Irlanda

Stato attuale dell’Europa settentrionale.

  1. L’età antica e medievale e l’inizio della dominazione inglese
  2. L’egemonia inglese e il radicalizzarsi della lotta per l’indipendenza
  3. La repubblica d’Irlanda
  4. L'Irlanda nel secondo millennio
1. L’età antica e medievale e l’inizio della dominazione inglese

Raggiunta verso il 2000 a.C. da popolazioni di origine mediterranea, i firebolgs, e intorno al 1200 a.C. dai pretani (detti cruithne in Irlanda e pitti in Scozia), nel IV secolo a.C. l’isola fu colonizzata da tribù celtiche di scoti e gaeli, organizzati in clan, che parlavano gaelico e professavano una religione politeistica. Durante l’età antica l’Irlanda rimase ai margini del mondo romano mantenendo le proprie caratteristiche etnico-culturali e una tipica struttura tribale. Nel corso dei secoli l’isola raggiunse comunque un certo livello di aggregazione politica. Alla fine dell’evo antico (V secolo) era suddivisa in cinque province (Ulster, Leinster, Connaught, Munster settentrionale, Munster Meridionale). Ognuna di esse era retta da un sovrano che prestava omaggio a un capo supremo di tutta l’Irlanda (hard right). Il cristianesimo fu introdotto nel paese a partire dal 431, ma si impose completamente solo nella seconda metà del VI secolo. Artefici dell’evangelizzazione furono i vescovi Palladio e San Patrizio. Il trionfo del cristianesimo, che in Irlanda come in Inghilterra fu contraddistinto da una organizzazione ecclesiastica di tipo monastico (monachesimo), comportò una notevole crescita religiosa e culturale per l’isola, i cui effetti si fecero sentire anche sul continente grazie soprattutto alle missioni del monaco irlandese San Colombano. Questo periodo di sviluppo si concluse alla fine dell’VIII secolo con le incursioni di popolazioni vichinghe, che sfruttarono i contrasti fra i diversi clan irlandesi giungendo a conquistare Dublino (852) ed estendendo poi, nel X secolo, il proprio controllo alle regioni orientali del paese. Solo la rivolta del Munster e la vittoria di Clontarf (1014) a opera dell’hard right Brian Boru liberò l’isola dal predominio degli uomini del Nord. Circa mezzo secolo più tardi furono gli anglo-normanni a invadere il paese, approfittando dei contrasti all’interno dell’aristocrazia locale: dopo lo sbarco di Enrico II (1171), iniziò infatti quella progressiva conquista che, a partire dalla zona di Dublino, proseguì durante il regno di Giovanni Senza Terra (1199-1216) con la sottomissione del Munster e di parte dell’Ulster, portando così l’area orientale dell’isola sotto il dominio inglese e lasciando la zona occidentale sotto il controllo dei celti. Nella zona controllata dagli inglesi fu introdotto il sistema feudale (con l’affidamento delle terre occupate a baroni normanni legati alla corte inglese), fu riorganizzata la chiesa sulla base degli ordinamenti definiti nel sinodo di Cashel e fu introdotto il diritto consuetudinario di tradizione inglese. Queste misure provocarono la dura opposizione delle popolazioni locali, che insorsero ripetutamente per instaurare una monarchia autonoma (particolarmente significativa fu la rivolta del 1315-18, quando gli irlandesi offrirono la corona a Edoardo Bruce). Momenti cruciali nella storia dell’occupazione inglese furono l’emanazione degli statuti di Kilkenny (1366) a opera di Edoardo III che distinguevano la popolazione irlandese in inglesi puri, inglesi degenerati e nativi irlandesi, comminando la scomunica e stabilendo gravi pene per quegli inglesi che si alleassero con gli irlandesi nativi e ne adottassero i costumi; e il Poynings’s Act (1494) con il quale il viceré Poynings estese all’Irlanda la legislazione inglese, stabilendo che le leggi votate dal parlamento irlandese dovevano essere approvate dal re d’Inghilterra prima di entrare in vigore.

