Libia

Stato attuale dell’Africa settentrionale. Con questo termine i greci indicavano l’Africa Settentrionale a ovest dell’Egitto. Il nome fu ripristinato dal governo italiano dopo la conquista del 1911, per indicare le due regioni storiche della Cirenaica (a oriente) e della Tripolitania (a occidente), la cui storia seguì percorsi in parte comuni e in parte assai diversi.

  1. L’età antica
  2. Dalla conquista vandala alla dominazione turca
  3. Dal colonialismo italiano all’indipendenza
  4. Dal regno unito di Libia alla rivoluzione di Gheddafi
  5. La Libia di Gheddafi
  6. La caduta del regime di Gheddafi
1. L’età antica

La Cirenaica fu colonizzata intorno al VII secolo a.C. dai greci; in epoca alessandrina la regione seguì le vicende dell’Egitto dei Tolomei. In Tripolitania invece si stanziarono, specie sulle coste, i fenici – che vi costituirono alcune basi commerciali – prima che la regione rientrasse sotto il dominio dei cartaginesi e poi, dalla seconda guerra punica al 46 a.C., dei numidi. Nel corso del I secolo a.C. entrambe le regioni passarono ai romani: prima la Cirenaica (divenuta provincia nel 74), poi la Tripolitania (divenuta provincia dell’Africa nova nel 46). In età imperiale le due province ebbero grande importanza come fornitrici di grano per Roma.

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2. Dalla conquista vandala alla dominazione turca

Tra il V e il VI secolo si ebbe la formazione del regno dei vandali, distrutto da Giustiniano nel 533. Da allora la zona fu unita per circa un secolo all’impero romano d’Oriente. A partire dal 643, in seguito alla rapida espansione araba lungo le sponde meridionali del Mediterraneo, Cirenaica e Tripolitania furono soggette ai nuovi conquistatori: dapprima alla dominazione degli Omayyadi (nell’VIII secolo), poi a quella dei Fatimidi (dal X secolo), infine – dopo la breve parentesi dell’occupazione spagnola all’epoca di Carlo V – a quella dei turchi dal 1551 (Reggenza di Tripoli). Durante la dominazione turca si sviluppò una vera e propria pirateria di stato e le due regioni ebbero una certa autonomia, soprattutto la Tripolitania che divenne di fatto indipendente sotto la dinastia Karamanlis (1711-1835). Nel 1835 fu ristabilita l’autorità turca, ma già dal 1859 i senussi, musulmani sufiti, costituirono uno stato indipendente su parte della Cirenaica. La riconquista ottomana rimase dunque un atto formale, in un momento in cui si andava sviluppando l’influenza del movimento dei senussi e, soprattutto, mentre i principali paesi europei iniziavano a confrontarsi per la spartizione coloniale della regione.

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3. Dal colonialismo italiano all’indipendenza

