) elevato al trono. La guerra con l’Italia per la Libia nel 1911-12 si concluse con la sconfitta della Turchia e la pace di Losanna. Subito dopo, le due guerre balcaniche (1912-13) ridussero i possedimenti turchi in Europa a Istanbul, a parte della Tracia e ai Dardanelli. L’Albania divenne indipendente. I Giovani Turchi, giunti al potere nel 1913 sotto la guida di Enver Pascià, abbandonate le tendenze liberali, esasperarono il loro nazionalismo in senso fortemente ostile alle minoranze non turche. Allo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914, l’impero ottomano, che aveva stretto da anni solidi vincoli con la Germania, si schierò a fianco degli imperi centrali. Nel 1915 le truppe turche resistettero vittoriosamente nella difesa di Gallipoli a guardia degli Stretti contro gli alleati; ma la guerra andò sempre peggio, anche per l’appoggio dato dagli arabi agli inglesi. Nel 1918 si ebbe il crollo. Venuto l’armistizio in ottobre, gli alleati occuparono Istanbul. La dissoluzione dell’impero ottomano venne sancita nel 1920 dal trattato di Sèvres, da cui inizia la storia della moderna Turchia.

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