Mussolini, Benito

(Dovia di Predappio, Forlì, 1883, † Dongo, Como, 1945). Uomo politico italiano. Figlio di un fabbro di convinzioni socialiste e di una maestra elementare, conseguì il diploma magistrale nel 1900 e insegnò per un biennio prima di emigrare in Svizzera nel 1902. A Ginevra consolidò i suoi rapporti, già instaurati in Romagna, col movimento socialista, collaborando all’organo dei socialisti italo-svizzeri, “L’Avvenire del Lavoratore”, e ad altri fogli del socialismo internazionalista e di orientamento anarchico e radicale, come il “Risveglio-Le Réveil” e la sindacalista “Avanguardia socialista” di Arturo Labriola. Rientrato in Italia nel 1904 si inserì nell’organizzazione del partito socialista a Milano e poi a Oneglia approfondendo, da autodidatta, una formazione culturale di tipo eclettico, nella quale si mescolavano da un lato le componenti bergsoniane e soreliane tipiche del marxismo della sinistra anarcosindacalista, dall’altro consistenti elementi della filosofia di Nietzsche. Nel 1909 fu a Trento come redattore del giornale locale e responsabile del Segretariato del lavoro. Espulso dalle autorità austriache nel gennaio 1910, fu inviato presso la federazione di Forlì, dove fondò il giornale “Lotta di classe” e si affermò, anche a livello nazionale, come uno dei più capaci agitatori socialisti dell’ultima generazione. Nello stesso periodo avviò la collaborazione con la “Voce” di Prezzolini. Dopo essersi opposto energicamente alla guerra di Libia (in contrasto con molti sindacalisti rivoluzionari e coi nazionalisti), nel 1912 partecipò al congresso socialista di Reggio Emilia, nel quale guidò un’aspra battaglia per l’espulsione della corrente riformista. Fu così eletto nella direzione del partito e, qualche mese dopo, nominato direttore dell’“Avanti!”. In tale incarico emerse con virulenza il suo estremismo rivoluzionario, volontaristico e demagogico, in particolare nelle denunce contro il “moderatismo” del partito e dei sindacati. Dopo tali polemiche (cui seguì un certo distacco dal partito) e alla vigilia della prima guerra mondiale, Mussolini avviò una revisione del proprio pacifismo internazionalista, puntualizzata dal noto articolo del 18 ottobre 1914 Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva ed operante, che si rivelò esser piuttosto la premessa di un aperto interventismo, per il quale nel novembre dello stesso anno fu espulso dal partito. Nel dicembre fondò allora il suo giornale, “Il Popolo d’Italia” (che fino al 1918 mantenne l’intestazione di “quotidiano socialista”), coi fondi stanziati da gruppi capitalistici interventisti francesi e italiani. L’interventismo fu sviluppato in costante polemica col neutralismo socialista, sulla scorta di parole d’ordine derivate dalla propaganda nazionalista fin dall’epoca della guerra libica, imperniate sul contenuto sociale della guerra e su una posizione sciovinista di socialismo nazionale. Dal 1915 al 1917 Mussolini fu richiamato nell’esercito e, alla fine della guerra, ritornò a dirigere il giornale che nel frattempo era stato ribattezzato “quotidiano dei combattenti e dei produttori”. Nel quadro movimentato e confuso del dopoguerra, la causa di una nuova Italia condizionata da queste due categorie sociali, dalle loro esigenze di affermazione sociale ed economica e dalle loro istanze imperialistiche in politica estera (specie nello scacchiere orientale adriatico), parve a Mussolini – contestualmente all’assunzione di un’ideologia dai tratti modernizzanti, antisocialisti e antibolscevichi – la nuova stella polare della politica nazionale. Nel marzo 1919 fondò così i Fasci di combattimento che, nell’acuirsi della crisi sociale e politica del biennio rosso, si trasformarono nel 1921 nel Partito nazionale fascista, basato su un’alleanza organica con i nazionalisti italiani. Con questa formazione Mussolini si presentò alle elezioni politiche di maggio, conseguendo una discreta affermazione elettorale e venendo eletto deputato egli stesso. Il periodo compreso tra questa data e la “marcia su Roma” delle “camicie nere” (28 ottobre 1922), con la quale Mussolini portò a termine il suo disegno di conquista del potere, segnò la crescita ossessiva di una lotta armata senza quartiere (nella prevalente indifferenza delle forze di pubblica sicurezza) contro le organizzazioni del movimento operaio socialista e cattolico, in una collusione di interessi tra ceti medi e grande padronato agrario e industriale