iraniano-irachena, guerra

Il pretesto del conflitto fu offerto da un’ormai secolare disputa sulla frontiera dello Shatt el-Arab. Il trattato di Algeri (6 marzo 1975) pareva avervi messo fine perché con esso il governo iracheno aveva accettato di arretrare la propria linea di frontiera al centro dello Shatt in cambio della rinuncia, da parte iraniana, a sostenere i curdi dissidenti del nord dell’Iraq. Nel settembre 1980, tuttavia, fu proprio il governo iracheno a rompere inaspettatamente l’accordo lanciando un’offensiva contro l’Iran, in seguito anche a una serie di attentati compiuti da terroristi iraniani in Iraq e al tentativo di Khomeini di far insorgere la minoranza sciita irachena. Il conflitto si trasformò ben presto nella più sanguinosa guerra di logoramento del Medio Oriente, con un fronte di oltre cinquecento chilometri di trincee lungo i quali le meglio addestrate truppe irachene riuscirono a respingere le offensive iraniane. Nessuno dei due eserciti fu però in grado di occupare il territorio del nemico o di effettuare un’offensiva decisiva, nonostante il ricorso iracheno ad armi chimiche e il reclutamento da parte iraniana persino degli adolescenti nella Guardia Rivoluzionaria. Di fronte al rischio di una escalation del conflitto – reso attuale dal continuo bombardamento delle petroliere che transitavano nel Golfo Persico – le potenze occidentali intervennero con proprie missioni navali per difendere la libera navigazione nel Golfo. La guerra offrì anche agli Stati Uniti il pretesto per trasformare l’Iraq di Saddam Hussein nel proprio principale alleato nell’area contro il terrorismo iraniano. Il 20 luglio 1987 una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU impose un cessate il fuoco che entrò effettivamente in vigore soltanto il 20 agosto 1988.