Italia giacobina e napoleonica

Quando nel 1796 Napoleone diede inizio alla sua campagna militare in Italia, la Francia era governata da un Direttorio dagli orientamenti decisamente moderati. Le istituzioni giuridiche e sociali introdotte nei territori italiani conquistati dai francesi (trasformati nelle cosiddette “repubbliche giacobine”) ebbero dunque ben poco di “giacobino”, anche se provocarono mutamenti notevoli rispetto alle strutture giuridico-sociali preesistenti. I nuovi governi nati all’ombra delle bandiere francesi abolirono i diritti signorili e i privilegi del clero e della nobiltà. Solo i beni terrieri degli enti ecclesiastici (e nemmeno tutti) furono espropriati e poi venduti ai privati, mentre le proprietà dei nobili non vennero toccate. Per quanto riguarda i beni ecclesiastici, essi furono in anni successivi venduti a poco a poco all’asta ai migliori offerenti, dando così origine a una potente borghesia terriera. Dal punto di vista politico si può osservare che, mentre la borghesia terriera italiana divenne, dopo il 1814, l’ossatura del movimento liberale e nazionale, il ceto dei piccoli proprietari – nato dallo spezzettamento e dalla vendita delle terre ecclesiastiche e nobiliari – diventò (ed è rimasto sino ai giorni nostri) la base politica di tutti i movimenti di destra e di estrema destra nella disperata difesa di una struttura socioeconomica ormai sempre più obsoleta. Fra il 1796 e il 1799 la penisola italiana assunse il seguente profilo geopolitico. In Piemonte la monarchia sabauda sopravvisse ancora con Carlo Emanuele IV, ma in realtà sotto il totale controllo dei francesi; fra l’altro la pace di Parigi (15 maggio 1796) aveva lasciato nelle loro mani alcune città militarmente molto importanti (come Alessandria); con la pace suddetta era stata inoltre sanzionata la conquista di Nizza e della Savoia operata dai francesi fin dal 1792. Nel dicembre 1798 Carlo Emanuele IV si trasferì in Sardegna e a Torino fu creato un governo provvisorio del tutto subordinato ai comandanti militari francesi. In Liguria venne spazzata via la vecchia repubblica aristocratica di Genova e fu creata la repubblica ligure. In Lombardia si formò la repubblica cisalpina, con la quale (luglio 1797) si fuse la repubblica cispadana formatasi sul finire del 1796 nei territori dell’Emilia e della Romagna. Con il trattato di Campoformio (17 ottobre 1797) la Francia lasciò Venezia e gran parte del suo territorio all’Austria, mentre si impossessava delle isole venete dell’Adriatico e dello Ionio. Nel 1798 anche Roma venne occupata dai francesi e nacque la repubblica romana. Pio VI fu costretto a rifugiarsi in Toscana (morì nel 1800 e gli succedette Pio VII). Agli inizi del 1799 i francesi occuparono anche la Toscana e l’Italia meridionale; in quest’ultima venne creata la repubblica partenopea, mentre Ferdinando IV di Borbone fuggì in Sicilia sotto la protezione della marina britannica. La scena cambiò totalmente pochi mesi dopo, nello stesso 1799. Approfittando dell’assenza di Napoleone, che si era avventurato nella campagna d’Egitto, un esercito austro-russo scese nella pianura padana e batté i francesi, i quali furono costretti ad abbandonare tutte le conquiste realizzate nella penisola. Caddero dunque le repubbliche giacobine, mentre i governi restaurati o quelli creati provvisoriamente dagli austriaci (come accadde in Piemonte) infierirono contro coloro che avevano dimostrato simpatie per i francesi. Ritiratisi i russi, i cui reparti si trasferirono in Svizzera, restarono in Italia gli austriaci, che con le loro prepotenze e vessazioni si comportarono verso la popolazione peggio dei francesi. Dopo la battaglia di Marengo del 14 giugno 1800, Napoleone, divenuto nel frattempo primo console, riconquistò in un solo colpo il controllo della situazione italiana. In quell’anno e negli anni successivi i governi restaurati nel 1799 vennero abbattuti. Il 5 giugno 1800 fu ristabilita la repubblica cisalpina a cui viene annesso (13 ottobre) il territorio piemontese situato fra il Sesia e il Ticino; con la pace di Lunéville del 9 febbraio 1801 tra Austria e Francia la cisalpina guadagnò una parte del Veronese e il Polesine; il 21 marzo 1801 fu creato in Toscana il regno di Etruria che