Grecia

Stato attuale dell’Europa meridionale. Per le vicende relative all’età classica fino alla dominazione romana si rimanda alla voce Grecia antica.

  1. La dominazione romana
  2. Il periodo bizantino
  3. Il periodo ottomano
  4. Il conseguimento dell’indipendenza
  5. Il regno di Grecia fino alla prima guerra mondiale
  6. La prima guerra mondiale e il dopoguerra
  7. La seconda guerra mondiale e la guerra civile
  8. Il secondo dopoguerra
  9. La dittatura dei colonnelli
  10. La Grecia democratico-repubblicana sino al 2000
  11. La crisi greca
  12. TABELLA: Sovrani della Grecia moderna
1. La dominazione romana

Sotto la dominazione romana, le condizioni economiche della Grecia peggiorarono progressivamente e la popolazione diminuì nonostante Roma garantisse, almeno formalmente, l’autonomia politica ad Atene, Sparta e Delfi, dimostrando un profondo rispetto per la tradizione culturale ellenica. In realtà il territorio greco fu più volte teatro dei grandi scontri politici che si svilupparono in seno al mondo romano. I più traumatici furono la distruzione di Atene da parte di Silla nell’86, nella prima guerra mitridatica, e la battaglia di Farsalo nel 48, durante il periodo delle guerre civili. In età imperiale si ebbe un relativo miglioramento delle condizioni generali del paese, grazie anche alla riorganizzazione della struttura amministrativa. Con l’istituzione della tetrarchia (293) da parte di Diocleziano la Grecia rientrò, con tutta l’area danubiano-balcanica, nella zona assegnata al Cesare d’Oriente, Galerio. Date le caratteristiche del sistema tetrarchico il paese rimase comunque inserito in un contesto imperiale unitario. Dopo l’ascesa al potere di Costantino e il superamento della tetrarchia, la Grecia fu ricompresa nella prefettura dell’Illirico. Nella seconda metà del IV secolo fu invasa dai goti che, sotto la spinta degli unni, raggiunsero con Alarico il Peloponneso.

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2. Il periodo bizantino

Alla morte di Teodosio I (395), quando l’impero fu suddiviso tra i suoi due figli Arcadio e Onorio in una parte occidentale e in una orientale, la Grecia entrò a far parte dell’impero d’Oriente come provincia d’Acaia. Con la riorganizzazione amministrativa introdotta da Eraclio nel VII secolo, essa fu articolata in quattro temi (i principali erano quello dell’Ellade a nord e del Peloponneso a sud). Iniziò così per la Grecia il periodo bizantino, durante il quale essa ebbe ancora una certa rilevanza sul piano culturale (almeno fino alla chiusura dell’Accademia platonica di Atene voluta da Giustiniano nel 529), ma fu travagliata da una grave crisi economica e demografica foriera di profonde tensioni sociali. Le agitazioni religiose e politiche culminarono in aperta ribellione dopo l’abolizione del culto delle immagini da parte dell’imperatore Leone III (726). Nel 727 la rivolta fu sedata dalla flotta imperiale. L’anno seguente la chiesa greca si separò da quella romana e passò sotto la giurisdizione di Costantinopoli. Nel complesso, tuttavia, nell’VIII secolo, sotto la dinastia degli Isaurici, la situazione economica migliorò e la flotta greca continuò ad avere il predominio lungo le vie commerciali della seta. Una nuova crisi politico-sociale iniziò nel X secolo con le incursioni di popolazioni barbare provenienti dai Balcani, i bulgari (sconfitti nel 995 dall’esercito bizantino). Le incursioni proseguirono nel secolo successivo interessando soprattutto la Tessaglia, che fu invasa dai valacchi, e le coste, raggiunte dagli arabi. Dalla Sicilia, nello stesso periodo, si mossero i normanni i quali, direttisi dapprima verso le isole dello Ionio, si volsero poi verso le coste greche (1145-46) saccheggiando Tebe e Corinto. La potenza commerciale greca fu definitivamente fiaccata dall’ascesa di Venezia a partire dal secondo decennio del XII secolo. Con la presa di Costantinopoli (1204) durante la quarta crociata e la conseguente crisi dell’impero bizantino, il paese cadde per la maggior parte sotto il controllo di baroni franchi (a eccezione del despotato d’Epiro costituito dal principe bizantino Michele Angelo). La Grecia fu quindi spartita fra Venezia (che ebbe le isole Ionie, Rodi, alcuni porti del Peloponneso, Creta e l’Eubea) e i cavalieri franchi e lombardi, che costituirono numerosi piccoli stati di natura feudale: il regno di Tessalonica, il ducato dell’Arcipelago, il ducato di Atene (dapprima toccato ai Laroche, poi dal 1311 ai Catalani e dal 1388 agli Acciaiuoli), il principato di Acaia (o Morea, governato dai Villehardouin, poi dai Paleologi e infine dai Navarresi), la Triarchia dell’Eubea e la baronia di Salona.

