islam

  1. L’Arabia antica e l’avvento dell’islam
  2. Il credo e il culto musulmani
  3. Il califfato e le conquiste
  4. Le grandi dinastie califfali
  5. I grandi imperi islamici
  6. L’età contemporanea
  7. L’integralismo islamico
1. L’Arabia antica e l’avvento dell’islam

La civiltà islamica ha avuto origine circa seicento anni dopo Cristo nei territori dell’Arabia centrale dai quali per secoli, spinti dalla fame e dalle carestie, i beduini si erano periodicamente riversati nei paesi circostanti. A differenza degli arabi del sud e di quelli del nord, questi nomadi non conoscevano altra organizzazione sociale che la tribù, dove prevalevano i legami orizzontali sulla struttura gerarchica e non sussistevano che forme limitate di autorità. La predicazione del profeta Maometto (in arabo Muhammad), iniziata nel 610 alla Mecca – grande centro carovaniero e sede di un importante tempio pagano – contribuì non soltanto a diffondere tra gli arabi la fede in un Dio unico, simile a quella professata da ebrei e cristiani presenti nel paese con piccole comunità, ma anche a porre nuove basi per lo sviluppo della società. Il momento in cui ciò si rese più evidente fu quello della famosa égira, ossia la migrazione compiuta da Maometto e dai suoi fedeli nel 622 dalla Mecca a Medina, con la quale il vincolo della fede comune venne a sostituire gli antichi legami di parentela e alleanza quale elemento unificante della Umma (comunità dei credenti), stabilendo un particolare rapporto tra religione e politica che ancor oggi caratterizza il mondo musulmano. Quando il profeta morì, nel 632, dopo aver unificato la penisola araba sotto l’egida del nuovo credo, non lasciò altre disposizioni che quelle contenute nel Corano (che i musulmani considerano parola di Dio, rivelata a Maometto tramite l’angelo Gabriele) e il proprio esempio, più tardi sistematicamente raccolto nella Sunna (ossia tradizione), che costituirono le fonti principali in base alle quali l’islam sviluppò nei secoli successivi il grande edificio del suo credo, del culto e della legge religiosa (sharia).

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2. Il credo e il culto musulmani

I principi fondamentali della fede islamica sono il monoteismo, ossia la fede in un unico Dio (in arabo Allah), e la credenza nella missione profetica di Maometto. Costui non è comunque ritenuto l’unico profeta, ma l’ultimo di una serie che comprende anche Mosè – inviato da Dio agli ebrei – e lo stesso Gesù, che però non sarebbe figlio di Dio come asseriscono i cristiani, bensì semplicemente uno dei messaggeri che Dio ha inviato all’umanità. La fede in questa pluralità di profeti comprende quella nei libri rivelati da essi trasmessi. Prima del Corano quindi, anche la Torah, i Salmi e il Vangelo costituirebbero altrettanti messaggi divini al genere umano, ricevuti dai profeti per mezzo degli angeli. Essendo però il Corano l’ultima e definitiva versione della rivelazione, i precedenti testi sacri sono considerati dai musulmani superati, se non addirittura falsificati da ebrei e cristiani e quindi inaccettabili. Oltre alla credenza negli angeli, cui si è fatto cenno, anche quella nella risurrezione finale, nel giudizio universale e nella vita futura (in paradiso per i credenti, all’inferno per gli altri) fanno parte dei dogmi fondamentali dell’islam. Per manifestare la propria fede, il musulmano deve obbedire ai precetti di base della sua religione, conosciuti come i cinque pilastri dell’islam: la professione di fede che proclama: “Non c’è altro dio che Iddio e Maometto è il Suo inviato”; la preghiera rituale, compiuta cinque volte al giorno in orari prestabiliti e composta da formule e gesti predeterminati, da farsi dopo essersi purificati mediante le abluzioni e rivolti verso la Mecca; il digiuno del mese di Ramadan, che comporta l’astensione da cibi, bevande, fumo e rapporti sessuali per tutte le ore di luce del giorno; l’elemosina legale o decima, che consiste nel versamento di una certa percentuale di determinati beni a favore degli indigenti e dei bisogni della comunità; il pellegrinaggio alla Mecca, da effettuarsi almeno una volta nella vita da parte di chi abbia sufficiente salute e mezzi per farlo. Essendo l’obbedienza ai precetti divini e agli insegnamenti profetici la via maestra per vivere pienamente la fede, nell’islam si è molto sviluppato il diritto e le scuole giuridiche hanno determinato con puntigliosità i comportamenti ammessi da parte del credente nelle più diverse circostanze della vita e quelli invece da considerarsi illeciti. Coloro che non si sentivano appagati dal semplice rispetto delle norme stabilite e desideravano superare il rischio del legalismo insito in una simile impostazione hanno sviluppato la spiritualità, tramite la pratica dell’ascesi e tendendo all’avvicinamento intimo a Dio. La mistica musulmana è nota col nome di sufismo (probabilmente dal termine arabo sûf, ossia lana grezza, di cui erano vestiti appunto gli asceti) e ha dato al mondo alcune delle personalità e delle opere più significative in questo campo. I musulmani sono sostanzialmente concordi sui punti fondamentali della dottrina, ma non mancano distinzioni significative tra i sunniti (circa il 90%) e i vari gruppi sciiti: questi ultimi sono particolarmente legati alla figura dell’imam, una sorta di capo spirituale discendente dal quarto califfo Alì.