fu assegnato all’infante Ludovico di Borbone-Parma; Parma e Piacenza nel 1802 furono annesse alla Francia; l’11 settembre 1802 anche il Piemonte fu annesso, mentre il 26 gennaio 1802 la repubblica cisalpina fu trasformata in repubblica italiana, la cui presidenza fu assegnata a Napoleone. Dopo aver assunto il titolo di imperatore dei francesi il 18 aprile 1804, Napoleone si proclamò re d’Italia il 19 marzo 1805, trasformando così la repubblica in regno. Il 4 giugno 1805 anche la Liguria fu annessa all’impero; il 26 dicembre 1805, con la pace di Presburgo, l’Austria cedette il Veneto, l’Istria e la Dalmazia, che furono aggregati al regno d’Italia; il 30 marzo 1806 Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone, fu nominato re di Napoli, mentre Ferdinando IV di Borbone dovette di nuovo rifugiarsi in Sicilia; il 27 ottobre 1807 si ebbe l’annessione all’impero della Toscana; il 2 aprile 1808 anche le Marche entrarono a far parte del regno d’Italia. Quando poi Giuseppe Bonaparte fu nominato re di Spagna, il trono napoletano fu assegnato a Gioacchino Murat, marito di Carolina Bonaparte; il 17 maggio 1808 il potere temporale dei papi fu dichiarato decaduto: il papa Pio VII fu deportato dapprima a Savona e poi in Francia, mentre Lazio e Umbria furono annessi all’impero. Dopo la pace di Schönbrunn (14 ottobre 1809) Trieste, la Croazia dalmatica, l’Istria (staccata dal regno d’Italia) andarono a formare le “provincie illiriche”; il 28 maggio 1810 anche Trento entrò a far parte del regno d’Italia. La penisola italiana risultò quindi divisa in tre parti: una parte settentrionale (la più consistente dal punto di vista territoriale e da quello economico-finanziario) riunita nel regno d’Italia; una parte meridionale, formante il regno di Napoli; e una parte, poco omogenea e frazionata territorialmente, incorporata direttamente nell’impero. È molto probabile che questa situazione si sarebbe semplificata, con l’ingrandimento del regno d’Italia, se la vita del sistema napoleonico si fosse prolungata. Ad ogni modo, nonostante la suddivisione politica, in realtà in tutta la penisola italiana venne allora stabilito un sistema amministrativo, giuridico e finanziario uniforme, modellato su quello francese (ricordiamo in particolare la promulgazione, in ciascuno stato, dei codici civile, penale, di procedura civile e penale, di commercio che erano la traduzione quasi letterale dei famosi codici napoleonici promulgati in Francia). Grande cura si ebbe anche nella scelta delle persone chiamate a ricoprire cariche pubbliche. Dal punto di vista economico, grande impulso fu dato alle opere pubbliche (strade, ponti, argini dei fiumi, abbattimento di fortificazioni e cinte murarie che impedivano lo sviluppo delle città ecc.). Meno incisivo si dimostrò l’intervento dei singoli governi nel settore dell’assistenza pubblica e dell’istruzione popolare, per i quali si lasciò largo spazio all’iniziativa privata. Grande attenzione venne invece dedicata (con l’istituzione dei “Collegi nazionali”, i cui programmi corrispondevano grosso modo a quelli dei nostri licei) all’istruzione impartita ai giovani dei ceti più elevati, i migliori dei quali venivano poi destinati alle accademie militari o alle scuole superiori d’amministrazione. La rovina di Napoleone provocò il crollo del sistema italiano da lui architettato, che aveva incontrato ben scarsi e, in genere, poco qualificati oppositori interni. Il problema dell’unificazione nazionale e della modernizzazione dei suoi apparati legislativi e burocratici doveva riprendere lentamente e faticosamente, fra mille difficoltà, solo dopo il 1814-15. Non tutto ciò che Napoleone aveva realizzato andò distrutto (le proprietà ecclesiastiche vendute, ad esempio, non vennero restituite) e, in parte, le sue norme legislative furono conservate nel ducato di Parma e Piacenza, nel regno delle Due Sicilie, e furono ripristinate in seguito nella legislazione del regno di Sardegna al tempo di Carlo Alberto e da esso passarono in eredità all’Italia unita. Ma non si seppe più creare né una burocrazia né una magistratura così competenti, così efficienti, così profondamente consapevoli delle proprie funzioni come quelle che Napoleone aveva saputo istituire. [Narciso Nada]