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3. Il periodo ottomano

Alla conquista di Costantinopoli da parte di Maometto II (1453) seguì la sottomissione della Morea (1458-60) e la divisione della Grecia in sei “sangiaccati”: l’Epiro, l’Etolia, la Tessaglia, l’Eubea, la Beozia unita all’Attica e infine la Morea. Ognuno di essi fu sottoposto all’autorità di un beg che esercitava il potere civile e militare. Rimasero invece sotto il controllo di Venezia le isole ioniche. Creta fu conquistata dai turchi solo nel 1669. La dominazione ottomana coincise nel complesso con un periodo di grave decadenza per la Grecia, oppressa dal pesante fiscalismo dei dominatori e ormai del tutto marginale nell’economia del nuovo impero. La differenza di religione e in generale le diverse tradizioni culturali esacerbarono la contrapposizione fra i greci e i conquistatori turchi, provocando fin dal XVI secolo il diffondersi di fenomeni di banditismo (clefti). La prima rivolta antiturca scoppiò tuttavia solo nel 1770, nel corso della prima guerra intrapresa da Caterina II di Russia contro la Turchia. Strumentalmente sobillato dagli emissari della zarina, il tentativo insurrezionale non fu concretamente sostenuto dalla Russia e i turchi, con l’aiuto determinante del loro vassallo albanese Ali Tebelen, poterono stroncare la ribellione. Nonostante il fallimento della rivolta, da allora lo spirito nazionale ellenico si fece sempre più forte e consapevole, soprattutto tra le élites intellettuali ed economiche che vivevano al di fuori del territorio propriamente greco, nei principali centri commerciali del Mediterraneo e del Mar Nero, e che avevano assunto una posizione preminente nella finanza, nei commerci, nella diplomazia e talora negli eserciti di altri paesi. Particolarmente influenti furono in questo senso i fanarioti (così chiamati dal quartiere d’origine a Costantinopoli, il Fanar), inseriti ai livelli più alti del sistema amministrativo dell’impero turco e vari membri delle famiglie Ypsilanti e Capodistria, che ricoprirono alte cariche militari e civili nella Russia zarista.

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4. Il conseguimento dell’indipendenza