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3. Il califfato e le conquiste

Scomparso Maometto, si pose il problema della sua successione, non per quanto atteneva la funzione profetica, che con lui si era definitivamente conclusa, ma per quell’aspetto della sua autorità che riguardava la conduzione della vita pubblica. Nacque così la figura del califfo – che significa appunto “vicario” o “sostituto” – incaricato di mantenere unita la comunità e di far rispettare la legge divina contenuta nella rivelazione e negli insegnamenti del profeta. Dal 632 al 664 si succedettero i primi quattro califfi, che la tradizione islamica ricorda come i “ben guidati” e che vennero scelti sulla scorta delle usanze preislamiche: si trattò infatti di una carica elettiva che privilegiò esponenti di spicco dei maggiori raggruppamenti, imparentati col profeta. Il primo, Abu Bekr (632-34), dovette reprimere risolutamente la rivolta di quanti non intendevano più riconoscere il potere centrale dopo la morte di Maometto. Per essere domate, le forze effervescenti dei nomadi dovevano essere incanalate e rivolte verso un obiettivo esterno: fu così che sotto il secondo califfo, Omar (634-44), alle sporadiche incursioni e razzie del passato si sostituirono campagne organizzate e sistematiche contro i domini bizantini e persiani che confinavano con le regioni desertiche dell’Arabia. Col terzo califfo, Othman (644-56), le conquiste si estesero fin nell’interno dell’Iran e su tutto il Nord Africa. Potenziandosi e allargandosi l’impero arabo-islamico, la Mecca e Medina si andavano arricchendo, ma contemporaneamente crescevano anche problemi e tensioni interne. Proprio in seguito a conflitti d’interesse il terzo califfo fu assassinato e quando il suo successore, Alì – cugino e genero di Maometto – salì al potere, i parenti di Othman lo accusarono di essere implicato nell’omicidio del suo predecessore. Si posero così le basi per una drammatica spaccatura all’interno della compagine islamica e si costituì il raggruppamento degli “sciiti”: partigiani del quarto califfo nella lotta per la successione destinati a trasformarsi col tempo in una vera e propria setta religiosa (oggi presente soprattutto in Iran, Iraq, Yemen, India e Pakistan), distinta dalla maggioranza dei musulmani (90%) detti invece “sunniti”.

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4. Le grandi dinastie califfali

