IRI

Sorse nel 1933 per iniziativa del governo fascista con l’intento di far fronte agli effetti negativi prodotti anche sul sistema industriale italiano dalla grande crisi iniziata nel 1929 negli Stati Uniti. Il nuovo ente pubblico venne diretto da A. Beneduce secondo due principali finalità: il sostegno finanziario alle imprese suscettibili di ripresa e la chiusura di quelle decotte. Gli interventi dell’IRI, di grande portata, segnarono un forte sviluppo dell’interventismo statale nel settore produttivo nazionale. Alle originarie funzioni si aggiunsero quelle di carattere propulsivo, tali da portare alla costituzione di nuove imprese di proprietà pubblica e quindi all’espansione dello stato proprietario. L’IRI concentrò nelle proprie mani un potere di indirizzo, controllo e gestione che abbracciò banche (Banca Commerciale Italiana, Credito Italiano, Banco di Roma) siderurgia, meccanica, cantieristica. Il fascismo fece dell’IRI un potente strumento della politica autarchica al servizio anche del riarmo. Crollato il fascismo, lo stato repubblicano non solo mantenne l’IRI, ma diede ad esso un ulteriore impulso, trovando in O. Sinigaglia un manager di grandi capacità. L’Istituto divenne un colosso la cui attività si allargò a un gran numero di nuovi settori (navigazione, energia, trasporti, autostrade, telecomunicazioni, alimentari, impiantistica, ecc.). Esso fu uno strumento essenziale della politica statale volta a favorire l’industrializzazione del Mezzogiorno. Espressione dell’interventismo statalistico, soggetto agli interessi settoriali dei partiti di governo e di forti gruppi di pressione esterni e diretto con criteri gestionali spesso poco rispondenti alle logiche del mercato, l’IRI a partire dal 1993 è stato oggetto di un crescente processo di privatizzazioni che portò al suo scioglimento nel 2000.