Lukács György

(Budapest 1885, † ivi 1971). Filosofo, critico letterario e uomo politico ungherese. Fu allievo di Georg Simmel e di Max Weber. Nel 1918 divenne comunista e nel 1919 fu commissario del popolo per l’istruzione nell’effimero governo di Béla Kun. Esiliato prima in Austria e poi in Germania, all’avvento del nazismo si rifugiò nell’Unione Sovietica. Nel 1945 tornò a Budapest, dove, internazionalmente noto, ebbe una posizione di spicco nella vita pubblica e culturale. Nel 1956 fu ministro dell’Istruzione nel governo Nagy, aderendo al corso nazionalcomunista in contrasto con l’URSS. Dopo la repressione sovietica, venne deportato temporaneamente in Romania, facendo poi ritorno in Ungheria, dove rimase isolato fino alla sua morte. Criticato duramente da Lenin nei primi anni della sua militanza politica per il suo estremismo antiparlamentare, nel 1923 pubblicò la sua più importante e originale opera di teoria politica, Storia e coscienza di classe, condannata dai sovietici come non ortodossa per il suo spontaneismo di stampo luxemburghiano, contrario all’indiscusso primato del ruolo del partito comunista. In seguito corresse le sue posizioni aderendo all’ortodossia marxista-leninista. Tra le sue più significative opere di teoria e critica letteraria e di filosofia, nel quale campeggia il tema della decadenza culturale e politica della borghesia, sono da ricordare L’anima e le forme (1911), Teoria del romanzo (1920), Il romanzo storico (1938), Prolegomeni a un’estetica marxista (1947), Goethe e il suo tempo (1947), Il giovane Hegel (1948), Saggi sul realismo (1948), La distruzione della ragione (1954).