mare

L’importanza del mare nella storia è talmente grande da far sì che non sia possibile scrivere la storia delle civiltà senza doversi misurare con la distinzione tra popoli, paesi, città di terra per un verso e popoli, paesi, città di mare per l’altro e con i relativi effetti sui tipi di insediamento umano, di culture e persino di psicologie, con il ruolo della navigazione, del commercio, della pesca e in generale di tutte le attività legate direttamente o indirettamente al mare. Le tappe della progressiva conquista dei mari segnano inoltre la storia delle scoperte geografiche, e cioè di nuovi paesi e di nuovi modi di esistenza: una storia che nella cultura occidentale coincide con il venire in contatto dell’Europa con il resto del mondo a partire dalle popolazioni del Mediterraneo, le cui civiltà ebbero le radici della loro nascita e del loro sviluppo proprio nei modi di configurarsi del rapporto terra-mare. Quando infatti si consideri il Mediterraneo a partire da fenici, egizi e greci, non si ha difficoltà a scorgere come la sua storia faccia tutt’uno con quella dei centri urbani sorti sulle sue coste o nella prossimità di esse e come le loro economie siano state organicamente condizionate dalla navigazione, dal commercio e dalla minore o maggiore capacità di dotarsi in maniera funzionale delle indispensabili conoscenze scientifiche, infrastrutture, tecnologie (a partire dalla costruzione delle navi) e strutture di produzione e di scambio nel contesto di istituzioni politiche e militari atte a sostenere questo insieme di fattori. Insomma, dal rapporto col mare dipendevano in maniera decisiva politica interna e politica estera, rapporti economici e organizzazioni militari. Il che è avvenuto dall’antichità fino all’età moderna e contemporanea. Un esempio straordinario e clamoroso è stato offerto nel medioevo e nell’età moderna dal caso di Venezia. Per comprendere l’evoluzione del rapporto tra mare/mari e civiltà è essenziale cogliere come essa sia stata influenzata dai conflitti tra i grandi aggregati umani e statali e dalle loro ideologie politiche e religiose. Le conseguenze prima della frantumazione dell’unità imperiale romana nel V secolo d.C. e poi dell’espansionismo islamico a iniziare dal VII secolo furono immense. I musulmani si insediarono nel Vicino Oriente, nell’Africa settentrionale e nell’Europa meridionale e penetrarono nell’Oceano Indiano. E le economie e le vie del commercio marittimo e terrestre dovettero subire i necessari processi di adattamento. Il controllo del Mediterraneo orientale da parte dell’islam determinò l’apertura del commercio terrestre lungo la direttrice che dalla Persia andava all’Asia centrale; mentre il commercio nell’Egeo e nel Mediterraneo occidentale, in un primo tempo rimasto prevalentemente nelle mani dei greci, divenne sempre più il campo nei secoli X-XV dell’iniziativa delle repubbliche marinare italiane, le quali riuscirono anche, nell’alternarsi dei rapporti tra mondo cristiano e mondo islamico, a ricostituire una fitta rete di relazioni commerciali nel Mediterraneo nel suo complesso, favorita dal fatto che gli arabi si trovarono interessati a mantenere aperti i canali con l’Europa cristiana a causa dell’intenso processo di urbanizzazione da essi messo in atto. Il crollo dell’unità dell’impero degli Abbasidi in conseguenza sia dell’espansionismo dei turchi sia delle crociate fece sì che tra il XIII e il XVI secolo l’Egitto e il Mar Rosso divenissero il centro del commercio tra il Mediterraneo e l’Oceano Indiano. I traffici con l’India e le isole del Mare di Giava si fecero intensi. Nel tardo medioevo, accanto alle flotte commerciali italiane un ruolo significativo presero ad acquistare anche quelle iberiche. Nello stesso periodo, se pure le rotte per l’Oriente mantenevano un ruolo primario, un peso crescente assunsero