Iraq

Stato attuale dell’Asia occidentale. Coincide per gran parte del suo territorio con la regione mesopotamica, dove fiorirono numerose civiltà dell’antico Oriente.

  1. Dalle origini fino alla conquista araba (IV millennio a.C. – VII secolo d.C.)
  2. Dalla dominazione abbaside fino alla dissoluzione dell’impero ottomano
  3. Dal protettorato britannico alla caduta di Nuri al-Sa’id (1920-58)
  4. Da Kassem a Saddam Hussein
1. Dalle origini fino alla conquista araba (IV millennio a.C. – VII secolo d.C.)

Popolato dai sumeri, che si stabilirono nella parte meridionale del paese tra il 3000 e il 2000 a.C., il territorio dell’attuale Iraq fu occupato in seguito da popolazioni di stirpe semitica (gli accadi e poi gli amoriti), che intorno al XVIII secolo diedero vita al primo impero babilonese. Nel XVII secolo iniziò nelle regioni settentrionali la penetrazione degli hittiti, che un secolo più tardi, spingendosi verso sud, giunsero fino a Babilonia. Caduto sotto il dominio degli assiri (XII-VII secolo), fu riunificato nel secondo impero babilonese (VII-VI secolo). Nel 538 venne conquistato dai persiani e diventò una provincia dell’impero achemenide (VI-IV secolo). Sottomesso da Alessandro Magno (IV secolo) e poi dai Seleucidi (IV-III secolo), cadde sotto il controllo dei parti (III secolo a.C. – III secolo d.C.) e quindi della dinastia sasanide (III-VII secolo). Nel VII secolo fu conquistato dagli arabi, che vi introdussero l’islam.

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2. Dalla dominazione abbaside fino alla dissoluzione dell’impero ottomano

A partire dall’VIII secolo la regione divenne il centro politico, economico e culturale del califfato degli Abbasidi, che stabilirono la propria capitale a Baghdad (762) inaugurando un’epoca di grande splendore. Dopo il X secolo conobbe una fase di profonda decadenza caratterizzata dalla crisi del potere centrale, dall’erompere di violente tensioni sociali e religiose e dal progressivo declino della fiorente agricoltura mesopotamica. Con lo smembramento del califfato l’Iraq perse la propria unità politica, aprendosi nuovamente all’espansionismo straniero. Dopo un vano tentativo di restaurazione da parte degli Abbasidi nel XIII secolo, fu invaso dai mongoli di Hulagu Khan, che nel 1258 conquistarono Baghdad condannando a morte l’ultimo califfo della dinastia, Mustasim. Esposto alle continue incursioni dei beduini, devastato nel 1401 dalla terribile invasione di Tamerlano, nel XV secolo fu occupato dai turcomanni, che furono poi sconfitti da Ismail I, lo scià di Persia fondatore della dinastia dei Safawidi. A questi subentrarono gli Ottomani che sotto la guida di Solimano il Magnifico conquistarono Baghdad nel 1534. Dovette tuttavia passare un altro secolo prima che i nuovi dominatori riuscissero ad avere definitivamente ragione della potenza persiana – che rioccupò il paese tra il 1623 e il 1638 – e a imporre un controllo per lo meno formale sull’intera regione. Anche sotto il dominio ottomano, che durò fino alla prima guerra mondiale, l’Iraq rimase profondamente diviso e in ultima analisi privo di un’effettiva autorità centrale: continuarono le incursioni beduine e molte importanti città mantennero un’ampia sfera di autonomia – tra queste, la stessa Baghdad, che tra il 1701 e il 1831 fu sottomessa dai mamelucchi. Intorno alla seconda metà del XIX secolo, nello stesso periodo in cui iniziò la penetrazione coloniale delle potenze occidentali, gli Ottomani riuscirono a imporre un dominio più saldo sulla regione, grazie soprattutto all’opera di Midhat pascià, governatore dell’Iraq tra il 1869 e il 1872, che introdusse alcune importanti riforme economiche e amministrative di stampo europeo. Al tempo stesso, però, il risveglio delle tensioni etnico-religiose e il sorgere di una più acuta coscienza nazionale araba, sollecitata anche dal contrasto anglo-tedesco per gli interessi legati alla costruzione della ferrovia Berlino-Baghdad, favorirono la progressiva erosione del dominio turco, che giunse a compimento durante il primo conflitto mondiale, quando gli inglesi, dopo l’intervento della Turchia a fianco della Germania, occuparono il paese imponendo all’impero ottomano l’armistizio di Mudros (ottobre 1918).