Fra i greci lontani dalla madrepatria il sentimento della comune appartenenza alla nazione ellenica si tradusse, a partire dalla fine del Settecento, nella formazione di società segrete, le eteríe, che si proponevano di promuovere la cospirazione antiturca e di portare il paese all’indipendenza. La prima etería fu costituita a Vienna fra il 1783 e il 1798 su iniziativa di K. Rhigas. La principale di esse, attiva fra il 1814 e il 1821, ebbe il suo centro dapprima a Odessa, quindi a Mosca e a Costantinopoli (con ramificazioni in tutti i principali centri che contavano una consistente presenza greca e nella stessa madrepatria). Il progetto di liberazione del territorio nazionale dal dominio ottomano attraverso un moto insurrezionale avviato all’esterno, com’era nel disegno di A. Ypsilanti, dal 1820 alla guida dell’Eteria, si rivelò inizialmente fragile nei suoi presupposti (la fiducia nell’aiuto concreto dello zar Alessandro, il sollevamento dei principati danubiani e il diretto coinvolgimento di tutti i greci nella lotta contro l’oppressore), nonché fallimentare nei suoi risultati immediati, a causa della sconfitta subita dai greci a Dragashan (1821). La sollevazione del paese aveva comunque avuto inizio e avrebbe portato, nel corso di un decennio, al conseguimento dell’indipendenza. Nell’aprile dello stesso anno fu liberata la Morea e nel gennaio 1822 il congresso di Epidauro proclamò l’indipendenza del paese. Nel marzo 1823 l’Inghilterra riconobbe alla Grecia lo status di nazione impegnata in una guerra di liberazione dal dominio turco. Nel 1825 il profilarsi dell’intervento egiziano a sostegno della Porta mobilitò l’opinione pubblica internazionale in favore della causa greca, dando vita a un vasto movimento filoellenico e all’organizzazione di spedizioni di volontari, fra i quali vi furono lo scrittore inglese Lord Byron e Santorre di Santarosa. Nel febbraio 1825 Ibrahim Pascià sbarcò a Modon e conquistò la Morea; Reshid Pascià assaltò Atene e conquistò Missolungi (1826). L’ultimatum turco indusse allora Russia, Inghilterra e Francia a sottoscrivere nel 1827 il Protocollo di Londra, con il quale le tre potenze si impegnavano a difendere la causa dell’indipendenza greca nel quadro di una soluzione diplomatica da ricercare con la Turchia. Pur con obiettivi assai diversi, le tre potenze furono concordi nel richiedere l’armistizio greco-turco e lo sgombero della Morea. Al rifiuto opposto dalla Porta, la flotta russo-franco-inglese rispose con la vittoriosa battaglia di Navarino (1827). La dichiarazione di guerra russa nell’aprile 1828 e la penetrazione in territorio greco fin quasi a Costantinopoli costrinsero la Turchia a firmare il trattato di Adrianopoli (settembre 1829), che prevedeva il riconoscimento da parte turca della Grecia come stato autonomo, sebbene ancora soggetto al pagamento di tributi. Con il protocollo di Londra del 3 febbraio 1830 si giunse poi alla concessione della totale indipendenza alla nuova nazione, alla quale mancavano però ancora Tessaglia, Epiro, Creta e isole Ionie.

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5. Il regno di Grecia fino alla prima guerra mondiale

