Luigi XVI

(Versailles 1754, † Parigi 1793). Re di Francia dal 1774 al 1792. Figlio del delfino Luigi e di Maria Giuseppina di Sassonia, nel 1770 sposò Maria Antonietta d’Austria, figlia di Maria Teresa, nel quadro del rafforzamento dell’alleanza franco-austriaca voluta dal duca di Choiseul. Per rimediare all’impopolarità della monarchia negli ultimi anni di regno di Luigi XV licenziò i ministri R.N. de Maupeou e J.M. Terray, restituì ai parlamenti le prerogative sottratte loro nel 1771, si circondò di ministri che tentarono, pur fra molte difficoltà e contraddizioni, di avviare un’opera di riforma: fra essi C.G. de Lamoignon de Malesherbes, C.G. Vergennes, e soprattutto A.-R.-J. Turgot, importante esponente della fisiocrazia, cui affidò la carica di Controllore generale delle Finanze. Di fronte al programma riformatore elaborato da quest’ultimo e all’opposizione condotta nei suoi confronti dal Parlamento di Parigi – ormai su posizioni apertamente conservatrici e di mera difesa della società dei privilegi e degli ordini – il sovrano dimostrò tutta la sua debolezza e un’ambiguità di comportamento che sarebbe stata una costante del suo regno. Il 12 marzo 1776 impose al Parlamento di Parigi la registrazione degli editti che Turgot aveva presentato nel gennaio, ispirati alla realizzazione di un programma di dispotismo illuminato; il 12 maggio, cedendo all’opposizione aristocratica incarnata dal Parlamento, destituì il Turgot. Nel 1777 chiamò a esercitare le funzioni di Controllore generale delle Finanze J. Necker, per licenziarlo a sua volta nel 1781, anche in questo caso su pressione di quanti paventavano la prospettiva di riforme organiche. Nel frattempo la politica estera seguita dal sovrano, e in particolare l’intervento, nel 1778, a fianco dei coloni americani, rialzò il prestigio della corona, ma contribuì ad accrescere ulteriormente il deficit pubblico. Nel 1783 nominò Controllore generale C.A. de Calonne, che sostituì nel 1787 con E.C. Loménie de Brienne. In questo stesso anno si acutizzarono le tensioni fra il sovrano e i parlamenti, in particolare il Parlamento di Parigi: il re impose infatti la registrazione di un editto volto a ottenere un enorme prestito in cinque anni e altri sei editti che toglievano ai parlamenti il potere di controllo sulle leggi e sulla finanza, prestando il fianco a un attacco frontale all’assolutismo. Il sovrano bandì il Parlamento di Parigi, ma fu subito costretto a riconvocarlo. Nel 1788, dopo le dimissioni di Loménie de Brienne, richiamò Necker e promise di convocare gli Stati generali per il 1° maggio 1789. Ebbe così inizio la Rivoluzione francese. Dopo la seduta di apertura degli Stati generali (5 maggio 1789) e i contrasti sulle modalità di votazione – per ordine o per testa – si vide costretto a esortare gli ordini a riunirsi in seduta comune accettando la trasformazione formale degli Stati generali in Assemblea nazionale (che il 9 luglio si proclamò Assemblea costituente). L’11 luglio licenziò Necker per sostituirlo con il barone di Breteuil; fece inoltre concentrare le truppe a Versailles e a Parigi lasciando trasparire l’intenzione di organizzare un colpo di forza militare e sciogliere l’Assemblea. Costretto dagli eventi a richiamare Necker il 16 luglio e a recarsi a Parigi per ricevere la coccarda tricolore – legittimando così i risultati dell’insurrezione del 14 luglio (la presa della Bastiglia) – il sovrano rifiutò poi di sanzionare i decreti di agosto che mettevano fine al regime feudale. Agli inizi di ottobre la pressione popolare e l’intervento della Guardia nazionale lo indussero a mettere fine all’opposizione ai decreti e a trasferirsi da Versailles alle Tuileries. Il 14 luglio 1790, nel primo anniversario della presa della Bastiglia, la sua partecipazione alla grande festa della Federazione nazionale sembrò sancire l’unione di una monarchia rinnovata con il popolo. La costituzione del 1791 del resto affidò al sovrano – denominato “re dei francesi” anziché “re di Francia e Navarra” – il potere esecutivo e il diritto di veto sospensivo, nel tentativo di dare un fondamento liberale alle istituzioni monarchiche e di garantire uno sbocco moderato alla rivoluzione. Ancora una volta però il sovrano dimostrò di non voler accettare una soluzione di tipo costituzionale sul modello inglese. Il 20 giugno 1791 lasciò infatti con la famiglia le Tuileries tentando di espatriare e cercare appoggi (presso i monarchi assoluti e i nobili francesi emigrati) per un ritorno in Francia da posizioni di forza. Scoperto a Varennes e ricondotto a Parigi, fu sospeso dalle sue funzioni fino al 14 settembre, quando approvò la costituzione presentatagli dall’Assemblea costituente e giurò fedeltà alla nazione. Oppose quindi il veto ai provvedimenti contro gli emigrati realisti e i preti refrattari, allontanò i girondini dal potere e affidò il governo ai foglianti. Poco dopo però si venne a realizzare una convergenza di interessi fra il sovrano e i girondini, entrambi favorevoli, seppur per motivi diversi, alla guerra esterna: il re richiamò allora i girondini al potere nel marzo 1792, e su sua proposta l’Assemblea nazionale, il 20 aprile 1792, dichiarò guerra all’Austria poi, nel luglio dello stesso anno, alla Prussia e al Regno di Sardegna. Nel giugno, di fronte alle gravi sconfitte militari subite dagli eserciti francesi, estromise nuovamente dal potere i girondini e richiamò al governo i foglianti, nonostante la mobilitazione popolare e l’invasione delle Tuileries. Mentre era chiaro dal proclama emesso il 25 luglio dal duca di Brunswick che il re era protetto dalla coalizione antifrancese, Robespierre ne chiese la deposizione: il 10 agosto fu sospeso dall’Assemblea legislativa e arrestato. Il 21 settembre la Convenzione nazionale abolì la monarchia. Nel dicembre iniziò il processo contro il sovrano, dopo la scoperta di prove della sua collusione con le potenze nemiche. Il 14 gennaio 1793 Luigi XVI venne condannato a morte dalla Convenzione e il 21 dello stesso mese fu ghigliottinato.