quelle che collegavano l’Europa mediterranea all’Europa transalpina. Un fenomeno assai rilevante divenne poi l’ascesa nel XIII secolo di città mercantili del nord Europa come Bruges, Londra, Colonia, Lubecca, Danzica e Novgorod. Tale ascesa trovò la propria espressione nel costituirsi della lega anseatica, destinata a diventare una grande potenza economica con enormi influenze sul commercio marittimo europeo. D’altro canto nel medioevo intenso fu poi il commercio nell’Oceano Indiano, nell’immenso bacino che collegava Africa orientale, India, arcipelago malese e Cina. Un svolta decisiva nei rapporti tra mare e civiltà, tale da determinare quella che venne definita la rivoluzione atlantica, fu segnata da due eventi pressoché contemporanei: la scoperta dell’America nel 1492 da parte di Cristoforo Colombo al servizio della Spagna; e nel 1498 l’apertura della rotta per l’Oriente passando per il Capo di Buona Speranza da parte di Vasco de Gama al servizio del Portogallo, la quale, tagliando via il Mediterraneo, rendeva i naviganti e i commercianti occidentali liberi dal controllo dei musulmani. Entrambe le imprese colpirono direttamente la tradizionale centralità del Mediterraneo, ridimensionando in prospettiva il ruolo di una grande potenza mediterranea come Venezia, seppure non in quella misura che in un primo tempo questa temette. Il commercio marittimo era ormai divenuto mondiale. Tra il XVI e il XVIII secolo si ebbe un gigantesco dislocamento delle grandi vie commerciali dall’Europa meridionale e dal Mediterraneo orientale all’Europa e al Mediterraneo occidentali e dal Mediterraneo in generale all’Europa nordoccidentale, all’Atlantico settentrionale e all’Oceano Indiano. Il mare del Nord nel XVII secolo vide l’emergere dell’Olanda, con il grande porto di Amsterdam, al rango di maggiore potenza commerciale dell’epoca, alla quale fece seguito l’Inghilterra, destinata a un’ascesa ancora maggiore a partire dalla fine del secolo “olandese”. Venezia, la Spagna e il Portogallo si videro ridotti a un ruolo secondario rispetto a Olanda, Inghilterra e Francia. A loro volta l’India, la Cina e le grandi isole malesi dovettero cedere nell’Oceano indiano al dinamismo delle flotte commerciali europee, che ora dominavano Mediterraneo, Oceano Indiano, Atlantico e Pacifico. E dietro alle flotte commerciali e militari dell’Europa arrivarono la sua influenza, il suo dominio, il colonialismo, il commercio degli schiavi, il primato europeo stabilito mediante un’incolmabile superiorità militare, tecnologica ed economica. Una svolta epocale nel rapporto tra mare e terra fu determinata dalla comparsa e dalla diffusione nella prima metà del XIX secolo della navigazione a vapore, che significò come non mai la supremazia marittima delle potenze europee e degli Stati Uniti, segnando un divario tecnologico con i paesi non occidentali che sarebbe stato colmato solo a fine Ottocento dall’ascesa del Giappone a potenza moderna. La mondializzazione del commercio, che aveva avuto il suo inizio nel secolo XVI con le grandi scoperte geografiche, subì un’accelerazione intensissima destinata ad accrescersi senza sosta in relazione alle necessità del processo di industrializzazione, all’allargamento degli scambi di merci e dell’area dei consumi, all’abbattimento dei costi di produzione e della navigazione, alla conquista di nuovi mercati. In questo contesto il primato industriale inglese e l’apertura del canale di Suez nel 1869 diventarono nel XIX secolo fattori decisivi del consolidamento di quella supremazia commerciale della Gran Bretagna quale potenza coloniale dominatrice dei mari che aveva avuto inizio nel XVIII secolo. La posizione britannica, tuttavia, venne prima ridimensionata e poi messa in crisi crescente nella prima metà del XX secolo soprattutto dall’ascesa del Giappone e degli Stati Uniti.