alimentazione

La storia dell’alimentazione è legata alla storia dell’organizzazione sociale, economica e religiosa degli insediamenti umani così come alla storia dei modelli di comportamento nella vita quotidiana. L’alimentazione ha sempre avuto una forte dimensione simbolica e comunicativa. Nella sua storia l’uomo ha iniziato con una dieta basata prevalentemente su piccoli animali relativamente semplici da cacciare e integrata dai frutti spontanei del sottobosco. Con il progredire delle tecniche di caccia la dieta si orientò decisamente verso gli animali di grossa taglia e verso la pesca. Procacciarsi il cibo fu quindi a lungo l’unica forma o almeno quella prevalente di economia, nella quale erano fondamentali le regole della distribuzione all’interno del gruppo. La cesura decisiva, che ancora oggi condiziona la struttura della nostra alimentazione, si ebbe con la rivoluzione neolitica, quando si passò dalla caccia, pesca e raccolta di frutti spontanei all’allevamento e all’agricoltura. Questo passaggio fu effetto della penuria di fonti alimentari naturali a fronte dell’incremento demografico. Nelle terre temperate ebbe inizio la coltivazione e la lavorazione dei cereali e l’allevamento di capre, pecore, maiali e bovini. In Mesopotamia e in Egitto la dieta comune era basata su cereali come orzo, frumento e miglio e sulla verdura. Bevande fermentate derivate dai cereali fornivano un rilevante apporto calorico. La carne era presente soprattutto nella dieta delle classi alte. Nella Grecia arcaica, dove il rapporto tra popolazione e risorse naturali divenne presto critico, l’alimentazione si basava su cereali, latticini, olive e frutta. La centralità del frumento nell’alimentazione si trasformò in un problema politico di prima importanza a Roma: dai tempi di Caio Gracco la sua distribuzione a prezzo politico o gratuita divenne abituale e la conquista dell’Egitto, grande produttore di grano, un obiettivo irrinunciabile. Nella Roma imperiale le differenze di regime alimentare, peraltro presenti in forme assai variabili in tutte le società, divennero estreme. Alla dieta del cittadino povero, basata su focacce, verdure e pesce conservato, si contrappose la dieta delle classi alte, estremamente ostentativa, sovrabbondante, fortemente speziata ed elaborata. Al regime alimentare del medioevo, generalmente monotono e povero, arricchito solo occasionalmente dalla carne e reso incerto dal ripetersi delle carestie, seguì con la scoperta dell’America l’introduzione di nuovi alimenti nella dieta europea. Zucchero di canna, cacao, caffè e tè entrarono nell’alimentazione comune. Il processo di assimilazione agricola e culturale della patata e del mais fu più lento e contrastato e si svolse nell’arco di tre secoli. Per la loro resa agricola molto alta e per l’elevato apporto nutritivo essi contribuirono tuttavia alla svolta alimentare verificatasi in Europa tra gli ultimi decenni del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, con la fine delle grandi carestie. Fu allora che, per la prima volta, si ruppe l’equilibrio instabile tra incremento demografico e produzione di alimenti. Nel corso di gran parte del Novecento la creazione di sovrabbondanza alimentare in Europa e nell’America settentrionale fu determinata dall’instaurazione di termini di scambio sfavorevoli ai paesi in via di sviluppo, nei quali le economie di sussistenza e i regimi alimentari tradizionali cedettero il posto a coltivazioni funzionali al commercio internazionale e a importazioni alimentari, esponendo le popolazioni locali ai cicli economici mondiali. L’alimentazione europea è ora perlopiù basata su un consumo assai alto e crescente di calorie di origine animale, che genera ipernutrizione e provoca squilibri ecologici planetari giungendo al termine di una catena alimentare assai lunga e ramificata. L’alimentazione nel mondo contemporaneo è quindi divenuta una questione che oltrepassa l’ambito privato del singolo o della famiglia, all’interno del quale erano stati un tempo determinanti la capacità e/o la volontà di adeguarsi a modelli di consumo commisurati al prestigio di ceto e all’attività lavorativa. In risposta ai problemi legati al progressivo inquinamento del pianeta e alla salvaguardia della salute, negli ultimi decenni del Novecento si è assistito alla diffusione di alimenti biologici o ecocompatibili, prodotti cioè senza ricorrere all’uso massiccio dei tradizionali pesticidi o fertilizzanti chimici. Negli stessi anni, sull’onda dei grandi progressi avvenuti nell’ambito della biologia molecolare, si è avviato a livello internazionale anche un intenso dibattito scientifico sull’impiego dei cosidetti OGM (organismi geneticamente modificati), i quali, pur favorendo il miglioramento delle pratiche agronomiche, l’arricchimento delle proprietà nutrizionali dei cibi e, quantomeno in linea di principio, il riequilibrio tra la disponibilità delle risorse alimentari e il sempre più rapido aumento della popolazione mondiale, comporterebbero una serie di gravi rischi, tra cui la riduzione della biodiversità animale e vegetale.