guelfi e ghibellini

Nomi con cui nel XIII secolo si designavano i sostenitori delle case di Sassonia e Baviera (guelfi) e della dinastia sveva (ghibellini) nella lotta per la corona tedesca. Il termine “guelfo” deriva da “Welf”, nome del capostipite della famiglia ducale bavarese; “ghibellino” deriva invece da “Waiblingen”, nome di un castello degli Hohenstaufen, duchi di Svevia. Poiché gli svevi erano favorevoli al contenimento delle pretese papali in Germania, mentre i duchi di Baviera e di Sassonia appoggiavano la politica pontificia, i termini “ghibellino” e “guelfo” vennero successivamente usati per indicare rispettivamente i sostenitori dell’imperatore e del papa. In Italia l’uso dei due nomi si diffuse a partire dalla lotta tra il futuro Federico II (1194-1250), sostenuto dai ghibellini, e Ottone IV di Brunswick (1175-1218), appoggiato dai guelfi. Dopo il trionfo di Federico II i ghibellini italiani approvarono anche la politica imperiale contro i comuni, decisamente avversata dai guelfi. Il ghibellinismo tentò di nobilitarsi ammantandosi di un’ideologia esaltatrice del ruolo sacro dell’impero: ne fu interprete, tra gli altri, Pier delle Vigne (1190-1249). In Italia lo scontro tra guelfi e ghibellini, più che indicare una precaria divisione ideologica, esprimeva la rivalità tra le grandi famiglie magnatizie o tra gruppi di potere reciprocamente ostili: a Firenze, per esempio, dove la famiglia degli Uberti era ghibellina, tutti i suoi oppositori si chiamavano guelfi, indipendentemente dagli orientamenti ideologici. Le lotte tra le due fazioni, socialmente interclassiste, furono spietate e provocarono una serie interminabile di faide, vendette e distruzioni di beni. La crisi della dinastia sveva e l’avvento al potere degli Angioini a Napoli e dei guelfi a Firenze segnarono un periodo di difficoltà per il ghibellinismo, che si riorganizzò alla fine del Duecento intorno alla monarchia aragonese. Nel Trecento il conflitto tra impero e papato si stemperò, per cui anche i termini “guelfo” e “ghibellino” assunsero significato esclusivamente politico, non ideologico, designando i sostenitori (guelfi) e gli oppositori (ghibellini) della dinastia angioina e dei suoi alleati fiorentini, per poi scomparire in pochi decenni dal linguaggio politico. Furono ripresi nel XIX secolo, con l’aggiunta del prefisso “neo-”, per indicare due opposti orientamenti ideologici presenti nel dibattito politico del Risorgimento italiano. Il neoguelfismo, la cui espressione più celebre fu Del primato morale e civile degli Italiani (1843) di Vincenzo Gioberti, affermò il ruolo fondamentale del papato nel rinnovamento, di segno cattolico-liberale e cattolico-nazionale, dell’Italia. L’elezione al soglio pontificio di Pio IX nel 1846 sembrò dare concretezza alle speranze neoguelfe, ma la chiusura antiliberale e antinazionale del papa dopo l’allocuzione del 1848 deluse ogni aspettativa e causò la crisi del movimento. Il neoghibellinismo si oppose al neoguelfismo, sottolineando come la chiesa fosse sempre stata e continuasse a essere il principale ostacolo alla realizzazione dell’unità nazionale, nonché di ogni progresso civile e politico. Ne furono esponenti: Giovanni Battista Niccolini (1782-1861), Atto Vannucci (1810-83), Giuseppe La Farina (1815-63) e Antonio Ranieri (1806-1888).