Raggiunta l’indipendenza la Grecia, secondo l’indirizzo prevalso fin dal congresso di Epidauro, si diede un assetto repubblicano elevando alla presidenza il conte Giovanni Antonio di Capodistria, di tendenze filorusse. Questi, tuttavia, sospese la costituzione e instaurò una propria dittatura (1830). Dopo il suo assassinio nell’ottobre 1831, Francia, Inghilterra e Russia, riunite nella conferenza di Londra, nel maggio 1832 assegnarono allora la corona a Ottone I di Baviera: una scelta che fu poi ratificata l’8 agosto dall’Assemblea nazionale riunita a Nauplia. Il sovrano, assunto il potere nel 1835 dopo un breve periodo di reggenza, si trasferì ad Atene inaugurando una politica autoritaria che determinò lo scoppio, nel settembre 1843, di un’insurrezione nella capitale. Su pressione delle forze politiche moderate nel 1844 fu quindi costretto a introdurre un regime di tipo parlamentare. Allo scoppio della guerra di Crimea il sovrano assunse posizioni filorusse, ma fu costretto, il 26 maggio 1854, a dichiarare la propria assoluta neutralità sotto la minaccia della flotta anglo-francese entrata nel porto del Pireo. Le crescenti difficoltà di ordine politico ed economico portarono al colpo di stato militare del 1862, che costrinse Ottone I ad abdicare. La scelta del nuovo sovrano cadde sul principe Guglielmo di Danimarca, che regnò dal 1863 con il nome di Giorgio I. Nei primi anni del suo regno la Grecia acquisì dalla Gran Bretagna le isole Ionie. Per far fronte alle istanze moderate nel 1864 il sovrano concesse una nuova costituzione che introduceva un regime parlamentare basato su una camera unica (Boulé) eletta a suffragio universale. Il pluripartitismo risultava tuttavia fittizio in quanto fortemente condizionato da clientele locali e dagli interessi dei singoli leader politici. Ne derivò un assetto politico fortemente instabile, reso peraltro coeso dall’obiettivo di consolidare e ampliare i confini nazionali. La politica estera greca nell’ultimo trentennio dell’Ottocento fu in primo luogo diretta all’acquisizione della Tessaglia meridionale e dell’Epiro, territori promessi sin dal congresso di Berlino (1878) e ottenuti con la convezione greco-turca del 2 luglio 1881. Il sentimento panellenico fu tuttavia ripetutamente frustrato dal problema di Creta: l’appoggio greco all’insurrezione scoppiata nell’isola nel 1866-69 fu contrastato a livello internazionale e non consentì di realizzare l’unificazione di Creta alla madrepatria. Anche l’insurrezione di Filippopoli nel 1884 e i nuovi moti scoppiati a Creta nel 1889 si risolsero in un nulla di fatto. A seguito della mutata situazione internazionale e di una nuova rivoluzione scoppiata a Creta nel 1895, nel febbraio 1897 un corpo di spedizione greco occupò l’isola, ma ancora una volta le grandi potenze intimarono alla Grecia di ritirarsi. La dichiarazione di guerra turca nel 1897 e la sconfitta nella battaglia di Farsala costrinsero la Grecia ad accettare la pace di Costantinopoli, che la obbligava al pagamento di pesanti sanzioni. Creta fu intanto affidata al controllo internazionale. E. Venizelos, divenuto capo del governo, affrontò allora la grave crisi finanziaria attraverso un cauto riformismo. In politica estera promosse l’Unione balcanica, cui aderirono anche Serbia, Montenegro e Bulgaria. La prima guerra balcanica (ottobre 1912) vide l’esercito greco impegnato in Macedonia, Epiro e nelle isole egee settentrionali. Nello stesso anno, nel corso della guerra di Libia, l’Italia occupò Rodi e le isole del Dodecaneso, nella parte sudorientale del Mar Egeo, che solo nel 1947 furono annesse alla Grecia. Dopo l’assassinio a Salonicco del sovrano Giorgio I e la successione del figlio Costantino I, il trattato di Londra (30 maggio 1913), che chiudeva il primo conflitto balcanico, non permise un’adeguata definizione delle conquiste fra le potenze vincitrici e provocò a sua volta lo scoppio di una nuova guerra fra la Grecia (alleata di Serbia, Romania e Turchia) e la Bulgaria. La pace di Bucarest (10 agosto 1913) pose fine al secondo conflitto balcanico consentendo alla Grecia di spartirsi con la Serbia la Macedonia. Il trattato, oltre a sanzionare il passaggio di Creta sotto la sovranità greca, stabiliva anche l’unione delle isole egee alla nazione ellenica.

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6. La prima guerra mondiale e il dopoguerra

