modernizzazione

Il termine modernizzazione viene per lo più impiegato per indicare in generale i grandi processi di trasformazione degli ultimi due secoli indotti dagli effetti delle due rivoluzioni epocali, quella francese e quella industriale, i quali hanno a loro volta provocato, e provocano tuttora, la scomparsa delle caratteristiche proprie delle società tradizionali o premoderne. Esso fu coniato negli anni Cinquanta nell’ambito delle scienze sociali di matrice anglosassone, di fronte all’esigenza di elaborare un concetto globale e meno connotato di categorie quali “occidentalizzazione” o “civilizzazione”, che rendesse conto dei problemi che dovevano affrontare i paesi sottosviluppati o in via di sviluppo; ma fu presto adottato anche dalla storiografia, spesso tramite la sociologia storica. Una gran parte delle numerose teorie della modernizzazione elaborate da economisti e sociologi presentava almeno due caratteristiche strutturali comuni: una concettualizzazione in stadi, ognuno dei quali costituisce una fase (caratterizzata da una o più “sfide” o “crisi”) che il processo di sviluppo politico, economico e sociale deve attraversare; e, connessa con la prima, una tipologia di dicotomie sussunte dal binomio tradizione/modernità, che rappresenterebbe il punto di partenza e di arrivo del processo di modernizzazione. Emerse tuttavia presto, in particolare dalla loro applicazione in sede storiografica, come i parametri elaborati da queste teorie si fondassero, più o meno implicitamente, sulla generalizzazione di un’esperienza storica limitata quale quella delle cosiddette democrazie occidentali (Inghilterra in particolare, ma anche Stati Uniti e Francia), nelle quali lo sviluppo del capitalismo e della democrazia si svolse pressoché parallelamente, grazie al ruolo della borghesia, in condizioni storiche irripetibili: l’esperienza di questi paesi – i primi ad avviare grazie all’azione di fattori endogeni il processo di modernizzazione – si rifletté infatti sui paesi che intrapresero solo successivamente questo processo, con la trasmissione di idee, capitali, istituzioni, che si trasformarono a contatto con specifiche realtà nazionali. Emerse inoltre la difficoltà di fornire una definizione dei concetti di “tradizionale” e “moderno” in grado di rendere conto della complessità dei processi, e di cogliere con precisione i diversi gradi della transizione. La consapevolezza di questi limiti è oggi diffusa, così come da tempo il concetto di modernizzazione viene applicato in modo più elastico e dinamico; si parla correntemente di modernizzazione autoritaria (Germania, Giappone) o rivoluzionaria (Russia, Cina) come casi di trasformazione economica e sociale non accompagnati dalla democratizzazione politica, nei quali il principale agente dello sviluppo non fu la borghesia ma lo stato. Fondamentale al fine di una corretta analisi dei processi di modernizzazione è quindi la prospettiva comparata, che mette in evidenza l’interazione tra istituzioni, culture e tecniche differenti e i diversi risultati di questi processi, l’esistenza di vie diverse (ma comunque di numero limitato) alla modernizzazione. In questo contesto è fondamentale il ricorso a una serie di indicatori le cui variazioni dovrebbero segnalare i diversi gradi di modernizzazione. Una distinzione convenzionale ormai consolidata è quella tra modernizzazione politica, economica e sociale, al cui interno si individuano diversi parametri. Tra questi, per la modernizzazione politica: l’ampliamento della partecipazione politica (per esempio attraverso l’estensione del diritto di voto), l’accettazione del valore delle leggi; l’aumento delle capacità di gestire la vita pubblica da parte delle autorità; la differenziazione delle funzioni della sfera politica. Per la modernizzazione economica (che non coincide necessariamente con l’industrializzazione): l’aumento della razionalità e dell’efficienza del sistema economico; il passaggio dalla fase dell’economia di sussistenza a quella dell’accumulazione primitiva (compressione dei consumi e grandi investimenti), e infine a quella dello sviluppo autopropulsivo e dell’espansione dei consumi. Per la modernizzazione sociale: la rottura delle stratificazioni tradizionali e l’aumento della mobilità (sociale e geografica); la formazione di classi; l’aumento dell’alfabetismo, il mutamento dei valori e delle motivazioni. Evidentemente i tre tipi di modernizzazione e i fenomeni a essi legati sono strettamente connessi, con molteplici rapporti di interdipendenza.