Locke, John

(Wrington, Bristol, 1632, † Oates, Essex, 1704). Filosofo e uomo politico inglese. Nato in una famiglia puritana della borghesia di Bristol attiva nella guerra civile, Locke fu in giovinezza negativamente impressionato dal disordine e dall’incertezza dell’epoca rivoluzionaria, e ciò spiega la sua originaria vicinanza alle posizioni di Hobbes, testimoniata dai postumi Saggi sulla legge di natura (1954). Dopo gli studi filosofico-letterari, ottenne il “master of arts” nel 1658, insegnando fino al 1665 retorica e filosofia morale presso il Christ Church College di Oxford. Parallelamente conseguì il baccellierato in medicina. Dopo la restaurazione monarchica (1660), avviò un processo di ripensamento delle sue precedenti posizioni, entrando in contatto con il conte di Shaftesbury, esponente di spicco del partito whig, del quale divenne medico e segretario, impegnandosi nel contempo in un’attività pubblicistica a questi politicamente favorevole. Prova di tale nuovo orientamento è il Saggio sulla tolleranza del 1667. Condividendo le alterne fortune dello Shaftesbury, dal 1675 al 1679 fu costretto all’esilio in Francia. Rientrato in Inghilterra nell’atmosfera greve del tentativo di restaurazione cattolica caratterizzante il periodo precedente la successione di Giacomo II, si impegnò nella lotta all’assolutismo degli Stuart, concentrando la sua attenzione sui temi politici dell’origine, delle forme e dell’estensione del potere e redigendo i primi abbozzi dei due Trattati sul governo civile, che furono poi rielaborati e pubblicati anonimi nel 1690. Soggetto, al seguito dello Shaftesbury, alla persecuzione degli Stuart, riparò nuovamente all’estero, recandosi infine nel 1683 ad Amsterdam. Nell’ambiente colto e liberaleggiante olandese sviluppò ulteriormente la sua filosofia scrivendo il fondamentale Saggio sull’intelletto umano (1690). Il principio di tolleranza religiosa, destinata a diventare uno dei pilastri del liberalismo moderno, trovò definitiva esposizione nelle quattro lettere De tolerantia (1689-1704). Nel 1689 Locke rientrò in Inghilterra al seguito di Guglielmo III d’Orange, a compimento della “gloriosa rivoluzione”, della quale fu il teorico riconosciuto relativamente alla struttura costituzionale e parlamentare del nuovo stato. Con le ultime opere – i Pensieri sull’educazione (1693) e la Ragionevolezza del cristianesimo (1695) – completò la sua riflessione ponendo le basi di una nuova pedagogia e di una concezione del deismo che avrebbero avuto grande fortuna nell’età dell’Illuminismo. Se il primo dei due trattati “sul governo” consiste sostanzialmente nella confutazione delle tesi paternalistiche e assolutiste del Patriarcha di R. Filmer, il secondo contiene nello stesso testo l’apologia del partito whig e la dottrina – ispirata al giusnaturalismo – della monarchia costituzionale e parlamentare basata sui principi della rappresentanza e della divisione dei poteri, in antitesi con la teoria politica di Thomas Hobbes. Gli uomini nello stato di natura – contrariamente al quadro di lotta di tutti contro tutti immaginato da Hobbes – vivono già, secondo Locke, secondo princìpi di libertà, eguaglianza e ragione. Tuttavia il godimento dei propri diritti allo stato naturale, compreso quello fondamentale di proprietà, è precario, in quanto ognuno è giudice di se stesso e non esiste un magistrato neutro che possa dirimere gli inevitabili conflitti. Onde evitare la possibile e probabile degenerazione dalla pace alla guerra subentra la necessità tra gli uomini di accordarsi e di “entrare in un’unica comunità e formare un unico corpo politico”. Da tale contratto sorge la società civile, o politica, e da questa il governo, che riceve dai cittadini il loro potere originario di farsi giustizia unitamente al monopolio della forza, e con ciò il compito di fare le leggi per salvaguardare i diritti di libertà e di proprietà, che restano agli individui, e per difendere la società dalle minacce delle potenze straniere. È questo il nucleo concettuale alla base della concezione lockiana dello stato costituzionale. In esso compaiono poteri distinti e separati: il potere legislativo, detentore della sovranità effettiva che scaturisce dal popolo e delegata tramite elezioni ai suoi rappresentanti in parlamento; il potere esecutivo di cui è titolare il governo, che ne risponde al parlamento; e il potere federativo assegnato al monarca costituzionale. L’obiettivo fondamentale di Locke fu quello di affermare che il potere politico deve essere volto al pubblico bene e trova limiti invalicabili nei diritti che per natura appartengono a ogni uomo; che la funzione del governo è la tutela di questi diritti e che quando tale garanzia è violata è ammesso il diritto di resistenza contro la tirannide. In tal caso giudice e detentore supremo del potere originario ritorna a essere il popolo e a lui compete, nell’eventualità della ribellione antitirannica e della dissoluzione dello stato, il potere di dar vita a un nuovo legislativo e di ricostituire per questa via il governo civile.