intimoriti dalla prospettiva di una rivoluzione bolscevica anche in Italia. Pochi giorni dopo la marcia su Roma – sull’esito della quale aveva manifestato fino all’ultimo incertezze tanto da restare a Milano, pronto all’espatrio – Mussolini ottenne dal re Vittorio Emanuele III, che iniziò a legare la monarchia dei Savoia alle sorti del fascismo, l’incarico di formare un governo. E fece ciò con una composita maggioranza parlamentare, con la partecipazione degli esponenti più retrivi dei liberali e dei popolari, mentre questi partiti erano in preda ad acutissime tensioni interne, i socialisti erano oggetto delle violenze fasciste e si dividevano tra riformisti e massimalisti e i comunisti iniziavano a pensare a un’opposizione anche clandestina. Nel 1923 Mussolini fondò la “Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale” allo scopo di dare copertura all’operato delle bande fasciste. Nel marzo si ebbe la fusione tra Partito nazionale fascista e Partito nazionalista e nel novembre dello stesso anno fu approvata la cosiddetta “legge Acerbo” (dal nome del proponente), scopo della quale era di conquistare, con uno speciale meccanismo elettorale, una maggioranza assoluta nelle nuove elezioni generali le quali si svolsero in un crescendo di scontri, disordini e intimidazioni nell’aprile del 1924. Nel giugno dello stesso anno Matteotti, segretario del Partito socialista unitario, distintosi nella denuncia dei metodi, delle pratiche fuorilegge e delle finalità dittatoriali del partito mussoliniano fu assassinato e lo stesso Mussolini, dopo qualche incertezza, assunse la responsabilità politica degli eventi. Nel discorso del 3 gennaio 1925 alla Camera dichiarò aperto il corso che doveva portare alla eliminazione delle libertà costituzionali, dando inizio alla costruzione del regime con il varo delle “leggi fascistissime” (1925-26). Dopo lo scioglimento dei partiti e l’edificazione del sistema corporativo, la firma dei Patti Lateranensi con il Vaticano (1929) pose la pietra definitiva al compimento politico-istituzionale della dittatura, sempre fondata sul potere personale e carismatico del duce. Sul piano della politica estera, dopo una prima fase di sostanziale accettazione degli equilibri del dopoguerra, l’attivismo di Mussolini si orientò progressivamente verso il ribaltamento degli esiti della pace di Versailles, giudicati una menomazione e un tradimento, e verso una politica imperialistica e di prestigio incardinata sulla presenza nelle trattative di rilievo e sul contemporaneo affossamento delle iniziative della Società delle Nazioni, vista come un mero strumento nelle mani dell’Inghilterra e della Francia. Tale politica giunse al suo culmine con la guerra d’Etiopia (1935-36) e con la successiva proclamazione dell’impero, che segnò il punto massimo di accrescimento del consenso popolare al regime. Negli anni Trenta Mussolini prima si oppose all’emergere della Germania hitleriana (1935, Conferenza di Stresa), quindi, a partire dall’attacco alla repubblica spagnola (1936), ne divenne un alleato via via più subalterno. La posizione subordinata rispetto alla Germania emerse con evidenza alla Conferenza di Monaco (1938), che distrusse la Cecoslovacchia, con l’approvazione delle leggi razziali (1938), infine con la stipulazione del “patto d’acciaio” (maggio 1939) e la decisione il 10 giugno 1940 di impegnare l’Italia nella seconda guerra mondiale a fianco della Germania nazista. L’avventura bellica portò Mussolini alla disfatta e il 24-25 luglio 1943 alla mozione di sfiducia del Gran Consiglio del fascismo, all’esautoramento e agli arresti disposti da Vittorio Emanuele III. Liberato per ordine di Hitler dalla prigione del Gran Sasso (settembre 1943) e messo a capo della Repubblica sociale italiana nei territori occupati dai nazisti, Mussolini tentò demagogicamente di recuperare taluni motivi repubblicani e socialisteggianti del suo antico repertorio, svolgendo in realtà la funzione di strumento nelle mani dei tedeschi e conducendo una spietata repressione delle forze della Resistenza. Nell’aprile del 1945, arrestato a Dongo mentre cercava di fuggire in Svizzera, fu fucilato insieme all’amante Clara Petacci per ordine del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN). Il suo corpo fu trasferito poi a Milano ed esposto in Piazzale Loreto, nello stesso luogo in cui poco tempo prima erano stati fucilati alcuni antifascisti impegnati nella lotta partigiana. [Corrado Malandrino]