induismo

Derivato dal termine “hindu”, usato nel XIII secolo dai turchi del sultanato di Delhi per indicare gli indiani non convertiti all’islam, il vocabolo “induismo” è stato coniato in epoca moderna dagli inglesi (hinduism), per designare l’antica cultura religiosa tradizionale dell’India. Esso non denota, come ancora si crede, una religione, quanto piuttosto un insieme di costumi, culti, tradizioni non solo religiose e concezioni della vita e dell’universo: in una parola, un “modo di vita” peculiare e unico al mondo, i cui valori fondanti sono proiettati dalle fonti (redatte in sanscrito) in una sorta di atemporalità metastorica. Il nostro concetto di “religione” è inglobato dagli hindu nell’idea di dharma, che è il modo di essere dell’universo, legge della natura ed essenza nascosta delle cose, norma eterna (sanatana) che governa il mondo, la cui esistenza, non diversamente da quella delle creature, ciclicamente si rinnova nel perenne flusso del divenire (samsara). Il dharma ha due aspetti: uno universale (samanya o sadharana), che si fonda sulla verità (satya) e sull’innocenza (che traduce etimologicamente la parola ahimsa, solitamente resa con “non-violenza”), e uno peculiare (visesa) di ciascun individuo, in una società gerarchicamente organizzata sulla base di quattro categorie sociali funzionali – sacerdoti (brahmana), nobiltà guerriera (ksatriya), popolazione impegnata in attività produttive (vaisya) e addetti al servizio (sudra) – e dell’appartenenza a una casta (jati, propriamente: “nascita”). Le fonti dell’induismo, redatte e tramandate dai brahmana (per questo si parla anche di “brahmanesimo”), sono soprattutto letterarie e comprendono la rivelazione (sruti) e la tradizione (smrti): la prima è costituita dal Veda (Il sapere), composto forse nell’arco di un millennio a partire dal 1500 a.C. e comprendente raccolte di inni (Samhita), testi esegetici e liturgici (Brahmana), libri di meditazione (Aranyaka) e opere di carattere speculativo (Upanisad); la seconda comprende testi ausiliari in prosa aforistica (sutra), trattati dottrinali (sastra) sul dharma, i grandi poemi epico-religiosi Mahabharata (Grande [storia] del popolo indiano) e Ramayana (Il viaggio di Rama) e una serie imponente di opere di carattere enciclopedico dette Purana, che significa “[testi] antichi”, compilati a partire dal V secolo d.C. fin oltre l’anno 1000. Nell’assenza totale di storiografia che caratterizza l’India brahmanica, ci soccorrono, almeno a partire dal IV sec. a.C., le fonti greche e, dal II sec. a.C., anche fonti epigrafiche indiane, grazie alle quali possiamo ricostruire almeno in parte le origini delle maggiori religioni hindu: la vaisnava (o visnuismo, la religione di Visnu), che comprende i culti di Krsna e di Rama (i due maggiori avatara, “discese terrene” di Visnu), la saiva (o sivaismo, la religione di Siva) e la sakta (o saktismo, la religione della Dea concepita come divina potenza, Sakti). A partire dal V sec. d.C. esse hanno sviluppato ulteriori testi sacri (Samhita, Agama e Tantra) e, grazie al patrocinio dei diversi regni hindu, hanno creato una serie imponente di templi e santuari come centri di irradiazione culturale e religiosa. Le diverse comunità si sono organizzate in sampradaya o “tradizioni [di maestri]”, che spesso fanno capo anche a culti minori, come quelli di Surya (il Sole), di Ganesa (il figlio di Siva dalla testa elefantina), di Brahma, di Hanumat (il dio-scimmia figlio del Vento e alleato di Rama) e altri ancora. Surya e Ganesa, a partire dall’epoca di Sankara (VII-VIII secolo) sono stati associati a Visnu, a Siva e alla Dea nel culto sincretistico detto smarta (tradizionale). A cominciare dal secolo scorso, il desiderio di rinnovamento portò alcuni a svalutare la cultura tradizionale hindu a favore di un riformismo innovativo influenzato da idee cristiane (si pensi, per esempio, al Brahma Samaj fondato da Rammohan Ray) e altri – come Bal Gangadhar Tilak (1856-1920) e Madan Mohan Malaviya (1861-1946) – a sostenere quel radicale ritorno alla tradizione che ha caratterizzato, fin dal suo sorgere, il nazionalismo hindu e che trova oggi espressione in forze politiche come il Bharatiya Janata Party. All’insegna della tolleranza, l’India religiosa ha accolto nel corso della storia tutte le altre fedi sorte sul proprio territorio (come giainismo, buddhismo, sikhismo) o introdotte dall’esterno, considerando i loro adepti come membri di altrettante nuove caste; forte della sua fedeltà a una prassi rituale vecchia di secoli, che ha ancor oggi come centro il focolare domestico, la tradizione brahmanica ha saputo sopportare con successo il violento urto delle conquiste islamiche e i tentativi di evangelizzazione appoggiati dal governo inglese (specialmente nel secolo scorso), ma nella modernizzazione oggi in atto ha trovato forse l’avversario più agguerrito. [Stefano Piano]