Oceania

Il cosiddetto quinto continente, caratterizzato da una marcata dimensione insulare e da una posizione geografica defilata che ne hanno influenzato in modo determinante la cultura e la storia. Le numerosissime isole che lo compongono (dalle maggiori, l’Australia, la Nuova Guinea e la Nuova Zelanda, ai molti arcipelaghi di Melanesia, Micronesia e Polinesia) furono abitate a partire all’incirca dal XXX millennio a.C., quando migrazioni provenienti dall’Asia investirono a più riprese Australia, Nuova Guinea e Tasmania; la colonizzazione delle isole più a est iniziò solo a partire dal II-I millennio a.C., e continuò per buona parte del I millennio d.C. All’epoca della scoperta da parte degli europei il livello di vita delle società oceaniche era quello del neolitico; esse erano composte da coltivatori, allevatori e pescatori, possedevano una struttura sociale stratificata e una cultura e una religione vaste e ramificate che si esprimevano in una grande ricchezza di stili artistici. Dopo la scoperta del Pacifico da parte di Vasco Núñez de Balboa (1513) e il viaggio di Ferdinando Magellano (1520), spagnoli e olandesi avviarono le esplorazioni e le scoperte, alla ricerca di ricchezze e di un mitico grande continente australe. Nel XVIII secolo aumentarono l’interesse scientifico e i viaggi, grazie soprattutto agli inglesi e al più grande esploratore dei mari del sud, James Cook. La fondazione di una colonia inglese in Australia, nel 1788, segnò l’inizio dell’intenso coinvolgimento dell’Oceania nei commerci con l’Europa. Intorno al 1800 si avviò in molte isole l’attività dei missionari, la cui influenza portò all’adozione di leggi e istituzioni europee (i “regni missionari”), ma suscitò anche violente reazioni al cristianesimo. I crescenti contatti con gli europei iniziarono a trasformare le società indigene, dissolvendo i vincoli tradizionali e diffondendo epidemie che ridussero notevolmente le popolazioni. Il processo si accentuò quando, verso la metà del secolo, ai mercanti europei si aggiunsero coloni e piantatori (di noci di cocco, cotone e zucchero) le cui richieste di terra e manodopera aumentarono l’instabilità sociale e politica, incoraggiando anche ribellioni armate (guerre maori in Nuova Zelanda, 1844-72). La necessità di difendere i propri interessi economici spinse le potenze europee a intervenire: tra il 1842 e la fine del secolo Francia, Inghilterra e Germania (e Stati Uniti) posero sotto il loro controllo, in varie forme, quasi l’intera Oceania, che entrò così a pieno titolo nel sistema del colonialismo europeo. Dopo la prima guerra mondiale (1914-18) le colonie della Germania sconfitta furono assegnate in mandato ad Australia, Nuova Zelanda e Giappone. Dopo la seconda guerra mondiale (1939-45), durante la quale la Micronesia e la Melanesia furono importanti scenari bellici, gli Alleati vincitori avviarono anche qui un processo di graduale emancipazione, mirante allo sviluppo delle strutture politiche e dell’autogoverno e all’incremento delle risorse. La transizione fu più lunga e tranquilla che negli altri continenti, per l’assenza sia di profondi conflitti che di nazionalismi di massa. Nel 1980 la maggioranza delle isole aveva ottenuto l’indipendenza. Ma pur non avendo vissuto i traumi della decolonizzazione africana e asiatica, l’Oceania, ormai esposta agli influssi europei e asiatici, dipendente dalle economie straniere e soggetta alla presenza militare americana, deve tuttora fronteggiare anch’essa gravi problemi economici e di identità.