Gli avversari di Alì, vittoriosi, fondarono la dinastia degli Omayyadi, fissarono la loro sede a Damasco e regnarono fino al 750. Il periodo omayyade ha rappresentato la massima affermazione dell’arabismo nella storia dell’islam. La cultura e la lingua araba si imposero come nuovo strumento di comunicazione e di unità tra tutti i popoli che entravano a far parte dell’impero in piena espansione. Ma la fine del califfato omayyade derivò proprio dal suo carattere eminentemente arabo. Con il progredire delle conquiste, infatti, la classe dirigente musulmana aveva affiancato quelle locali senza però mai sostituirle del tutto; gradatamente queste ultime si islamizzavano e non tolleravano più di buon grado la supremazia araba. Furono i loro esponenti, detti Mawali (ossia clienti), a costituire il vero motore della rivoluzione che abbatté il califfato omayyade e portò al potere gli Abbasidi i quali non a caso scelsero come sede Baghdad, indicando così un generale spostamento a est della cultura e della politica dell’impero. Il califfato abbaside, durato dal 750 al 1258, ha rappresentato l’epoca d’oro della storia dell’islam, nota al grande pubblico soprattutto attraverso i racconti fantastici delle Mille e una notte, ma legata in realtà a una straordinaria fioritura culturale in molti campi del sapere e dell’arte. Intanto, un discendente degli Omayyadi scampato al massacro, assicurò nuova fortuna alla propria discendenza come principe dell’Andalusia (755-88), all’estremità occidentale del mondo musulmano. Ovviamente non si può pensare che per cinque secoli, dalla Spagna all’Indo, un unico potere centrale abbia potuto reggere direttamente le sorti dell’impero: in realtà ogni regione veniva governata da dinastie locali che riconoscevano più o meno formalmente il governo di Baghdad. Fu il caso degli Idrisidi del Marocco (788-974) e degli Aghlabidi della Tunisia (800-909), che nell’827 conquistarono anche la Sicilia; dei Tahiridi (820-72), dei Saffaridi (868-908), dei Samanidi (900-944) e dei Ghaznavidi (962-1186) nella parte orientale dell’impero. Lo stesso califfo di Baghdad si trovò in balia dei suoi pretoriani: prima i Buwayhidi (945-1055), quindi i turchi selgiuchidi, coi quali iniziò l’ascesa al potere di questa etnia, destinata ad assumere il ruolo guida che un tempo era stato degli arabi: furono essi infatti a vincere la secolare resistenza bizantina conquistando l’Anatolia e a ristabilire la supremazia del sunnismo sconfiggendo il califfato sciita dei Fatimiti (969-1171) d’Egitto. Nonostante la debolezza determinata dalle divisioni interne, l’impero islamico seppe resistere alle numerose crociate che si succedettero dal 1096 al 1250, ma ricevette un durissimo colpo dall’invasione dei mongoli, che nel 1258 posero fine al califfato abbaside. Non direttamente coinvolta dalla decadenza e dalla fine del califfato di Baghdad, la parte occidentale dell’impero conobbe un periodo di nuova fioritura sotto dinastie come quelle degli Almoravidi (1061-1147) e degli Almohadi (1147-1269), ma non seppe reagire alla reconquista cristiana che nel 1492 pose fine al dominio islamico in Spagna.

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5. I grandi imperi islamici

La potenza turca ottomana raccolse l’eredità degli abbasidi guidando il mondo islamico nel suo confronto secolare con l’Europa cristiana e portandolo a nuovi successi, quali la conquista di Costantinopoli (1453) e la penetrazione nella penisola balcanica, da dove alcune campagne militari giunsero a minacciare la stessa Vienna nel 1529 e nel 1683 (impero ottomano). Intanto, nell’oriente musulmano, sorgevano altre entità politiche di grande importanza: l’impero safavide in Persia e quello moghul in India. Col primo, affermatosi nel XVI secolo e durato fino all’inizio del XVIII, si ebbe l’affermazione dello sciismo come religione ufficiale in Iran e la rinascita della lingua e della cultura locali dopo secoli di supremazia araba. Col secondo giunse a completamento la conquista islamica dell’India arrestatasi nell’VIII secolo con l’avanzata degli arabi fino al Sind e proseguita dai Ghaznavidi, partiti dall’Afghanistan, nell’XI. Si ebbero così successivamente la creazione del sultanato di Delhi, l’annessione del Bengala e il dominio islamico su quasi tutta la penisola, attraverso la costituzione dell’impero moghul (XVI secolo), che sarebbe durato fino all’instaurarsi del dominio britannico. L’islamizzazione di queste terre incontrò un ostacolo insormontabile nelle radicatissime tradizioni religiose locali, con le quali si riuscì spesso a trovare un modus vivendi che lasciava comunque aperte delle incompatibilità di fondo, destinate a manifestarsi drammaticamente fino al periodo recente, con la spartizione tra India e Pakistan nel 1947 e le ritornanti tensioni etnico-religiose in tutto il subcontinente indiano. Così com’era avvenuto nell’Africa nera, anche nell’Estremo Oriente e in particolare in Indonesia, furono invece i commerci a fungere da fattore principale di islamizzazione: fin dal 1300 a Giava e dal 1400 a Sumatra, per spingersi nelle regioni interne soltanto dopo la colonizzazione olandese. Anche in Cina la presenza islamica è antica, con colonie di mercanti sulle coste già dal VII secolo e truppe musulmane al servizio di vari potentati locali nel corso dei secoli successivi. Con l’invasione mongola del 1200 la tradizionale chiusura cinese verso le religioni straniere si indebolì e poterono quindi sorgere vaste comunità islamiche, le quali furono però oggetto di repressioni nel XVII e nel XIX secolo.