Al fine di consolidare il controllo dei territori acquisiti la Grecia aveva firmato sin dal 1913 un trattato di mutuo soccorso con la Serbia. Ciononostante, allo scoppio del conflitto mondiale, pur divenendo sempre più acceso lo scontro fra i neutralisti guidati dal re Costantino e gli interventisti che facevano capo a Venizelos, la Grecia mantenne a lungo una posizione di attesa, fino alla forzata abdicazione di Costantino e all’ascesa al trono di Alessandro I (1917). Entrato in guerra il 17 giugno 1917, il paese combatté a fianco dell’Intesa contro la Bulgaria, che fu costretta a chiedere l’armistizio il 29 settembre 1918. Nel dopoguerra Venizelos cercò di attuare il progetto di una Grande Grecia che comprendesse il cuore dell’antico impero ottomano. Contando sull’appoggio della flotta inglese, nel maggio 1919 fu quindi occupata la zona di Smirne nell’Anatolia sudorientale. Grazie al trattato di Neuilly (27 novembre 1919) la Grecia ottenne dalla Bulgaria la Tracia; con il trattato di Sèvres (10 agosto 1920) la Turchia fu costretta ad accettare che la zona di Smirne venisse affidata per cinque anni in amministrazione alla Grecia. La morte di Alessandro I aprì, tuttavia, una difficile crisi istituzionale, aggravata dalla sconfitta di Venizelos alle elezioni e dal rifiuto del principe Paolo di salire al trono. Nel dicembre 1920 Costantino fu quindi riportato al potere da un plebiscito e Venizelos fu temporaneamente esiliato. Deciso a proseguire la guerra contro i turchi, Costantino dovette scontrarsi con il nazionalismo turco guidato da Mustafà Kemal. Nel settembre del 1922 l’esercito greco fu costretto ad abbandonare la penisola anatolica. Il trattato di Losanna del 24 luglio 1923 sancì la definitiva sconfitta delle aspirazioni espansionistiche in Asia Minore e nella Tracia orientale, segnando al contempo la fine del potere di Costantino, nuovamente costretto ad abdicare nel settembre del 1922. Seguì il breve regno di Giorgio II (1922-23) e un nuovo ministero Venizelos, rientrato in patria. Dopo l’abdicazione di Giorgio II nel dicembre 1923, Venizelos, che pure era risultato vincitore alle elezioni, fu nuovamente costretto ad abbandonare il paese. Gli subentrò una giunta militare che il 25 marzo 1924 proclamò la repubblica. Sotto la presidenza dell’ammiraglio P. Kunduriotis le due anime dell’esercito (repubblicana e monarchica) si alternarono al potere in governi tendenzialmente autoritari (culminati nel 1926 con il tentativo di T. Pangalos di instaurare una propria dittatura) e aggressivi (gli scontri con la Bulgaria richiesero l’intervento della Società delle Nazioni). Le elezioni del 1928 ridiedero per l’ultima volta la guida del paese a Venizelos, che svolse un’importante azione diplomatica per consolidare l’assetto territoriale raggiunto: furono firmati accordi con la Serbia per il porto di Salonicco, nel 1930 fu sottoscritto un trattato di amicizia con la Turchia. La vittoria della destra alle elezioni del 1932 ridiede vita alle tendenze monarchiche in una fase di grave crisi economica. La situazione politica degenerò in scontri fra monarchici e seguaci di Venizelos sino alla sopraffazione di questi ultimi e alla restaurazione della monarchia. Il plebiscito del novembre 1935 sancì il ritorno al trono di Giorgio II, che risolse la grave instabilità legata alla mancanza di una maggioranza politica affidando il governo al generale I. Metaxas: questi sciolse il parlamento e instaurò un regime dittatoriale di impronta fascista rimanendo al potere fino alla sua morte, nel febbraio 1941. Gli anni che precedettero lo scoppio della seconda guerra mondiale furono caratterizzati da una relativa stabilità economica e da un atteggiamento di prudente neutralità in politica estera, mantenuto fino all’aprile del 1939. Allora infatti, a seguito dell’occupazione italiana dell’Albania, Metaxas rinsaldò i rapporti con l’Inghilterra e la Francia nella speranza di garantire l’indipendenza del paese.

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7. La seconda guerra mondiale e la guerra civile