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2. L’egemonia inglese e il radicalizzarsi della lotta per l’indipendenza

Primo sovrano inglese ad assumere nel 1541 il titolo di re d’Irlanda, Enrico VIII impose al parlamento irlandese l’accettazione dell’Atto di supremazia (1536) introducendo la riforma anglicana. Identificando la nuova fede con i dominatori, l’Irlanda rimase tenacemente cattolica, facendo anzi della religione un elemento fondamentale della sua identità nazionale. Gli effetti dirompenti prodotti dall’introduzione della Riforma si fecero sentire a partire dal regno di Edoardo VI (1547-53), quando scoppiarono sanguinose rivolte sostenute dalla chiesa cattolica, che continuarono sotto il regno di Maria I Tudor (1553-58), di Elisabetta I (1558-1603) e di Giacomo I Stuart (1603-25) assumendo progressivamente un carattere politico oltre che religioso. A partire dal 1556 vennero inviati in Irlanda numerosi coloni protestanti che si stabilirono soprattutto nella parte settentrionale dell’isola e ai quali furono assegnate le terre espropriate ai capi irlandesi e ai contadini cattolici. Si produsse così un’insanabile frattura fra il paese e la corona inglese e fra la zona settentrionale e il resto dell’isola. Gli scontri fra irlandesi cattolici e immigrati inglesi protestanti culminarono nelle rivolte guidate alla fine del XVI secolo da H. O’Neil e H. O’Connell, nella sollevazione del 1641 capitanata da R. O’More e in quella del 1649, quando gli irlandesi e gli scozzesi proclamarono re Carlo II. Tra il 1649 e il 1652 Cromwell procedette a una dura repressione militare annientando le guarnigioni irlandesi di Drogheda e di Wexford. Stroncata la resistenza irlandese, nel 1652 il parlamento inglese emanò l’Act of Settlement, con cui venivano confiscate le terre a vantaggio dei soldati inglesi. Una nuova rivolta scoppiò nel 1689-90, quando l’Irlanda appoggiò il tentativo di Giacomo II Stuart di riconquistare il trono inglese. Con Guglielmo III d’Orange (che sconfisse i sostenitori di Giacomo II nella battaglia di Boyne, nel luglio 1690) si aprì una nuova fase repressiva e di discriminazione nei confronti dei cattolici. Ancora una volta si procedette alla distribuzione di terre degli irlandesi ai protestanti e i cattolici furono esclusi dal parlamento di Dublino, dagli uffici pubblici e da diverse attività commerciali. In una situazione di generale impoverimento economico e culturale, sorsero nel XVIII secolo le prime organizzazioni segrete come i White Boys e gli Hearts of Oak, rispettivamente cattolici e protestanti. La battaglia parlamentare condotta dal protestante Henry Grattan contemporaneamente all’inizio della rivolta delle colonie americane portò all’attenuazione della legislazione repressiva dopo il 1778 e all’abrogazione del Poynings’s Act nel 1782. Queste misure non furono tuttavia sufficienti per guadagnare il consenso dei cattolici moderati, che restavano comunque esclusi dal parlamento. Lo scoppio della Rivoluzione francese determinò l’esplosione di nuove rivolte e nel 1793 i cattolici ottennero la possibilità di partecipare al voto (ma non di essere eletti). L’inizio del conflitto fra Inghilterra e Francia suscitò ulteriori rivolte anti-inglesi in sostegno della Francia rivoluzionaria. La risposta del governo inglese di William Pitt il Giovane fu, nel 1801, l’Atto di Unione: l’Irlanda fu unita alla Gran Bretagna e fu eliminato il parlamento di Dublino. Solo nel 1829 la lotta condotta dai parlamentari irlandesi e soprattutto da Daniel O’Connell contro l’Atto di Unione ebbe come effetto l’emanazione del Catholic Relief Bill, che permetteva l’accesso dei cattolici al parlamento