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6. L’età contemporanea

Da quando, con la fine della prima guerra mondiale (1914-18), l’impero ottomano si dissolse e dopo l’abolizione del califfato da parte del presidente turco Mustafà Kemal nel 1924, non si può più parlare neppure formalmente di un’entità politica islamica unitaria. Gli imperi musulmani d’Oriente resistettero più a lungo, ma anch’essi furono soggetti alla colonizzazione da parte delle potenze europee, alla fine della quale videro il sorgere degli stati nazionali moderni. Nonostante i suoi aspetti positivi, la lotta per l’indipendenza e la nascita degli stati attualmente esistenti nell’area araba e musulmana viene vissuta in modo problematico da parte delle popolazioni locali. Se infatti le specificità proprie di ciascun territorio hanno potuto esprimersi pienamente grazie all’autonomia acquisita nei confronti tanto delle classiche istituzioni islamiche quanto dei poteri coloniali europei, resta l’anelito alla perduta unità della Umma che viene mitizzata e ritenuta da molti indispensabile al recupero delle antiche glorie. Per questo, accanto ai movimenti nazionalisti che hanno segnato la storia dei singoli paesi nella prima parte di questo secolo, altrettanto diffusi sono progetti in chiave panaraba e panislamica, che però stentano a realizzarsi a causa di diversificazioni e contrasti che permangono a molti livelli. Nonostante queste difficoltà l’islam è oggi una delle maggiori religioni, con oltre un miliardo di credenti, e sta ulteriormente espandendosi soprattutto nei paesi del Terzo mondo. Alcuni organismi internazionali riuniscono i paesi musulmani. Così l’Organizzazione della Conferenza islamica, fondata a Rabat in Marocco nel 1969 e attualmente con sede a Gedda in Arabia Saudita, che raccoglie 56 stati perlopiù dell’Africa e dell’Asia centrale e si propone di difendere e promuovere gli interessi delle popolazioni musulmane nel mondo.

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7. L’integralismo islamico

Con la caduta dell’impero ottomano e la colonizzazione, molte delle istituzioni tipiche dei paesi islamici cedettero il passo a modelli di ispirazione occidentale. Anche durante la lotta per l’indipendenza nazionale e la decolonizzazione furono ideologie di origine europea a guidare le classi dirigenti che, una volta al potere, seguirono il modello liberale o quello socialista, mantenendo un certo legame con la tradizione religiosa locale, ma senza più considerarla il fondamento dell’organizzazione della società. Con la crisi delle ideologie importate dall’Occidente, l’aggravarsi dei problemi interni legati alla formidabile crescita demografica e la mancanza di un vero pluralismo politico in grado di promuovere un autentico confronto tra governi e opposizioni, l’islam divenne per molti la bandiera sotto la quale rivendicare diritti e speranze finora negati. Sorsero così nel dopoguerra numerosi gruppi radicali, comunemente definiti integralisti o fondamentalisti, convinti della necessità di abbandonare i modelli stranieri a favore dell’applicazione completa e intransigente dei principi e dei precetti della religione, contribuendo in tal modo non soltanto alla difesa della fede e della tradizione, ma anche alla rinascita culturale dei propri paesi (integralismo). Accanto alle associazioni che operano a livello sociale, specialmente negli ultimi anni, si sono rafforzati o sono sorti veri e propri gruppi terroristici eversivi che mirano, in nome dell’islam, a rovesciare i governi attualmente in carica per sostituirli con altri, fedeli ai principi della religione: tra questi si pensi, per esempio, ai Fratelli musulmani, perlopiù attivi in Egitto, ai taliban afghani e soprattutto alla rete terroristica su scala globale di al-Qaida. Tra gli stati che tuttora pretendono di rappresentare regimi pienamente islamici, l’esempio più noto è senz’altro quello dell’Iran.
[Paolo Branca]
Nei primi anni Duemila, all’indomani degli attacchi terroristici dell’11.09.2001 e del successivo grave inasprimento delle tensioni internazionali, si è assistito a un significativo deterioramento dei rapporti tra mondo occidentale e islam, che si è tradotto nel rafforzamento di movimenti xenofobi in Europa e di analoghi movimenti antioccidentali in Asia e in Africa.
Sotto questo punto di vista suscitano anche numerosi interrogativi gli esiti possibili dell’ondata di proteste di massa che nei primi mesi del 2011 hanno sconvolto gran parte della regione nordafricana e mediorientale, portando al rovesciamento dei regimi di Ben Alì in Tunisia, di Hosni Mubarak in Egitto e di Muammar Gheddafi in Libia.
[Federico Trocini]

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