Per ordine di Mussolini, che intendeva così compensare il rapido dilagare delle truppe tedesche, la Grecia fu invasa dall’esercito italiano il 28 ottobre 1940. Di fronte all’invasione straniera il fronte politico e militare si rinsaldò rapidamente e, grazie anche all’appoggio della flotta inglese, riuscì a ricacciare le truppe occupanti in territorio albanese. L’intervento diretto dei tedeschi nella primavera del 1941 piegò tuttavia la resistenza greca. Nel luglio 1941 il paese passò sotto il controllo dell’esercito italiano (con il supporto della riserva tedesca) ed ebbe inizio la guerra partigiana. Dopo la morte del generale Metaxas, il sovrano Giorgio II e il governo furono costretti a rifugiarsi a Creta, poi ad Alessandria e infine a Londra. Nella Grecia occupata si costituì allora un governo filonazista guidato dal generale G. Tsolakoglu. La resistenza si organizzò in formazioni partigiane riunite nel Fronte nazionale di liberazione (EAM), poi divenuto Corpo nazionale popolare di liberazione (ELAS) d’ispirazione comunista e nell’Esercito nazionale democratico greco (EDES) filomonarchico. Nonostante le profonde contrapposizioni tra le diverse anime della resistenza, nel maggio 1944 si costituì un governo clandestino di unità nazionale. Il 12 ottobre 1944 le truppe inglesi sbarcarono in Grecia e avviarono la liberazione del paese, coadiuvate da tutte le formazioni partigiane. Nel frattempo, si insediò il governo di G. Papandreu. Di fronte all’aperta ostilità subito manifestata dagli inglesi verso le forze dell’EAM-ELAS, si radicalizzarono anche i contrasti all’interno della resistenza. Furono così poste le basi per lo scoppio della guerra civile nell’immediato dopoguerra. In una situazione quanto mai confusa – che nel gennaio 1945 era già degenerata in conflitto aperto fra l’ELAS e gli inglesi ad Atene e che l’accordo di Varkiza del febbraio 1945 non era riuscita a risolvere definitivamente – le elezioni del marzo 1946 (boicottate dall’EAM) diedero la maggioranza ai populisti e ai monarchici. Si costituì allora un governo guidato da K. Tsaldaris che preparò il rientro in patria di Giorgio II (settembre 1946). Di fronte all’involuzione politico-istituzionale ripresero vigore gli scontri fra i diversi governi greci, sostenuti dall’Inghilterra e soprattutto dagli USA, e le formazioni comuniste filosovietiche guidate da V. Markos. La guerra civile ebbe gravi costi umani ed economici, che vanificarono in gran parte i consistenti aiuti elargiti al paese dagli Stati Uniti. Essa si concluse nell’ottobre 1949 con la sconfitta dei comunisti, debolmente sostenuti dall’Unione Sovietica e ulteriormente indeboliti dalla condanna staliniana dei comunisti di Tito (giugno 1948). Furono infine abbandonati a se stessi in seguito al definitivo riconoscimento sovietico dell’appartenenza della Grecia alla sfera occidentale.

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8. Il secondo dopoguerra

Sotto il re Paolo I (1947-64), la Grecia degli anni Cinquanta si diede governi conservatori e autoritari, sostenuti dal Partito dell’unione del maresciallo A. Papagos e poi dall’Unione nazionale radicale (ERE) di K. Karamanlis. La sinistra fu discriminata e il Partito comunista rimase al bando. In un clima ancora politicamente instabile, una certa continuità nell’azione di governo fu garantita dagli esecutivi del maresciallo A. Papagos (1952-55) e di K. Karamanlis (1955-63). La Grecia avviò allora la ricostruzione col sostegno finanziario degli Stati Uniti. Quanto alla sua collocazione internazionale, il paese era entrato nel Consiglio d’Europa già nel 1949. Nel 1951 aderì alla NATO. Nel 1953 sottoscrisse un trattato di amicizia con la Iugoslavia e la Turchia (ben presto denunciato per la questione di Cipro). Alla fine degli anni Cinquanta si manifestarono chiari segni di crisi: alle elezioni del 1958 si affermò la Sinistra democratica greca (EDA), al cui interno vi erano anche esponenti comunisti; nel 1959 la soluzione di compromesso raggiunta con la Turchia su Cipro frustrò le aspettative della popolazione greca dell’isola (che avrebbe voluto l’unione alla Grecia); la monarchia stessa prese le distanze da Karamanlis e gli Stati Uniti ritennero più opportuno orientare il loro appoggio su una forza più moderata, il Partito dell’unione di centro, e sul suo leader G. Papandreu. Le elezioni del 1961 diedero ancora la maggioranza all’ERE, ma la contestazione del voto e lo scandalo seguito all’assassinio del deputato socialista G. Lambrakis portarono alla caduta del governo e, dopo la sconfitta alle elezioni, alla fine del predominio di Karamanlis. Si aprì allora la breve stagione del governo di G. Papandreu, che guidò l’esecutivo nel 1964-65, quando gli fu revocato l’incarico da re Costantino II (succeduto al padre nel 1964). Papandreu avviò un programma di moderate riforme che allarmò le forze armate, la monarchia e le frange più conservatrici, le quali diedero inizio a una pesante campagna di discredito sia all’interno sia in campo internazionale. La breve parabola del suo governo dimostrò la difficoltà di avviare la democratizzazione nel paese e l’arroccamento delle forze più reazionarie intorno ai propri privilegi. Seguì una fase di grande incertezza, aggravata nel 1965 dalla scoperta di un complotto da parte di gruppi dell’esercito e da un diffuso malcontento, indirizzato soprattutto verso l’operato del sovrano, che dovette impegnarsi a fissare nuove elezioni per il 28 maggio 1967. Di fronte al profilarsi di una possibile vittoria elettorale delle sinistre, il 21 aprile 1967 alcuni ufficiali guidati dai colonnelli G. Papadopulos e S. Pattakos, appoggiati dai servizi segreti statunitensi, si impadronirono del potere e instaurarono una dittatura militare.

