lotta di classe

Benché l’esistenza di conflitti tra le classi sociali sia nota a qualsiasi scuola storica, sociologica o filosofica, in senso proprio la teoria della lotta di classe appartiene al marxismo. Karl Marx sostenne che la lotta di classe è il carattere permanente e decisivo delle società fondate su rapporti di produzione antagonistici, in cui vige cioè la proprietà privata dei mezzi di produzione. Nelle società comuniste – sia quelle primitive, sia quella che la classe operaia ha il compito di realizzare abbattendo il sistema capitalistico – non esiste la divisione in classi con interessi economici conflittuali. La proprietà privata dei mezzi di produzione introduce invece, attraverso la divisione della società in classi proprietarie e classi espropriate, uno stato di conflittualità permanente: “la storia di ogni società è storia di lotte di classi” (Manifesto del partito comunista, 1848). Nella lotta, le classi oppresse acquistano progressivamente coscienza di se stesse, incrementando il proprio potenziale rivoluzionario. Usando una terminologia mutuata dalla filosofia hegeliana, Marx affermò che la “classe in sé”, come insieme non ancora organizzato di individui accomunati da un’eguale posizione nei rapporti di produzione, diventa “classe per sé”, cosciente del proprio compito storico e della propria forza collettiva. La moderna lotta di classe ha avuto storicamente inizio con moti spontanei e rozzi (come il luddismo in Inghilterra), per darsi poi strutture organizzative complesse a livello sia economico (sindacati) sia politico (partiti). Dopo i modi di produzione asiatico e feudale, il sistema capitalistico ha creato, secondo Marx, le basi materiali che renderanno possibile, dopo la rivoluzione comunista, la fine della divisione in classi sociali sfruttatrici e sfruttate e, con essa, della lotta di classe.