Hitler, Adolf

(Braunau, Alta Austria, 1889, † Berlino 1945). Uomo politico tedesco. Nato in una famiglia d’origine contadina (pervenuta, col padre, ai bassi gradi dell’amministrazione asburgica) al confine con la Baviera, Hitler ricevette nella Realschule di Linz una modesta istruzione tecnica, nella quale mise in luce, accanto all’inclinazione per il disegno, un’autentica passione per la storia tedesca, la musica di Wagner e gli ideali del pangermanesimo.
Rimasto orfano a quindici anni, si trasferì a Vienna dove tentò invano di diventare architetto, sbarcando il lunario come manovale e muratore. Nella capitale austriaca venne a contatto con fenomeni da lui giudicati negativamente ai fini della costruzione di un’unica patria tedesca omogenea e autoritariamente ordinata: il movimento socialdemocratico, il multiculturalismo plurinazionale dell’impero austroungarico, l’influenza della comunità ebraica.
Volontario nella prima guerra mondiale nei ranghi dell’armata bavarese, si guadagnò una decorazione e i gradi di caporale, vivendo poi la sconfitta tedesca come una pugnalata alla schiena da parte delle forze disfattiste interne e come una catastrofe la “rivoluzione dei consigli” del 1918, particolarmente incisiva in Baviera, e la proclamazione successiva della repubblica di Weimar sotto la presidenza del socialdemocratico Ebert.
Stabilitosi a Monaco e in collegamento con le componenti più reazionarie dell’esercito, ricevette l’incarico di “ufficiale educatore”. Si affiliò quindi a un minuscolo partito antisocialista, il Partito operaio tedesco. Un partito che Hitler, con le sue capacità organizzative e oratorie, ben prestò egemonizzò dopo la sua rifondazione nel 1920 come Partito operaio tedesco nazionalsocialista (Nazionalsozialistische Deutscharbeiterpartei, NSDAP), fornendogli un’ideologia pangermanista e razzista e facendolo passare da poche decine di adepti a migliaia di militanti, da lui galvanizzati e mandati all’assalto delle sezioni socialiste. In stretto contatto coi circoli nazionalisti e militaristi stretti intorno al generale Ludendorff, Hitler tentò il 9 novembre 1923 un colpo di stato a Monaco, che fallì ed ebbe come conseguenza lo scioglimento del partito e la sua incarcerazione.
Rimasto in prigione fino al dicembre 1924, scrisse la prima parte della sua opera principale, Mein Kampf (La mia battaglia), pubblicata tra il 1925 e il 1927, in cui esprimeva la sua concezione pangermanista, antiliberale e antidemocratica, antisocialista e antimarxista, razzista e antisemita, nonché i punti programmatici del nazionalsocialismo, riassumibili nella creazione – sotto la guida dello stesso Hitler, suo capo carismatico – di un forte stato imperialista tedesco (il cosiddetto “terzo” Reich), autoritario all’interno ed espansionista all’esterno, secondo il principio della conquista dello “spazio vitale”. Ricostruito il partito nazista nel 1925, Hitler – ammaestrato dall’insuccesso della tattica golpista e avendo come esempio l’esperienza “legale” di Mussolini in Italia – nello stesso anno contribuì coi conservatori all’elezione del maresciallo Hindenburg a presidente della repubblica. Riorganizzando il partito in forma paramilitare (con collaboratori di provata abilità, come Goebbels, Georg e Otto Strasser, Hess, Rosenberg, Göring, e Röhm) e mantenendolo sul piano della competizione elettorale, Hitler conseguì il duplice risultato di continuare nell’azione violenta contro le sinistre e il centro democratico da un lato e di perseverare, dall’altro, in una crescita elettorale che gli permise di ottenere nelle elezioni del 1930 il 18,3% dei suffragi.
Nel 1932, candidatosi alle elezioni presidenziali, Hitler ottenne 13,4 milioni di voti contro i 19,4 del vincente Hindenburg. Nelle elezioni dello stesso anno i nazisti passarono dal 18,3% al 37,4% dei voti diventando il più forte partito del Reichstag. Il 30 gennaio 1933 Hindenburg nominò Hitler cancelliere del Reich, decretando di fatto la fine della repubblica di Weimar.
Nel periodo compreso tra tale data e il 2 agosto 1934, quando alla morte di Hindenburg Hitler assunse anche la carica presidenziale, fu eretto il regime nazista, avviato nella legalità formale e presto trasformato, con la soppressione dei partiti e delle istituzioni parlamentari, in una dittatura terroristica e totalitaria, di cui Hitler fu il Führer (duce) osannato. Promulgate spietate leggi razziali, perseguitati gli oppositori dalla polizia segreta (GESTAPO), attuato il dirigismo economico più autoritario, il nuovo regime approntò rapidamente gli strumenti militari necessari per intraprendere una missione di potenza mondiale. Il riarmo, sperimentato con successo durante la guerra civile spagnola (1936-39), e la strategia dell’espansionismo diplomatico aggressivo (rimilitarizzazione della Renania, patto di Monaco e occupazione dei Sudeti) furono le premesse che portarono all’invasione della Polonia e allo scoppio della seconda guerra mondiale nel 1939. Insieme ai suoi maggiori collaboratori, Hitler fu personalmente responsabile delle decisioni più gravi prese negli anni del conflitto: dalle sanguinose campagne di repressione militare alla tragedia dell’Olocausto contro gli ebrei. Durante la guerra, nella fase in cui iniziava a profilarsi la sconfitta tedesca, Hitler scampò a due attentati nel 1943 (17 febbraio e 13 marzo) e il 20 luglio 1944, finendo col suicidarsi, insieme alla moglie Eva Braun nel bunker in cui s’era asserragliato, al momento dell’invasione delle truppe sovietiche a Berlino.