di Londra. Al graduale processo di emancipazione politica non fece tuttavia riscontro alcun progresso in ambito socioeconomico: l’agricoltura e in particolare la coltivazione delle patate continuavano a costituire la principale fonte di sostentamento per una popolazione contadina costretta a subire il predominio dei latifondisti, per la maggior parte inglesi. La crisi del 1845-47, dovuta a una malattia della patata, ebbe quindi gravissime conseguenze sulla popolazione, provocando grandi fenomeni migratori (oltre due milioni di persone) diretti in particolare verso l’America. Proprio negli Stati Uniti sorse nel 1858 il movimento rivoluzionario dei feniani, che nel 1867 organizzò un’insurrezione sedata dal governo inglese. Nonostante il movimento feniano fosse stato sciolto nel 1868, la sua azione indusse Londra ad affrontare il problema irlandese. Con il governo Gladstone si ebbe così, nel 1870, l’emanazione di una legge agraria a sostegno dei piccoli proprietari terrieri irlandesi (Irish Land Act), cui seguì nel 1881 una nuova legge a favore degli affittuari. Nel 1886 e nel 1893 venne invece respinta dalla Camera dei Lord la concessione dell’Home Rule Bill, richiesta dal Partito nazionalista irlandese di Charles S. Parnell. La successiva caduta del governo Gladstone e l’avvento al governo inglese dei conservatori produsse in Irlanda una nuova fase di acute tensioni sociali, che si espressero nella nascita agli inizi del secolo di un nuovo movimento rivoluzionario, il Sinn Féin, ispirato alle teorie di A. Griffith. Nacque altresì il Partito repubblicano socialista irlandese di James Connolly e fu riorganizzato, a opera di John Redmond, il Partito nazionalista. Nel 1905 a Londra la Camera dei Lord rifiutò nuovamente la concessione dell’autogoverno all’Irlanda così come era stato richiesto dallo stesso governo liberale inglese. Solo nel 1914 si giunse all’approvazione dell’Home Rule, ma la sua applicazione venne subito rinviata a causa dello scoppio della prima guerra mondiale. Nel 1916 il Sinn Féin, che aveva ottenuto l’appoggio dei tedeschi, organizzò a Dublino la “rivolta di Pasqua”, provocando una violenta repressione inglese. Dopo la vittoria alle elezioni del dicembre del 1918, il Sinn Féin costituì nel 1919 la Dáil Éireann (Assemblea d’Irlanda) e proclamò unilateralmente l’indipendenza. La presidenza della repubblica fu allora affidata a Eamon De Valera. Il mancato riconoscimento dell’indipendenza da parte inglese provocò tuttavia duri scontri con l’Irish Republican Army (IRA) – espressione armata del Sinn Féin – che continuarono sino alla concessione dell’autonomia (Government of Ireland Act, 1920). Vennero allora costituiti due parlamenti, con sede rispettivamente a Dublino e a Belfast, in modo da garantire i protestanti residenti nella parte settentrionale dell’isola (Ulster). Il 6 dicembre 1921 Lloyd George firmò con i rappresentanti irlandesi il trattato con il quale si proclamava lo Stato libero d’Irlanda: il paese divenne così un dominion all’interno del Commonwealth, a eccezione dell’Ulster che continuava a far parte integrante del Regno Unito. La divisione dell’Ulster dal resto dell’isola provocò la reazione dell’IRA, che diede vita a nuovi scontri, sedati solo nel 1922 dal governo irlandese guidato da William Cosgrave. La crescita del nazionalismo – nel 1927 si era registrata una scissione del Sinn Féin con la formazione del Fianna Fáil (Partito del destino) guidato da De Valera – spinse alla proclamazione, nel 1937, della repubblica d’Irlanda (non più legata alla Gran Bretagna come dominion) che De Valera volle mantenere rigorosamente neutrale durante la seconda guerra mondiale.