La zona libica, per la sua posizione strategica nel Mediterraneo, divenne oggetto delle mire espansionistiche dell’“imperialismo straccione” italiano. Nel settembre 1911 l’Italia dichiarò guerra alla Turchia e dopo l’occupazione di alcuni centri costieri della Cirenaica e della Tripolitania impose la sua sovranità su entrambe le regioni. Il conflitto italo-turco si concluse nell’ottobre 1912 con il riconoscimento di tutta l’area libica all’Italia (trattato di Losanna), ma la dura resistenza opposta nell’interno dalle tribù arabe legate ai senussi (che costituirono una sorta di governo autonomo in Cirenaica) e dai beduini limitò nel corso della prima guerra mondiale l’effettiva conquista italiana alla sola zona mediterranea. Nel 1919 gli italiani crearono in Libia le due colonie della Cirenaica e della Tripolitania, dal 1929 poste sotto un’unica amministrazione in cui erano compresi anche il Fezzan, la Sirtica, la Marmorica e le oasi del Sahara. Nonostante la riorganizzazione dell’amministrazione coloniale e un tentativo di accordo con i senussi, già nel 1922 scoppiò una rivolta generalizzata che fu domata soltanto nove anni dopo. Fra il 1933 e il 1940 fu intrapreso un piano di colonizzazione su vasta scala che, se da un lato si concretizzò in opere pubbliche di una certa rilevanza, dall’altro riuscì solo marginalmente a realizzare l’obiettivo di offrire uno sbocco all’emigrazione di braccianti e contadini italiani, acuendo al tempo stesso il risentimento delle popolazioni locali. Durante la seconda guerra mondiale la Libia fu al centro di importanti operazioni militari, data la sua posizione strategica sia per le potenze dell’Asse (per la sua vicinanza all’Egitto e al canale di Suez), sia per gli inglesi, ai quali consentiva l’accesso al Mediterraneo occidentale. Fra l’agosto e il settembre 1940 gli italiani occuparono Sidi-el-Barani, ma già dal dicembre dello stesso anno gli inglesi contrattaccarono e nel febbraio 1941 si impadronirono della Cirenaica fino al deserto della Sirte. L’intervento tedesco riuscì in un primo tempo a ristabilire la situazione a favore dell’Asse: per due volte, nell’aprile 1941 e nel gennaio dell’anno successivo, gli inglesi vennero respinti dalla Cirenaica, e nel luglio 1942 la grande offensiva di E. Rommel portò le truppe tedesche e italiane in territorio egiziano, fino a 100 km da Alessandria. La disfatta di El Alamein nel novembre 1942 a opera del generale inglese Bernard Montgomery provocò la ritirata degli italo-tedeschi verso la Libia, che Rommel fu costretto ad abbandonare nel gennaio 1943, in seguito alla massiccia controffensiva inglese in Africa settentrionale. Con il trattato di Parigi (10 febbraio 1947) l’Italia rinunciò alla Libia, ma per la complessa situazione interna e per i contrasti tra gli Alleati il paese ottenne l’indipendenza – come stato federale composto da Cirenaica, Tripolitania e Fezzan – soltanto il 24 dicembre 1951, dopo che già nel novembre 1949 l’ONU si era pronunciata in tal senso.

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4. Dal regno unito di Libia alla rivoluzione di Gheddafi

Si costituì quindi il regno di Libia, del quale fu riconosciuto sovrano Idris I, già capo della confraternita dei senussi. La politica estera seguita dalla Libia in questa fase fu nel complesso filo-occidentale (furono stabiliti rapporti privilegiati con Francia e Gran Bretagna), anche se furono rinsaldati i legami col mondo arabo. Nel marzo 1953 la Libia entrò nella Lega araba e nel 1955 divenne membro dell’ONU: si riflettevano quindi nelle scelte di politica internazionale le due anime filo-occidentale e panarabista del paese, rappresentate rispettivamente dal Partito dell’indipendenza e dal Congresso libico. In politica interna, nonostante l’avvio di caute riforme a partire dal 1963 (tra queste la scelta dello stato unitario anziché federale), la distribuzione del potere e della ricchezza – accresciutasi fortemente dopo l’inizio dello sfruttamento delle risorse petrolifere alla fine degli anni Cinquanta – rimase concentrata nell’ambito di una ristretta oligarchia vicina alla corte e si dimostrò inadeguata alle esigenze di uno stato moderno. Dagli anni Sessanta iniziò a profilarsi un atteggiamento di protesta contro la monarchia e al tempo stesso si avvertì sempre più forte la suggestione della politica nasseriana. Il 31 agosto 1969, approfittando di un viaggio del sovrano in Turchia, un colpo di stato militare guidato dal colonnello Muammar el-Gheddafi rovesciò la monarchia.