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3. Dal protettorato britannico alla caduta di Nuri al-Sa’id (1920-58)

Nel 1920, dopo una sanguinosa rivolta indipendentista animata soprattutto dall’elemento nazionalista arabo, l’Iraq fu posto – secondo il dettato del trattato di Sèvres – sotto l’amministrazione britannica. Trasformato in monarchia costituzionale nell’estate del 1921, ne divenne sovrano l’emiro hascemita Faisal I, che rimase al potere fino al 1933. Gli inglesi mantennero tuttavia uno stretto controllo sul paese: in base a un trattato stipulato nel 1924 fu stabilita la permanenza di basi militari inglesi sul territorio iracheno e un sia pur limitato diritto di veto britannico sulla legislazione; nel 1930 fu siglato un trattato di alleanza venticinquennale, in virtù del quale gli inglesi poterono mantenere il controllo degli aeroporti militari e dei quadri superiori e intermedi dell’amministrazione e dell’esercito. Nel 1932, terminato il mandato britannico, l’Iraq ottenne formalmente l’indipendenza ed entrò a far parte della Società delle Nazioni come stato sovrano. Nello stesso periodo fu stipulata la prima concessione di petrolio (1925), che iniziò a essere esportato nel 1934, diventando nel giro di pochi anni la principale risorsa economica del paese. Alla morte di Faisal I salì al trono Ghazi I (1933-39) a cui succedette pochi anni dopo il figlio Faisal II (1939-58), di soli quattro anni, che fu posto sotto la reggenza dell’emiro Abdul Illah. Seguì un periodo di profonde tensioni religiose e sociali e di forte instabilità politica. Tra il 1936 e il 1941 si ebbero sette colpi di stato militari. L’ultimo di essi portò al potere Rashid Alì al Ghailani, il capo dell’opposizione antibritannica schierato a favore delle potenze dell’Asse, che costrinse alla fuga l’emiro Abdul Illah, favorevole al governo britannico (aprile 1941). Nel giugno dello stesso anno, tuttavia, al Ghailani fu costretto dagli inglesi – che presidiarono il paese fino al termine del conflitto mondiale – a cedere nuovamente la guida dello stato al reggente, che il 16 gennaio 1943 dichiarò guerra alle potenze dell’Asse. Nel 1945 l’Iraq divenne membro delle Nazioni Unite e della Lega araba. Alla fine della guerra la questione palestinese sollevò una nuova ondata di risentimento anti-inglese e indusse la classe politica a partecipare, insieme alla Lega araba, alla guerra contro Israele (1948). Per oltre un decennio – fino al 1958 – resse le sorti del paese Nuri al Sa’id, un personaggio legato agli ambienti della nobiltà locale e ai gruppi finanziari arricchitisi con lo sfruttamento delle immense risorse petrolifere della regione. Con il consenso della monarchia Nuri al Sa’id instaurò un regime oppressivo e autoritario, giungendo a sciogliere nel 1954 tutti i partiti politici e varando un programma di sviluppo economico destinato ad accrescere il malcontento della classe contadina e operaia. Durante gli anni del suo governo l’Iraq entrò progressivamente nella sfera di influenza degli Stati Uniti, che iniziarono a fornire al paese aiuti economici e militari. Al tempo stesso, mantenendosi fedele alle direttive della Lega araba, l’Iraq continuò a intrattenere rapporti ostili con Israele. Nel 1955 – dopo aver interrotto le relazioni diplomatiche con l’Unione sovietica per l’appoggio dato da questa ai nazionalisti curdi – aderì con la Turchia, il Pakistan, l’Iran e la Gran Bretagna al patto di Baghdad, contribuendo in questo modo alla strategia dell’“accerchiamento” dell’Unione Sovietica perseguita dal segretario di stato americano Foster Dulles e dissociandosi dalla politica dell’Egitto di Nasser. Nel febbraio del 1958, in risposta all’annuncio della fusione tra la Siria e l’Egitto nella Repubblica Araba Unita, si federò con la Giordania nell’Unione araba, concepita ancora una volta in funzione antinasseriana.

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4. Da Kassem a Saddam Hussein