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3. La repubblica d’Irlanda

Con l’uscita dal Commonwealth nel 1949 la repubblica d’Irlanda (in gaelico Eire) giunse finalmente alla totale indipendenza. In questa fase la vita politica irlandese fu dominata dalla figura di De Valera: presidente del Consiglio dal 1932 al 1948, dopo un breve periodo di governo dei conservatori del Fine Gael con a capo John A. Costello dal 1948 al 1951, egli ritornò alla guida del paese dal 1951 al 1954 e dal 1957 al 1959 dopo un governo conservatore di Costello (1954-57). Scaduto il mandato di Sean T. O’Kelly, che era stato presidente della repubblica dal 1945 sino al 1959, De Valera ricoprì quella carica sino al 1973, mentre alla guida del Fianna Fáil fu posto Séal Lemass poi sostituito, nel 1966, da Jack Lynch. La divisione dell’Ulster dal resto dell’isola provocò, a partire dagli anni Sessanta, la recrudescenza del terrorismo, guidato dall’IRA (dal 1939 fuorilegge). Dall’aprile del 1969 le continue rivolte e gli scontri nelle principali città dell’Ulster, gli attentati e la dura repressione inglese attuata mediante l’invio di truppe speciali nell’Irlanda del Nord aggravarono una convivenza civile già difficile. Dopo il ritiro di De Valera fu eletto presidente per pochi mesi, nel 1973-74, Erskine Childers, cui seguirono Cearbhall O’Dalaigh sino al 1976 e Patrick Hillery da allora fino al 1990. Dopo la sostituzione, alla testa del Fianna Fáil, di Jack Lynch con Charles Haughey quest’ultimo, giunto al governo, cercò di porsi come mediatore con il governo inglese per la soluzione del problema dell’Ulster. La crisi economica dei primi anni Ottanta determinò però la caduta del governo Haughey, sostituito da Garret Fitzgerald, leader del Fine Gael, che riprese le trattative con Londra pur senza giungere all’attenuazione del clima di violenza nell’Ulster. Dopo le elezioni anticipate del 1982 e un breve intermezzo di governo del Fianna Fáil, Fitzgerald si impegnò nella campagna per l’aborto, ma fu sconfitto nel referendum del 1983, così come nella campagna per il divorzio nel 1986. La vittoria del Fianna Fáil alle elezioni del 1987 riportò al governo Haughey, che proseguì nella politica di austerità, già avviata in precedenza per far fronte alla grave crisi economica, sino alle nuove elezioni anticipate del 1989, in cui Haughey perse molti seggi e fu costretto a far entrare nel governo il Progressive Democrats, partito nato nel 1987 dalla scissione del Fianna Fáil. Nel novembre del 1990, allo scadere del secondo mandato di Patrick Hillery, per la prima volta divenne presidente della repubblica una donna, Mary Robinson, appoggiata dai laburisti e dal Worker’s Party. Nel 1992 Haughey, accusato tra l’altro di corruzione, rassegnò le dimissioni. Gli subentrò Albert Reynolds, che nel 1993 aprì un negoziato con il premier britannico John Major per trovare una soluzione al problema dell’Irlanda del Nord, invitando il Sinn Féin a partecipare alle trattative. L’anno successivo l’IRA proclamò una tregua nelle sue attività militari e terroristiche, interrotta tuttavia nel 1996 – di fronte alle difficoltà del negoziato – da due gravi attentati a Londra e a Manchester. Nel frattempo, nel novembre del 1995 in Irlanda Reynolds fu sostituito alla guida del governo da John Bruton, a cui poi subentrò nell’estate del 1997 Bertie Ahern, leader del Fianna Fáil. Nell’ottobre dello stesso anno divenne presidente della repubblica Mary McAleese, che fu poi rieletta anche nel 2004. Una nuova serie di negoziati avviati nel 1997 tra Ahern e il primo ministro britannico Tony Blair, cui partecipò anche il Sinn Féin di Gerry Adams, portarono infine nell’aprile del 1998 a uno storico accordo con la Gran Bretagna, poi ratificato tramite referendum in maggio, che concedeva un’ampia autonomia all’Irlanda del Nord con la creazione di un parlamento regionale dotato di effettivi poteri. Dopo un nuovo grave attentato nell’agosto del 1998, rivendicato da frange estreme dell’IRA ma condannato da tutte le forze politiche e dall’IRA stessa, il processo di pace fu rallentato dal rifiuto dell’IRA di procedere al proprio disarmo.

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4. L'Irlanda nel secondo millennio

Di fronte a tali resistenze Tony Blair sciolse gli organi di autogoverno dell’Ulster nel febbraio 2000, fino a quando nel maggio dello stesso anno l’IRA si dichiarò finalmente disposta a consegnare le armi. Sul piano interno, nel 2002 il Fianna Fáil formò un governo di coalizione con il sostegno dei progressisti alla cui guida fu nuovamente posto Ahern. Anche nelle successive elezioni del 2007 il Fianna Fáil si riconfermò alla guida del paese. Il nuovo governo, ancora una volta guidato da Ahern, fu però di breve vita, perché quest’ultimo, accusato corruzione, fu costretto a dimettersi nel 2008 e a lasciare l’incarico al compagno di partito Brian Cowen, al quale toccò il difficle compito di affrontare la gravissima crisi finanziaria che portò il paese sull’orlo della bancarotta. A fronte della grave situazione economica, cui il governo reagì accettando un ingente prestito dal Fondo monetario internazionale e introducendo severe misure d’austerità, nel febbraio del 2011 furono indette nuove elezioni, che videro la netta sconfitta del partito di governo e il successo dei centristi del Fine Gael. Questi ultimi, sotto la guida del loro leader Enda Kenny, formarono un nuovo governo di coalizione con i laburisti di Eamon Gilmore. Nell’ottobre dello stesso anno la presidenza della repubblica passò da McAleese al socialdemocratico Michael Higgins.

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