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5. La Libia di Gheddafi

Il Consiglio rivoluzionario, presieduto dallo stesso Gheddafi, proclamò la repubblica araba di Libia, affidando dapprima il governo a Mahmud Soliman el-Maghrabi, estromesso però già nel gennaio 1970. Gheddafi divenne presidente del consiglio: le banche e le proprietà straniere furono nazionalizzate; le basi militari concesse sin dagli anni Cinquanta a inglesi e americani furono fatte evacuare e furono espropriati i beni degli italiani; l’amministrazione, l’educazione, la cultura furono completamente arabizzate. Dal punto di vista ideologico la Libia di Gheddafi si fece paladina di una “terza via” rispetto al capitalismo e al socialismo, fondata sul nazionalismo arabo e sull’islam, nell’ambito di un rigido sistema autoritario che si tradusse nell’istituzione di un partito unico, l’Unione socialista araba, di ispirazione nasseriana. In politica estera il panarabismo della leadership libica si concretizzò nell’appoggio alle frange palestinesi più intransigenti (non senza frizioni con l’OLP di Yasser Arafat), nell’istigazione alla lotta senza quartiere contro Israele, considerato il principale nemico della grande nazione araba, e nel tentativo (peraltro sempre fallito) di organizzare una federazione di stati intorno al proprio progetto ideologico, come avvenne nel 1971 con l’Egitto e la Siria, nel 1973 ancora con l’Egitto e nel 1974 con la Tunisia. Nell’aprile 1974 Gheddafi lasciò formalmente le proprie funzioni al primo ministro Jalloud, imprimendo contemporaneamente una svolta alla politica estera libica con l’avvicinamento all’Unione Sovietica. Sul piano politico-ideologico il ruolo della Libia nel delicato settore mediorientale e nel Mediterraneo si andò sempre più radicalizzando e il regime di Gheddafi divenne, insieme alla Siria e all’Iran, il punto di riferimento dei paesi arabi intransigenti, radicalmente avversi a ogni tipo di accordo con Israele. Parallelamente la Libia cercò di trovare una propria sfera di influenza in Africa, dove intervenne a più riprese in aree di crisi senza riuscire peraltro a concretizzare stabilmente i suoi dispendiosi sforzi militari. L’impegno più tenace fu profuso nel Ciad, dove i libici occuparono fin dal 1973 la striscia di Auzu, cercando di inserirsi nei contrasti interni di quel paese per insediarvi un governo amico. Se in un primo tempo la zona settentrionale del Ciad fu sotto il controllo libico, l’intervento francese e americano a fianco del presidente del Ciad Hissène Habré portò poi al definitivo ritiro delle truppe di Tripoli, e nel 1989 i due paesi si accordarono per risolvere pacificamente la questione della striscia di Auzu. Un’altra area di intervento fu dal 1975 l’ex Sahara occidentale, dove i libici sostennero il Fronte Polisario. Nel 1977 si registrarono gravi tensioni con l’Egitto e l’Algeria a causa della unilaterale volontà di Gheddafi di procedere a progetti di unificazione dei paesi dell’area sahariana (vagheggiando la costituzione degli Stati uniti del Sahara). In politica interna nel marzo 1977 la Libia si diede una nuova costituzione, che istituì la Jamahiriya, lo “stato delle masse”, una sorta di democrazia diretta in cui il potere di decisione, a tutti i livelli, spettava ai comitati popolari e in cui il Consiglio generale del popolo aveva le funzioni di governo. Il fanatismo manifestato nella volontà di esportare il proprio modello politico accentuò i tratti destabilizzanti dell’azione libica nel Mediterraneo (in più occasioni apertamente accusata di fomentare gruppi terroristici) e la sua valenza antioccidentale: di qui le ritorsioni adottate dagli Stati Uniti, particolarmente dopo il 1981, sotto la presidenza di Ronald Reagan. Il momento di maggiore tensione fu raggiunto a seguito degli attentati palestinesi – esaltati dal governo libico – agli aeroporti di Roma e di Vienna nel dicembre 1985. Alle sanzioni economiche decise dai paesi europei e dagli Stati Uniti la Libia rispose irrigidendosi sulla questione delle acque territoriali. In un clima sempre più drammatico, si giunse così al confronto armato, culminato con la distruzione da parte americana di alcune basi libiche e con il bombardamento americano di Tripoli e Bengasi (15 aprile 1986). In seguito però la politica interna ed estera libica si fecero complessivamente più moderate, perché il paese risentiva della crisi economica, causata dalla diminuzione del prezzo del greggio e dalle forti spese per l’esercito, e anche perché il regime si rivelava ormai isolato all’interno degli stessi stati arabi. Per contro si dimostrò aleatoria l’ipotesi auspicata dagli Stati Uniti (con i quali i rapporti precipitarono nuovamente nel 1988 per la questione della presunta produzione di armi chimiche negli stabilimenti di Rabta) di un rovesciamento del regime libico. Quest’ultimo dal 1987 perseguì una politica di distensione nei confronti degli stati arabi moderati, in particolare quelli del Maghreb, che si concretizzò nel 1989 nella costituzione dell’Organizzazione degli stati del Maghreb. Anche con i paesi europei si allentò la tensione, e in occasione dell’invasione irachena del Kuwait (2 agosto 1990) la Libia condannò l’aggressione, dichiarandosi peraltro contraria all’invio di truppe dell’ONU. All’interno Gheddafi seguì una politica di riconciliazione dagli aspetti platealmente propagandistici, non esente da promesse di nuove aperture in materia costituzionale. Le relazioni con gli USA si fecero nuovamente assai tese dopo che nel 1989 una società tedesca ammise la vendita alla Libia di impianti per la produzione di armi chimiche. La tensione con i paesi occidentali tornò a farsi acuta nel 1992, quando la Libia rifiutò di consegnare alla giustizia i presunti attentatori che avevano provocato nel 1988 lo scoppio di un aereo e la morte dei 270 passeggeri nei pressi di Lockerbie, in Scozia. In risposta l’Onu impose sanzioni, con la proibizione della vendita di armi e altri materiali strategici, l’embargo aereo e il congelamento dei beni libici all’estero. Nel 1995, per ostilità verso la politica di pacificazione con Israele, Gheddafi ordinò l’espulsione dei circa 30 mila palestinesi presenti in Libia. Un successo per il dittatore libico fu la decisione nel 1997 del Vaticano di stabilire le relazioni diplomatiche con il suo paese. Nel 1999 Gheddafi consegnò finalmente all’ONU i presunti attentatori di Lockerbie perché venissero processati, con la conseguenza della sospensione delle sanzioni e del miglioramento delle relazioni anzitutto con gli USA. Con l’Italia la Libia firmò nel 1998 un accordo che pose fine al lungo contenzioso sulle responsabilità dell’occupazione coloniale. Nel 2003 l’Onu sospese le sanzioni e, tra 2006 e 2007, furono ristabilite le relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti. Nel quadro di un rilancio internazionale della Libia, teso ad attrarre capitali stranieri, rientrarono anche gli accordi siglati nel 2009 col governo italiano.

