monarchia

  1. Definizione del termine
  2. Evoluzione della tipologia monarchica
1. Definizione del termine

Dal greco monos (uno solo) e archia (comando), “monarchia” significa letteralmente “governo di uno solo” e indica quindi un regime politico caratterizzato dall’accentramento dei poteri supremi in una sola persona sovrana (effettivamente o simbolicamente) che sta al vertice dell’organizzazione statuale. Essa costituisce uno dei concetti basilari del lessico della politica fin dall’antichità. Di monarchia, aristocrazia e democrazia parla la prima trattazione storicamente nota della teoria delle forme di governo, contenuta nel terzo libro delle Storie di Erodoto. Il principe Dario, nella discussione con Otane e Megabizo su quale fosse la miglior forma di governo, rispondeva sostenendo che questa fosse appunto la monarchia non dispotica ma regia, in quanto gestita correttamente e ispirata a giusti valori. Con un abile ragionamento Dario dimostrava che la corruzione delle due forme alternative, l’aristocratica e la democratica (detta isonomica), avrebbe portato inevitabilmente alla restaurazione della monarchia retta dall’uomo migliore, più giusto e potente, dotata di qualità come la perpetuità e l’ereditarietà. Con queste caratteristiche il concetto di monarchia fu ripreso nella teoria classica delle forme di governo di Aristotele (ma anche Platone ne trattò con dovizia in varie opere e principalmente nel Politico, affermandone la preminenza tra le costituzioni imperfette e sostenendo la superiorità in assoluto dell’“arte regia” del “re-filosofo”). Nel terzo libro della Politica Aristotele fissò definitivamente concetto e forme della monarchia che stimava, nel caso migliore della monarchia regia legittima e virtuosa, come la forma di governo perfetta e superiore alle altre due forme buone della tripartizione classica, ossia l’aristocrazia e la politia (che nel linguaggio odierno corrisponde alla democrazia). Tra i tipi di monarchia ricordati da Aristotele vi sono la tirannide (la monarchia corrotta) e la monarchia dispotica dei popoli barbari, che, pur essendo legittima e legale, non poteva considerarsi perfetta avendo in sé un evidente elemento tirannico (Aristotele pensava principalmente all’impero persiano, ma potrebbero ricadere in tale categoria gli imperi orientali in genere, come sostenne Montesquieu nel Settecento).

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2. Evoluzione della tipologia monarchica

Il massimo esempio storico di monarchia nella storia antica dell’Occidente fu il principato augusteo, al cui modello e alla cui fondazione di legittimità si rifecero nel medioevo e agli albori dell’età moderna i vari giuristi e pensatori politici che si misurarono col problema della sovranità monarchica. Volendo enunciare in astratto i vari tipi di monarchia, che da allora ebbero realizzazione, per mezzo di coppie dicotomiche si può proporre la serie seguente: monarchia elettiva o ereditaria; monarchia assoluta o costituzionale; monarchia effettiva o simbolica; monarchia nazionale o plurinazionale. Se invece si considera un’ideale successione di tipi storici a partire dalla caduta dell’impero romano d’Occidente (476) la sequenza potrebbe essere la seguente: monarchia germanica e feudale; monarchia nazionale; monarchia assoluta; monarchia costituzionale; monarchia parlamentare. Va da sé che l’impero (per esempio l’impero carolingio, il Sacro Romano Impero, l’impero asburgico o quello napoleonico), generalmente su scala plurinazionale, va considerato in questo senso come una forma di monarchia. Collegando opportunamente le due serie tipologiche emerge per esempio che la monarchia germanico-feudale, tipica dei regni medievali romano-barbarici, era prevalentemente elettiva (senza escludere la tendenza all’ereditarietà), effettiva in quanto il re assommava ed espletava monocraticamente poteri concreti, non assoluta bensì rispecchiante – all’interno del quadro segnato dal costituzionalismo medievale – una società tribale, gentilizia e aristocratico-oligarchica. L’evoluzione dell’istituto monarchico nell’età moderna avvenne nel senso della costruzione della grande monarchia statalnazionale, assoluta, ereditaria, nella quale la sovranità (plenitudo potestatis, summa majestas) era effettivamente concentrata e collocata nelle mani del monarca. La teorizzazione di questa forma di stato e di governo – che coincide con l’affermazione della stessa concezione moderna dello stato e si realizzò specialmente nei regni di Francia, Spagna e Inghilterra – fu elaborata, a partire da Machiavelli, soprattutto da Bodin, Hobbes e Bossuet (assolutismo). I caratteri fondamentali della monarchia assoluta consistevano soprattutto nell’unità, indivisibilità, irrevocabilità, perpetuità e assolutezza della sovranità regia o imperiale. Le grandi rivoluzioni politiche del Sei-Settecento (in Inghilterra, in America e in Francia) segnarono l’inizio della contestazione di tale forma monarchica in nome del moderno costituzionalismo e la trasformazione dell’istituto dapprima in senso costituzionale e poi parlamentare. In molti casi la monarchia stessa fu abolita in favore della repubblica. I massimi teorici del costituzionalismo monarchico, a cominciare da Locke, furono Montesquieu nel Settecento e Constant nell’Ottocento. Nelle monarchie costituzionali e parlamentari contemporanee il monarca, di solito ereditario, rappresenta solo simbolicamente l’unità nazionale e detiene – secondo le norme dettate dalla carta costituzionale (o da uno statuto) e dalle leggi – limitati poteri di capo dello stato. La sovranità politica effettiva risiede infatti nel popolo e negli organi rappresentativi da esso eletti. [Corrado Malandrino]

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