Angola

Stato attuale dell’Africa equatoriale.

  1. Le origini
  2. L’Angola indipendente
1. Le origini

Prima dei contatti con gli europei il territorio corrispondente all’attuale Angola vide fiorire nella zona settentrionale il regno del Kongo, fondato secondo la tradizione fra il XIV e il XV secolo, e più a sud, fra i fiumi Dande e Cuanza, il regno di Ndongo, formalmente legato al primo da vincoli di dipendenza. Il re di quest’ultimo nel 1556 si attribuì il titolo di ngola, da cui i portoghesi trassero il nome della regione. Raggiunto per la prima volta dal navigatore portoghese Diogo Cão nel viaggio del 1482-83 e nel 1484-85, quando esplorò più sistematicamente le coste, il paese entrò a far parte dei possedimenti portoghesi dopo il trattato di Tordesillas del 1494. Nei secoli XVII e XVIII l’Angola assunse un ruolo importante per la tratta degli schiavi verso il Brasile e fu in parte cristianizzata a opera dei gesuiti. A partire dalla seconda metà del XIX secolo i portoghesi sottomisero il regno di Ndongo e, attraverso una lotta cruenta che si concluse soltanto intorno agli anni Venti, pervennero alla conquista della zona interna del paese, avendo nel frattempo concluso accordi con le altre potenze europee per la definizione delle frontiere. Nel 1885 l’Angola divenne colonia portoghese e nel 1951 fu trasformata in provincia d’oltremare, senza che la sua condizione nei confronti della madrepatria mutasse in modo sostanziale. La dominazione portoghese si indirizzò in linea di principio verso una politica di assimilazione simile a quella perseguita dalla Francia. In realtà, per le loro condizioni economiche e il livello culturale, furono ben pochi gli indigeni che divennero assimilados; la maggioranza della popolazione rimase piuttosto soggetta a un rigido controllo e fornì soprattutto forza lavoro per l’agricoltura e le miniere. L’inefficienza e la corruzione dell’amministrazione, insieme alle limitate capacità di investimento da parte della madrepatria, preclusero lo sviluppo del paese, che pure possedeva buone potenzialità soprattutto in campo minerario. I movimenti nazionalisti angolani iniziarono a formarsi fin dagli anni Cinquanta, dapprima con l’Unione delle popolazioni dell’Angola (UPA), costituitasi nel 1954, poi, nel 1956, con il Movimento popolare di liberazione dell’Angola (MPLA), di orientamento socialista, guidato da Agostinho Neto. Dopo la rivolta di Luanda del 1961 e l’inasprirsi della repressione portoghese, la lotta di liberazione si intensificò e si formarono nel 1962 il Fronte nazionale di liberazione dell’Angola (FNLA), guidato da Holden Roberto, e nel 1966 l’Unione nazionale per l’indipendenza del territorio dell’Angola (UNITA) di Jonas Savimbi, entrambi filoccidentali.

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2. L’Angola indipendente

Nel 1974, a seguito della caduta del regime di Salazar e alla rivoluzione dei garofani in Portogallo, fu avviato il processo che nel giro di un solo anno portò alla proclamazione dell’indipendenza dell’Angola (11 novembre 1975), senza che nel paese fossero state peraltro create strutture amministrative ed economiche in grado di gestirla. Grande importanza ebbe per l’Angola il possesso (e la difesa dalle mire dello Zaire e del Congo) dell’enclave di Cabinda, già possedimento portoghese a nord del territorio angolano, ricca di giacimenti petroliferi: il loro sfruttamento fu infatti negli anni Ottanta la principale risorsa dello stato, permettendo alle forze governative di fronteggiare l’alto costo della guerra civile. L’indipendenza era stata infatti raggiunta dai movimenti nazionalisti in un clima di scontro armato che vide prevalere in un primo tempo il MPLA appoggiato dall’URSS e da Cuba, il cui leader, Agostinho Neto, divenne nel 1976 presidente dell’Angola (alla sua morte, nel 1979, gli successe José Eduardo Dos Santos). L’FNLA e l’UNITA, sostenuti dagli Stati Uniti e dal Sudafrica, diedero quindi vita ad azioni di guerriglia che, insieme alle frequenti incursioni militari delle truppe sudafricane entro i confini meridionali del paese, fecero precipitare l’Angola in una situazione di violenza generalizzata e di grave crisi economica, di fronte alla quale le misure di ispirazione socialista intraprese dal governo si mostrarono del tutto insufficienti. Nella seconda metà degli anni Ottanta il perdurare della guerriglia condotta dall’UNITA contro il regime di Dos Santos e contro l’appoggio dato da questi alla SWAPO (che lottava contro il Sudafrica per l’indipendenza della Namibia) aggravarono ulteriormente il quadro di questa crisi, costringendo l’esercito a fare affidamento sugli aiuti cubani. In tale contesto furono avviati contatti con gli Stati Uniti e il Sudafrica che si concretizzarono nell’accordo sul ritiro delle truppe cubane come premessa all’indipendenza della Namibia e alla pacificazione della regione. Seguì, nel corso del 1990-91, una politica di cauta liberalizzazione da parte di Dos Santos, che introdusse il multipartitismo e alcuni elementi di economia di mercato. Nel marzo 1991, a riprova del mutato clima politico, l’UNITA abbandonò la lotta armata e si trasformò in movimento politico in attesa di libere elezioni. Queste, svoltesi nel 1992, furono vinte dal MPLA, ma l’esito non fu riconosciuto dall’UNITA, che riprese la guerra civile. La firma di un accordo di pace nel 1994 e l’invio di un corpo di spedizione dell’ONU non furono in grado di porre fine al conflitto interno. Nel 1997 la costituzione di un governo di unità nazionale non conseguì il suo scopo. Il rinnovarsi degli scontri armati provocò la rottura dell’unità, la ripresa della guerra civile e il ritiro nel 1999 degli osservatori dell’ONU. La guerriglia, nonostante le offensive delle forze governative e le sanzioni dell’ONU (1999-2001), mantenne le proprie posizioni nel nord-est, grazie anche alla disponibilità di armi ottenute attraverso il commercio illegale dei diamanti, fino al 2002, quando, in seguito alla morte in combattimento del leader dell’UNITA Jonas Savimbi, fu possibile intavolare nuove trattative di pace. Nonostante la progressiva normalizzazione politica e l’accordo raggiunto nel 2006 con il movimento separatista della regione settentrionale della Cabinda, la situazione complessiva del paese restò molto incerta anche negli anni seguenti. Nel 2008 ebbero luogo le prime elezioni multipartitiche dal 1992, che registrarono l’ampia affermazione dell’MPLA, e nel 2010 fu approvata una nuova costituzione.
Nel 2012 l’MPLA si riconfermò alla guida del paese e José Eduardo dos Santos, in carica dal 1979, fu rieletto alla presidenza dello Stato per altri cinque anni.

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