nazionalsocialismo

  1. Definizione del termine
  2. Il nazionalsocialismo negli anni Venti
  3. Il nazionalsocialismo come regime
1. Definizione del termine

Il termine “socialismo nazionale” comparve nel mondo di lingua tedesca a partire dalla fine dell’Ottocento, in concomitanza con l’ascesa politica del movimento operaio e con l’aperto emergere dei contrasti nazionali e imperialistici. Esso indicava un vago concetto di socialismo di segno contrario a quello tradizionalmente egemonizzato dalla sinistra (e in particolare dal marxismo), e influenzato invece dal nazionalismo. Una versione liberale fu quella di Naumann, che nel 1896 fondò l’Associazione nazional-sociale (Nationalsozialer Verein) che intendeva allontanare gli operai dalla lotta di classe, e guadagnarli, tramite un’estesa politica sociale e riforme politiche, all’idea nazionale e imperiale tipica del nuovo stato-potenza tedesco. Una versione radicale fu quella espressa dal partito operaio tedesco (Deutsche Arbeiterpartei, DAP), sorto in Austria nel 1903 per difendere gli interessi degli operai tedeschi contro quelli delle altre nazionalità asburgiche, e considerato il precursore del nazionalsocialismo tedesco. La prima guerra mondiale, con l’esasperazione dei nazionalismi, la profonda irreggimentazione sociale e l’aumentato dirigismo statale (“socialismo di guerra”) favorì la connotazione in senso più chiaramente conservatore del termine, che si diffuse nella cultura politica della destra populista diventando una confusa espressione ideologica del nazionalismo e del corporativismo piccolo-borghesi. Come la DAP austriaca nel 1918 mutò il nome in Deutsche Nationalsozialistische Arbeiterpartei (Partito operaio tedesco nazionalsocialista, DNSAP), così il suo omonimo tedesco, la DAP fondata a Monaco il 5 gennaio 1919 dall’operaio Anton Drexler, diventò il 24 febbraio 1920 Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei (Partito operaio nazionalsocialista tedesco, NSDAP). Da allora la vicenda del nazionalsocialismo coincise praticamente con quella della NSDAP.

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2. Il nazionalsocialismo negli anni Venti

Fin dalle origini la NSDAP, che nel settembre 1919 ricevette un impulso decisivo con l’adesione di Adolf Hitler, presentò diverse analogie con il fascismo italiano: il reclutamento dei membri tra i reduci e i ceti medi urbani e rurali (gli operai erano una minoranza), il ruolo centrale del capo, il ricorso allo squadrismo (le squadre d’assalto [SA] furono create il 3 agosto 1921), un programma contraddittorio che univa rivendicazioni anticapitaliste, antisocialiste e nazionaliste. Un punto centrale del programma, che lo distingueva dal fascismo italiano, era però anche l’antisemitismo. Nei primi anni della repubblica di Weimar la NSDAP non fu che uno dei tanti gruppuscoli di destra violentemente ostili alla democrazia parlamentare. Dopo un fallito tentativo di putsch (9 novembre 1923), l’arresto di Hitler e lo scioglimento del partito, la NSDAP venne rifondata nel febbraio 1925, con importanti novità: il rifiuto del putschismo in favore di una strategia legalitaria (dove un ruolo determinante ebbe anche la propaganda), il deciso abbandono degli elementi ideologici “socialisti” da parte di Hitler, ormai capo consacrato del partito, e la ricerca del sostegno politico e finanziario di industriali, agrari e militari. Il libro scritto da Hitler nel 1924, La mia battaglia (Mein Kampf), costituì inoltre il fondamentale veicolo di diffusione della dottrina e del programma nazisti, riassumibili nei due temi chiave della socializzazione forzata su base gerarchica e razziale all’interno e del deciso espansionismo verso est all’esterno. Fu solo dopo la grande crisi del 1929, tuttavia, che la NSDAP ottenne un seguito di massa, passando dal 18,3 % dei voti alle elezioni del 1930 al 37,4 % del 1932. E fu solo grazie all’appoggio delle tradizionali forze conservatrici, che pensavano di servirsi di lui come di uno strumento per i propri fini di stabilizzazione autoritaria, che Hitler fu nominato cancelliere, il 30 gennaio 1933.

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3. Il nazionalsocialismo come regime

Giunti al potere per via legale, i nazisti procedettero alla costruzione del regime con rapidità e sistematicità, ricorrendo a provvedimenti semi-legali e illegali e alla violenza fisica nei confronti non solo degli avversari politici ma anche dei propri alleati conservatori. Grazie al monopolio politico della NSDAP, la compenetrazione tra partito unico e stato fu molto più profonda che nel fascismo italiano. La storiografia ha tuttavia evidenziato come dietro la facciata monolitica del regime operassero molteplici centri decisionali e come la stratificazione degli apparati burocratici costituisse un ostacolo non irrilevante all’esercizio di un unico potere assoluto. Questa natura policratica del regime non va comunque sopravvalutata, dato che esisteva un’ampia concordanza circa le finalità politiche. L’obiettivo, tipico del fascismo, del superamento del liberalismo e dei suoi tratti costitutivi (parlamentarismo, pluralismo politico e sociale) fu raggiunto con la formazione di uno stato totale (totalitarismo) basato sulla finzione di una comunità nazionale organica su base razziale (la “comunità di popolo” costituita dalla superiore razza germanica, e ottenuta con la cancellazione giuridica e sociale degli ebrei e di altre minoranze “devianti”), che trovava la sua concreta incarnazione nel capo carismatico. Il legame irrazionale con il dittatore, il culto e mito del Führer incoraggiato da Hitler e dai suoi più vicini collaboratori, divenne un’efficace ideologia di integrazione cui si accompagnò l’attività di irreggimentazione di massa e di capillare controllo sociale svolta dalla NSDAP e dalle organizzazioni da essa create, nonché l’altrettanto capillare repressione del dissenso a opera di un esteso apparato del terrore. Parte integrante dell’operato del regime fu l’attuazione di un programma di politica estera anch’esso di impronta razziale, fondato sull’annessione alla Germania delle zone di vari paesi europei abitate da minoranze tedesche, e sulla conquista dei territori dell’Europa orientale, la radicalizzazione della politica antiebraica fino allo sterminio fisico (olocausto) e l’assoggettamento dei popoli slavi come schiavi della razza ariana. Da questi propositi ebbe origine la seconda guerra mondiale (1939-45), che pose fine al regime nazionalsocialista in Germania. Date le caratteristiche specifiche e particolarmente violente manifestate dal suo dominio, l’appartenenza del nazionalsocialismo all’ambito del fascismo viene contestata da alcuni storici. In realtà l’unica differenza qualitativa (seppure fondamentale) tra il nazionalsocialismo e il regime fascista italiano consiste nel radicalismo biologico in virtù del quale il razzismo e l’antisemitismo nazisti assursero al rango di principi fondanti dell’ideologia e ispiratori dell’azione politica. Quanto all’estensione del controllo totalitario di stato e società si può invece parlare di differenze soltanto quantitative; per il resto, l’ideologia (escluso il razzismo), la composizione sociale e l’assetto esteriore dei due regimi sono del tutto comparabili. [Lorenzo Riberi]

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