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6. La caduta del regime di Gheddafi

Nel 2011, in coincidenza con le grandi manifestazioni di massa che portarono alla caduta quasi simultanea dei regimi di Ben Alì in Tunisia e di Mubarak in Egitto, nella parte orientale del paese, e più precisamente nella regione di Bengasi, si animò un forte movimento di protesta contro Gheddafi, che, dopo essere degenerato in scontri aperti con le forze di polizia, portò allo scatenamento di una vera e propria guerra civile. A fronte della ferma volontà di Gheddafi di mantenere il potere assoluto e della rapida escalation delle violenze in tutto il paese, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU votò all’unanimità il ripristino immediato delle sanzioni contro il regime e il congelamento dei beni dei familiari del rais libico. Nel frattempo a Bengasi gli oppositori del regime istituirono un Consiglio nazionale incaricato di guidare il paese nel processo di transizione verso la democrazia. Alla violenza della controffensiva scatenata dalle forze fedeli al regime, che investì anche la popolazione civile di Bengasi, l’Unione Europea rispose intimando a Gheddafi di lasciare il potere. Il 17 marzo il Consiglio di Sicurezza dell’ONU istituì una no-fly zone e autorizzò l’uso della forza militare a protezione della popolazione civile. Due giorni dopo una coalizione di forze guidata da USA, Gran Bretagna e Francia iniziò i bombardamenti sulla Libia. Dopo una prima fase in cui l’iniziativa militare fu gestita autonomamente dai singoli membri della coalizione, il comando delle azioni passò alla NATO. Dopo alcuni mesi di andamento incerto della guerra civile, in agosto le forze ribelli entrarono a Tripoli e a settembre iniziarono l’assedio delle ultime roccaforti in mano ai fedelissimi di Gheddafi, il quale fu infine catturato e giustiziato verso la fine di ottobre. Nel frattempo, a Tripoli, il Consiglio nazionale di transizione si insediò come governo provvisorio con a capo Mustafa Abd al-Jalil, il quale dovette fare i conti col mancato disarmo delle milizie e con le persistenti rivalità tra gruppi contrapposti. Alle elezioni del 2012 si affermò l’Alleanza delle forze nazionali, una formazione di orientamento secolare, guidata dall’ex primo ministro ad interim Mahmoud Jibril. La perdurante instabilità politica del paese fu tuttavia confermata pochi mesi dopo, quando, nel settembre 2012, un gruppo islamista attaccò il consolato statunitense a Bengasi, assassinando l’ambasciatore americano in Libia, Christopher Stevens.

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