Keynes, John Maynard

(Cambridge 1883, † Firle Beacon, Sussex, 1946). Economista inglese. Tra i massimi economisti del Novecento, Keynes diede nel trattato Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta (1936) un inedito schema interpretativo dell’economia capitalista, fornendo altresì le direttive per lo sviluppo di conseguenti politiche economiche – dette appunto “keynesiane” – fondate sull’intervento pianificatorio e democratico dello stato. La sua opera costituì un punto di riferimento nell’America rooseveltiana del New Deal e soprattutto nel secondo dopoguerra nei paesi europei occidentali impegnati nella riconversione e nella costruzione delle strutture economiche di supporto allo stato sociale. Compì studi di letteratura, politica, matematica, logica ed economia, partecipando ai dibattiti universitari e alla vita culturale del Circolo di Bloomsbury, dove conobbe filosofi come B. Russell e letterati come V. Woolf. Dal 1906 fu per due anni alle dipendenze del ministero per l’India. Nel 1908 ottenne un posto di lecturer di economia all’Università di Cambridge e nel 1909 fu nominato fellow del King’s College. Divenne poi direttore dell’“Economic Journal”, la più antica rivista economica inglese. Incominciò così una prestigiosa carriera nella quale rivestì anche il ruolo dell’investitore e del manager, nonché di consulente del governo inglese e suo rappresentante nelle sedi monetarie e finanziarie più importanti, nazionali e internazionali, dalla Conferenza di Versailles (1919) a quella di Bretton Woods (1944). Tra le sue opere, oltre alla maggiore, sono da ricordare: Circolazione monetaria e finanza in India (1913), Le conseguenze economiche della pace (1919), il Trattato sulla probabilità (1921), La riforma monetaria (1923), Le conseguenze economiche di Winston Churchill (1925), La fine del laissez-faire (1926), il Trattato sulla moneta (1930), I mezzi per la prosperità (1933), Come finanziare la guerra (1940). L’elenco mostra la complessità e la profondità degli interessi keynesiani, da quelli matematico-logici del Trattato sulla probabilità, accolto da Russell con attenzione, a quelli più propriamente politici, che lo portarono a schierarsi nelle file del liberalismo progressista. Keynes comprese con grande lucidità l’errore – pernicioso per il mantenimento della democrazia e della pace europea – commesso dai governi inglese e francese con l’imposizione di una pace “cartaginese” alla Germania nel 1919. Ne La fine del laissez-faire egli criticò il liberismo tradizionale e si pronunciò per l’interventismo statale, in coerenza con i compiti e le responsabilità sociali dello stato democratico contemporaneo e alla luce dei principi di politica e di pianificazione economica che andava maturando e che furono confermati dopo la grande crisi del 1929. Per evitare tali crisi occorreva non deprimere, ma rafforzare le capacità di consumo di massa con alti salari, investendo in grandi opere pubbliche, in obiettivi produttivi e non speculativi, con interessi bassi e creando un sistema fiscale adeguato al recupero di risorse. Le idee anticonformiste anche in materia di parità tra le monete e di impostazione del rapporto tra domanda e offerta, si affermarono pienamente negli scritti degli anni Trenta e nella Teoria generale. In essa furono elaborati i principi sulla base dei quali si spiega la proposizione di Keynes che l’economia è al fondo incapace di autocorreggersi e che pertanto è necessario un intervento esterno. Vi è pure la costruzione di un modello macroeconomico e dinamico di relazioni tra risparmio e investimenti, domanda e offerta di lavoro e di moneta, utilizzabile ai fini della lotta contro la disoccupazione e contemporaneamente contro la deflazione e l’inflazione. Nell’opuscolo su I mezzi per la prosperità Keynes prese in esame l’opportunità di attuare, a tal fine, anche una politica di bilancio pubblico in disavanzo: un’indicazione che godette di grande fortuna applicativa nel secondo dopoguerra. A Bretton Woods egli si batté per la creazione di un’unione monetaria internazionale fondata su una moneta, il “bancor”, in grado di fungere da riferimento per il commercio mondiale e quindi da stimolo per lo sviluppo economico. Pur non avendo successo la sua proposta originaria, gli accordi che seguirono e i due istituti di coordinamento internazionale, il Fondo monetario e la Banca per la ricostruzione e lo sviluppo, sono da considerare come prodotti dell’orientamento da lui esposto.