Mill, John Stuart

(Londra 1806, † Avignone 1873). Filosofo, economista e uomo politico inglese. Figlio di James, fu da questi istruito rigorosamente al fine di raccogliere l’eredità culturale e politica dell’utilitarismo e del radicalismo filosofico di Bentham e propria, nonché del liberismo di D. Ricardo. Funzionario della Compagnia delle Indie fino al 1857, nella prima fase della sua vita, come raccontò nell’Autobiografia (1873), fu un convinto utilitarista benthamiano e liberista ricardiano (nel 1848 pubblicò i Principi di economia politica, un’opera che gli assicurò grande fama e un posto stabile tra i grandi dell’economia politica classica). Nel Sistema di logica (1843) espose le tesi gnoseologiche dell’empirismo utilitarista. Nel frattempo, anche sotto l’influsso di autori conservatori del cosiddetto “torysmo sociale” (tra cui S.T. Coleridge e soprattutto T. Carlyle, più sensibili alle nuove esigenze sociali che si affacciavano in Gran Bretagna all’apice del progresso industriale), pur non abbandonando del tutto il principio utilitarista e il liberismo, sottopose le sue precedenti convinzioni a un’approfondita rielaborazione filosofica e politica, che culminò nella stagione delle grandi opere che furono alla base degli sviluppi successivi del liberalismo inglese: Sulla libertà e Riflessioni sulla riforma parlamentare (1859); Considerazioni sul governo rappresentativo (1861); Utilitarismo (1863); Sulla servitù delle donne (1869). Alla complessiva svolta milliana contribuì anche la frequentazione col pensiero di filosofi positivisti e storici politici francesi, variamente ispirati dal socialismo e dalla democrazia, come C.H. de Saint-Simon, Comte e Tocqueville. Le conseguenze di tali trasformazioni si riverberarono soprattutto nella concezione della libertà, in politica e in economia, e della utilità pubblica. Mill criticò la dottrina del laissez faire, in quanto segnale di “manifesto egoismo” delle classi capitaliste dirigenti e di “incompetenza” dei governi. Nel secondo periodo della sua vita, in particolare dopo che dal 1857 si consacrò a un ruolo prettamente politico venendo eletto deputato ai Comuni nel 1865, Mill accentuò la valenza sociale del principio della libertà, facendo risaltare il passaggio da una connotazione meramente negativa – la libertà come “non interferenza” da parte dello stato – a una positiva, ossia la “creazione delle condizioni” dell’esser liberi, anche mediante il regolato concorso pubblico. Tradotto in linguaggio politico ciò significava porre con forza la questione del riformismo sociale. Tale cambiamento introdotto da Mill nella concezione liberale fu testimoniato anche dalla trasformazione del concetto di “utilità”, sciolto dal significato individualmente egoistico e calcolatore che era venuto acquisendo nella lezione benthamiana e considerato più dal punto di vista qualitativo che non quantitativo. Nel saggio Sulla libertà Mill ribadì che considerava ancora “l’utilità come il criterio ultimo in tutte le questioni etiche”; ma avrebbe dovuto trattarsi “dell’utilità nel suo senso più ampio, fondata sugli interessi permanenti dell’uomo in quanto essere progressivo”. Allo stesso modo sottolineava che la felicità era sì da concepire come conseguimento del “piacere”, ma non meramente individuale, bensì condizionato dai sentimenti della “simpatia” e della “benevolenza” nell’accezione tipica del moralismo settecentesco scozzese, e perciò orientato anche al conseguimento di finalità esterne all’individuo stesso. Posti tali fondamenti filosofico-morali, atti a realizzare l’equilibrio tra sfera privata e pubblica, Mill innovò decisamente la tradizione liberale inglese e continentale (pur continuando a trarre suggestioni da W. von Humboldt e da Tocqueville) tanto da anticipare per molti versi il liberalsocialismo e il costituzionalismo novecenteschi e il modello della democrazia rappresentativa. Divenne infatti assertore del sistema bicamerale, del governo soggetto al controllo parlamentare, del suffragio universale esteso anche alle donne con l’esclusione dei soli analfabeti (che però Mill mirava a far gradualmente scomparire grazie a una positiva politica statale nel settore della pubblica istruzione), del sistema elettorale fondato sul criterio proporzionale, dell’autogoverno locale, della legislazione del lavoro e del diritto di associazione politica, sindacale e cooperativa, della riforma fiscale e fondiaria, ecc. Strenuo difensore del ruolo delle aristocrazie del merito e della competenza, Mill teorizzò anche l’introduzione del “voto plurimo”, al fine di dare la possibilità ai membri di tali élites di votare più volte e per più candidati rispetto agli altri elettori.