Il 14 luglio dello stesso anno il regime di Nuri al Sa’id fu rovesciato da un colpo di stato militare guidato dal generale Abdul Karim Kassem. Nuri al Sa’id, re Faisal II e il vecchio Abdul Illah furono assassinati e venne proclamata la repubblica. Nel 1959, sotto la guida di Kassem, fu sciolta l’Unione araba e l’Iraq abbandonò la politica filo-occidentale che era culminata nell’adesione al patto di Baghdad. Al tempo stesso, furono riallacciate le relazioni diplomatiche con l’Unione sovietica e furono avviate relazioni commerciali con i paesi comunisti, ferma restando però una politica di sostanziale non allineamento. Sul piano della politica interna, dopo aver eliminato le forze filoegiziane che avevano tentato di realizzare un colpo di stato, Kassem instaurò una vera e propria dittatura personale cercando di ridurre l’attività dei comunisti e facendo leva sul sentimento nazionalista. Durante gli anni del suo governo l’Iraq si sforzò di affermare la propria sovranità sul Kuwait e sui territori iraniani posti sulla linea dello Shatt al ’ Arab, mettendo a dura prova i rapporti con l’Iran (con cui ruppe le relazioni diplomatiche nel 1959). Contemporaneamente si fecero più tesi i rapporti con la Repubblica Araba Unita e si ripropose all’ordine del giorno il problema delle minoranze curde che nel 1961-62, guidate da Mustafà al-Barzani, si ribellarono chiedendo la creazione di un Kurdistan autonomo e occupando gran parte dell’Iraq del nord. Nonostante ripetute tregue, il conflitto durò diversi anni, riaccendendosi nel 1964, nel 1968, e poi ancora nel 1974, quando si giunse a uno scontro aperto tra i curdi e le truppe regolari irachene. Il regime di Kassem fu rovesciato nel febbraio del 1963 da un colpo di stato organizzato e diretto dal colonnello Abdul Salam Aref: lo stesso Kassem fu assassinato e venne insediato un governo dominato dai quadri del partito Baath, di ispirazione socialista e fautore di una politica panaraba. Nel novembre dello stesso anno Aref con un nuovo colpo di mano concentrò tutti i poteri nella sua persona, allontanando dal governo i membri estremisti del partito. Deceduto nell’aprile del 1966 in un incidente aereo, fu sostituito dal fratello Abdul Rahman Aref, che nel giugno del 1967 si schierò con i paesi arabi che avevano dichiarato guerra a Israele, mettendo in crisi le relazioni dell’Iraq con le potenze occidentali. Aref rimase al potere fino al luglio del 1968 quando gli subentrò, in seguito a un nuovo colpo di stato militare, il generale Ahmad Hassan al-Bakr. Divenuto presidente e primo ministro, al-Bakr dopo un breve periodo di purghe si sforzò di avviare migliori rapporti con i curdi e con i comunisti: i primi ottennero nel 1970 di poter entrare con cinque ministri nel governo; i secondi, dopo la legalizzazione del partito (1972) confluirono insieme al Baath iracheno nel Fronte nazionale progressista (1973). Nel 1970, dopo il fallimento di un nuovo tentativo di colpo di stato appoggiato dall’Iran, fu emanata una nuova costituzione repubblicana che faceva dipendere l’elezione del presidente e dei ministri dal “consiglio della rivoluzione”. Sul piano della politica estera, dopo il ritiro britannico dal Golfo Persico e l’occupazione da parte dell’Iran delle isole Tumba, prima controllate dagli inglesi, s’inasprirono i rapporti con Teheran, con cui furono nuovamente interrotte le relazioni diplomatiche nel novembre del 1971. Migliorarono invece le relazioni con l’URSS, con cui fu stretto nell’aprile del 1972 un trattato di amicizia della durata di quindici anni. Rimase salda, tuttavia, l’opposizione a qualsiasi compromesso con Israele, anche se l’Iraq partecipò in modo solo simbolico alla guerra arabo-israeliana del 1973 e al boicottaggio sul petrolio contro le nazioni che avevano fornito il proprio supporto al governo di Tel Aviv. Al principio del 1974, dopo una serie di gravi incidenti di frontiera, si giunse a un vero e proprio conflitto armato con l’Iran, che fu ricomposto con la mediazione delle Nazioni Unite nel giugno dello stesso anno. In questo modo la minoranza curda perse il sostegno di Teheran e divenne oggetto di una nuova politica repressiva da parte del governo. Insieme alle relazioni con i curdi, peggiorarono anche i rapporti con la Siria, che fu apertamente osteggiata alla conferenza del Cairo dell’ottobre del 1976. Alla fine degli anni Settanta l’Iraq divenne uno dei maggiori paesi produttori di petrolio, attestandosi al secondo posto tra i paesi dell’OPEC (Organization of Petroleum Exporting Countries) e al quarto posto nel mondo. Negli stessi anni il governo procedette alla nazionalizzazione dell’industria petrolifera. Al-Bakr rimase al potere fino al 16 luglio del 1979. Gli subentrò allora Saddam Hussein, che dopo un periodo di violente epurazioni – soprattutto nei confronti dell’ala filocomunista del partito Baath – si dedicò al potenziamento dell’esercito allo scopo di realizzare l’egemonia irachena nel Golfo Persico. Da questa ricerca di egemonia e dalla volontà di contrapporsi all’espansionismo ideologico