Nuova sinistra in Italia: gruppi e partiti

La nuova sinistra italiana ebbe origine negli anni Sessanta, con lo sviluppo di un intenso dibattito, soprattutto su alcune riviste come i “Quaderni Rossi” e i “Quaderni Piacentini”, sui temi tipici del neomarxismo: il castrismo, il maoismo, la critica della società consumistica, l’organizzazione in chiave antiriformistica della classe operaia, la riforma della scuola e dell’università, il progetto di una cultura alternativa. All’interno di tale dibattito la nuova sinistra approfondì il proprio distacco dai partiti e dai sindacati storici della classe operaia – il Partito comunista italiano e il Partito socialista italiano – accusati di revisionismo ideologico, moderatismo politico e burocratismo organizzativo. La ricerca di nuove forme di aggregazione politica dei lavoratori e degli studenti provocò la nascita, nella seconda metà degli anni Sessanta, dei primi gruppi organizzati della nuova sinistra. La contestazione studentesca del 1968 e l’“autunno caldo” del movimento operaio nel 1969 favorirono la proliferazione e il radicamento sociale delle nuove formazioni politiche. Nel 1966 era stato fondato il Partito comunista d’Italia marxista-leninista (PCd’Im-l), estremamente critico nei confronti del revisionismo del PCI, accusato di aver rinunciato definitivamente a qualsiasi prospettiva di trasformazione rivoluzionaria della società capitalistica. Nel 1969 nacque a Torino Lotta continua (LC), il cui organo fu l’omonimo giornale, che divenne quotidiano nel 1972. LC esaltava la centralità operaia e valorizzava lo spontaneismo e l’autonomia delle lotte dei lavoratori, in polemica col burocratismo e il riformismo del PCI e dei sindacati confederali. In alcune fabbriche, come la FIAT, riuscì ad organizzare nuclei abbastanza consistenti di militanti. L’istanza spontaneistica portò LC, negli anni Settanta, a sostenere le lotte di tutte le fasce emarginate e oppresse dal sistema capitalistico, dai sottoproletari disoccupati o sottoccupati alle donne, agli studenti, ai militari di leva, ai carcerati. Nel 1969 nacque anche il movimento (con l’omonimo giornale) Potere operaio, operaista e impegnato sul tema del “blocco del sistema” (rifiuto del lavoro, forti richieste salariali), contro la politica eccessivamente moderata e arrendevole dei sindacati. Una certa presenza nelle fabbriche ebbero i Comitati unitari di base (CUB) di Avanguardia operaia, formazione sorta nel 1968 dall’unione di gruppi estremisti di Milano, Mestre e Venezia. La nuova sinistra ebbe un riflesso anche all’interno del PCI, nel quale alcuni intellettuali diedero vita alla corrente del Manifesto, particolarmente attenta alle tematiche del movimento studentesco e dei nuovi gruppi della sinistra extraparlamentare. Nel 1970 il gruppo del Manifesto venne espulso dal PCI e si costituì in partito, dotato dal 1971 dell’omonimo quotidiano. Il Manifesto si impegnò in un dialogo serrato con il PCI, per indurlo a un’opposizione più netta alla DC e al sistema capitalistico. La nuova sinistra decise di partecipare per la prima volta alle consultazioni elettorali in occasione delle politiche del 1972, ma le tre liste che si presentarono – il Movimento politico dei lavoratori (MPL, un gruppo di cattolici di sinistra, guidati da Livio Labor, usciti nel 1970 dalle ACLI), il Manifesto e il PCd’Im-l – ottennero in tutto poco più dell’1%. L’insuccesso elettorale dimostrò il contrasto tra la vivace capacità di organizzazione delle lotte e lo scarso radicamento sociale della nuova sinistra italiana. Nello stesso anno, sempre in conseguenza del risultato elettorale negativo, si sciolse lo PSIUP, che era stato nel 1968 un punto di riferimento per il movimento di contestazione, e un suo dirigente, Vittorio Foa, fondò il Partito di unità proletaria (PdUP), nel quale confluì una parte del MPL, anch’esso disciolto. Al PdUP decise di unirsi anche il gruppo del Manifesto e la nuova aggregazione si diede, nel 1974, il nome di Partito di unità proletaria per il comunismo (PdUPpc). In occasione delle politiche del 1976 fu costituito il cartello elettorale di Democrazia proletaria, al quale aderirono, oltre al PdUPpc, i maggiori gruppi dell’estrema sinistra, come Lotta continua, Avanguardia operaia, il Movimento dei lavoratori per il socialismo (MLS, fondato da alcuni dirigenti del movimento studentesco milanese). Il cartello elettorale della nuova sinistra ottenne, in questa circostanza, due deputati. Lo spontaneismo del movimento studentesco del 1977, in larga misura estraneo agli schemi classici della cultura marxista, e la diffusione del terrorismo rosso e della lotta armata, colsero sostanzialmente impreparata la nuova sinistra, che si divise nelle valutazioni e negli atteggiamenti. Il PdUPpc e AO condannarono con fermezza la lotta armata dei gruppi terroristici che si richiamavano al marxismo, come le Brigate rosse e Prima linea, i cui militanti talvolta provenivano dalla nuova sinistra, per esempio da Potere operaio (sciolto nel 1973). Criticarono anche l’avventurismo di Autonomia operaia, il gruppo che nel 1977 guidò veri e propri movimenti di guerriglia urbana. Una condanna meno convinta venne da Lotta continua, nella quale trovò ampia diffusione la scelta di non stare “né con lo stato, né con le BR” e fu più sensibile degli altri gruppi allo spontaneismo di massa. Nel 1978 Democrazia proletaria si strutturò come forza politica organica e permanente, con caratteristiche di partito di militanti, autofinanziato da iscritti e simpatizzanti. Nel 1979, presentatasi alle elezioni con la sigla Nuova sinistra unita, non ebbe successo e non conquistò nessun seggio al parlamento. La tendenza si invertì nel 1980, con un buon risultato nelle elezioni amministrative, e nel 1983, quando DP riuscì a mandare 6 deputati alla Camera. Negli anni Ottanta la politica demoproletaria fu caratterizzata dal tentativo di valorizzare il ruolo politico del movimento dei lavoratori (secondo la tesi della “centralità operaia”) e da una serie di singole battaglie su temi specifici: contro l’installazione in territorio italiano di missili a testata nucleare; contro la costruzione di centrali nucleari; contro il finanziamento pubblico dei partiti; contro la caccia; a favore della legalizzazione dell’aborto e della liberalizzazione della droga. Fino al 1989 DP fu guidata da Mario Capanna, che era stato uno dei protagonisti del movimento studentesco milanese nel 1968. In quell’anno il partito si scisse, quando una parte dei suoi dirigenti, tra i quali lo stesso Capanna, si rivolse alle formazioni Verdi. La leadership di DP passò allora a Franco Russo Spena, che la diresse fino al giugno del 1991, quando il partito si sciolse per confluire in Rifondazione comunista. Tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila, alcuni segmenti teorici del dibattito sviluppato dalla nuova sinistra furono ripresi e rielaborati, in concomitanza con il pieno dispiegarsi dei problemi legati alla precarizzazione del lavoro e alla globalizzazione, dai gruppi appartenenti all’area del movimento no-global.