Leone XIII

Al secolo Vincenzo Gioacchino Pecci (Carpineto Romano 1810, † Roma 1903). Papa dal 1878 al 1903. Ordinato sacerdote nel 1837, fu legato apostolico a Benevento e a Perugia, poi nunzio a Bruxelles. Arcivescovo di Perugia (1846), nel 1853 divenne cardinale. Negli anni del conflitto tra regno d’Italia e papato, seguì una politica di maggior apertura al dialogo rispetto al suo predecessore Pio IX, pur difendendo anch’egli il potere temporale della chiesa. Il suo pontificato fu caratterizzato dall’alternarsi di momenti di dialogo con il mondo laico e lo stato italiano e di fasi di reciproco irrigidimento. Appena eletto ribadì il rifiuto dell’abolizione del potere temporale dei papi e il divieto ai cattolici di partecipare alla vita politica del regno d’Italia, considerato illegittimo. Tra il 1880 e il 1882 sollecitò l’azione delle potenze internazionali, in particolare dell’Austria, in proprio favore. Nel 1887 auspicò un nuovo spirito di conciliazione tra stato e chiesa e l’invito fu accolto positivamente dal governo Crispi. Nello stesso periodo, con la fine del Kulturkampf, vennero superati i contrasti tra la chiesa e la Germania di Bismarck. In quegli anni inoltre, pur mantenendo il veto relativamente all’Italia, Leone XIII permise in altri paesi europei la formazione di partiti cattolici, riconoscendo di fatto le istituzioni liberali. Quando iniziarono ad affermarsi, all’interno del mondo cattolico, tendenze favorevoli alla conciliazione con lo stato e movimenti che sollecitavano l’intervento dei cattolici nei principali problemi sociali dell’epoca, rispose a queste istanze con l’enciclica Rerum novarum (1891), uno dei documenti più significativi della dottrina sociale della chiesa. In essa si riconosceva l’importanza del nuovo sviluppo economico e del capitalismo, ma nello stesso tempo se ne denunciavano i gravi costi sociali. Si affermava tra l’altro “essere di estrema necessità venir senza indugio con opportuni provvedimenti in aiuto dei proletari che per la maggior parte trovansi indegnamente ridotti ad assai misere condizioni. Imperocché [...] avvenne che a poco a poco gli operai rimanessero soli e indifesi in balia della cupidigia de’ padroni e di una sfrenata concorrenza. [...] Si aggiunga il monopolio della produzione e del commercio, tantoché un piccolissimo numero di straricchi hanno imposto all’infinita moltitudine de’ proletari un giogo poco meno che servile”. Dopo una dura condanna delle teorie socialiste, che vedevano nella lotta di classe e nell’abolizione della proprietà privata il superamento delle ingiustizie sociali, l’enciclica individuava una terza via tra liberalismo e socialismo. Ispirandosi ai principi solidaristici cristiani, i cattolici dovevano impegnarsi in campo sociale favorendo la collaborazione tra le classi e il miglioramento delle condizioni di vita dei ceti popolari. Strumenti di questo impegno dovevano essere le associazioni dei lavoratori o, meglio ancora, corporazioni unitarie di imprenditori e operai. Gli scioperi venivano condannati come forme di turbamento della pace sociale ma si affermava che piuttosto che reprimerli era necessario rimuoverne le cause. Allo stato veniva affidato il compito di garantire la proprietà privata e di tutelare le condizioni di vita e di lavoro degli operai. L’enciclica suscitò grande interesse nel mondo cattolico e stimolò la nascita di movimenti quale quello dei “democratici cristiani” di Murri e Toniolo. Il pontefice, pur riconoscendo tali movimenti, si preoccupò però di delimitarne il campo d’azione e di mantenerli sotto il controllo delle gerarchie, precisando, ad esempio, che l’attività dei “democratici cristiani” non doveva essere direttamente politica ma “azione benefica verso il popolo”. L’ultimo atto importante del pontificato di Leone XIII fu la celebrazione del ventiduesimo giubileo nel 1900.