del fondamentalismo sciita ebbe origine il conflitto con l’Iran di Khomeini, iniziato il 22 settembre del 1980 e conclusosi – dopo una vicenda estenuante – nell’agosto del 1988, senza vincitori né vinti. Nell’agosto del 1990 l’Iraq di Saddam Hussein, con una mossa a sorpresa, invase il Kuwait aprendo una crisi internazionale di eccezionale gravità che, dopo una lunga fase di trattative in sede ONU, e dopo alcuni mesi di embargo totale sulle importazioni e le esportazioni, si concluse con un conflitto di straordinaria intensità durato dal gennaio al febbraio del 1991, la guerra del Golfo, che per la prima volta vide la collaborazione delle due superpotenze, guidate rispettivamente da George Bush e Michail Gorbacëv. Nonostante la sconfitta subita, l’isolamento internazionale (anche all’interno del mondo arabo) e il permanere dell’embargo, Saddam Hussein, che dovette ritirarsi dal Kuwait riconoscendone poi l’integrità territoriale nel 1994, riuscì a mantenere il potere e, forte dell’appoggio dell’esercito e del partito Baath, scatenò una violenta repressione delle minoranze curda e sciita, che avevano tentato di sollevarsi dopo la fine del conflitto. Tra il 1991 e il 1993 l’ONU approvò una serie di risoluzioni volte a impedire qualisasi attività militare irachena nei territori a Nord del 36° parallelo e a sud del 32° parallelo, dove erano concentrate rispettivamente la minoranza curda e quella sciita. Al tempo stesso, dispose una serie di controlli sulle installazioni militari irachene, al fine di impedire che Saddam Hussein mettesse a punto il suo arsenale di armi nucleari chimiche e batteriologiche. Gli ostacoli frapposti da Baghdad alle verifiche degli ispettori delle Nazioni Unite furono all’origine di nuove gravissime crisi internazionali nel corso degli anni Novanta, che culminarono nel 1998-99 in una serie di bombardamenti, condotti senza l’approvazione dell’ONU, da parte britannica e statunitense. Rinnovato nel 1995 e poi in parte attenuato nel 1996 in seguito all’attivazione del programma ONU “Oil for Food” (letteralmente “petrolio in cambio di cibo”), l’embargo continuò a restare in vigore fino al 2003, con effetti pesantissimi sulla popolazione civile e l’economia del paese. Le tensioni tra Iraq e USA si riaccesero all’indomani degli attacchi terroristici del 2001, quando nel novembre del 2002 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU intimò all’Iraq il rispetto delle risoluzioni precedenti. Nonostante avesse autorizzato il rientro degli ispettori, l’Iraq fu ripetutamente accusato da Usa e Gran Bretagna di non adempiere agli obblighi imposti della comunità internazionale e anzi di nascondere armi di distruzione di massa. Il 20 marzo 2003 USA e Gran Bretagna diedero inizio all’invasione dell’Iraq che si concluse all’incirca un mese dopo, con la caduta di Baghdad e delle altre principali città del paese. Nonostante la cattura di Saddam nel dicembre del 2003, la guerra proseguì negli anni successivi nelle forme di un’estenuante guerriglia che causò migliaia di vittime sia tra la popolazione civile sia tra le forze d’occupazione statunitensi. Fu dunque istituita un’autorità provvisoria con compiti di governo, cui spettò il compito di pacificare il paese liberandolo dalla minaccia dei gruppi terroristici guidati da Abu Musab al-Zarqawi e sedando la rivolta delle milizie sciite guidate da Muqtada al-Sadr. Nel giugno del 2004 l’autorità provvisoria fu sostituita da un governo ad interim con a capo Ghazi al-Yawar e con Ayad Allawi come primo ministro. Nel gennaio dell’anno successivo, in un clima di fortissima incertezza e perduranti violenze, si svolsero le prime elezioni generali che portarono alla formazione di un’Assemblea nazionale provvisoria e alla nomina del leader curdo Jalal Talabani alla presidenza dello stato. Sempre nel 2005 fu approvata con un referendum nazionale una nuova costituzione; seguirono nuove elezioni che condussero, dopo lunghe trattative, alla formazione nel maggio del 2006 di un governo di coalizione con a capo Nuri al-Maliki del partito islamico sciita Dawah e alla riconferma di Talabani alla presidenza. Le violenze cominciarono a scemare solo nel 2007, quando fu avviato un primo parziale ritiro delle forze armate statunitensi. Nel marzo del 2010 le elezioni parlamentari portarono, dopo alcuni mesi di mancato accordo tra le principali forze politiche del paese, alla formazione di un nuovo governo di coalizione guidato da al-Maliki. Nel febbraio del 2011, sull’onda delle proteste di massa che sconvolsero l’intera area nordafricana e mediorientale, alcune delle principali città del paese furono teatro di violenti scontri tra le forze di polizia e i manifestanti. Le proteste spinsero alcuni governatori locali alle dimissioni e il governo centrale a prendere provvedimenti contro la corruzione dilagante. Alla fine dello stesso anno, il presidente americano Barak Obama annunciò ufficialmente la fine della missione militare in Iraq e il ritiro completo delle truppe.

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