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9. La dittatura dei colonnelli

Con il pretesto di liberare il paese dalla minaccia comunista e di scongiurarne l’uscita dalla NATO, i colonnelli instaurarono un regime di ispirazione fascista, abolendo le libertà politiche e civili, sciogliendo i partiti, adottando drastiche misure repressive nei confronti degli oppositori. Papadopulos divenne primo ministro e Pattakos ministro degli Interni. Nei loro confronti la monarchia oscillò fra un atteggiamento iniziale di sostegno e la successiva sconfessione, quando gli eccessi della giunta militare andarono oltre gli intenti conservatori e autoritari del sovrano e degli stessi alti gradi dell’esercito. Il 13 dicembre 1967 il re e alcuni generali tentarono quindi un contro-colpo di stato, che però fallì costringendo la famiglia reale alla fuga. Nel settembre 1968 il regime varò una riforma costituzionale che confermava la monarchia e aumentava i poteri dell’esecutivo. I paesi occidentali reagirono all’instaurazione della dittatura con una condanna formale, senza tuttavia intervenire direttamente. Nel dicembre 1969 la Grecia fu sospesa dalla Comunità economica europea e nel 1969 si ritirò dal Consiglio d’Europa. Veicolo di propaganda fascista in Europa, la giunta militare ebbe però rapporti economici con alcuni paesi socialisti (Bulgaria e Iugoslavia in particolare) e arabi. Di fronte al nuovo tentativo di Costantino II di riprendere il potere, il 1° giugno 1973 Papadopulos dichiarò la destituzione del sovrano, fece poi approvare tramite referendum l’abolizione della monarchia e instaurò la repubblica (29 luglio), della quale divenne egli stesso presidente. Proprio nel momento di maggiore concentrazione del potere nelle sue mani le ripercussioni della crisi economica mondiale (aggravate dall’esclusione della Grecia dalla CEE), la crescente insofferenza della popolazione nei confronti dei metodi polizieschi e l’opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica compiuta dagli esuli determinarono però l’isolamento dell’uomo forte del regime all’interno della stessa giunta, che cercò di sopravvivere allontanando Papadopulos. Il 25 novembre 1973 il colpo di stato di D. Ioannidis portò alla presidenza il generale F. Ghizikis e il governo fu affidato a un civile, A. Androstopulos. L’avventura di Cipro nell’estate 1974, quando il regime sostenne velleitariamente il colpo di stato di N. Sampson che avrebbe dovuto annettere l’isola alla Grecia, provocò la fine della dittatura. Di fronte all’occupazione turca di metà di Cipro infatti la Grecia non ebbe la forza di rispondere militarmente. In quel frangente Ghizikis fu costretto ad affidare il governo al conservatore Kostantinos Karamanlis, richiamandolo dall’esilio e accettando implicitamente il ripristino della legalità.

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10. La Grecia democratico-repubblicana sino al 2000

Le elezioni del novembre 1974 diedero la maggioranza al partito di Kostantinos Karamanlis, Nuova democrazia, promuovendo il suo leader alla guida del governo. Nel dicembre 1974 un referendum confermò la scelta istituzionale repubblicana e nel giugno 1975 entrò in vigore una nuova costituzione. Nello stesso anno il parlamento elesse presidente della repubblica C. Tsatsos. Nella seconda metà degli anni Settanta, sotto la guida di Karamanlis, la Grecia attuò un relativo consolidamento delle istituzioni democratiche e si inserì stabilmente nel contesto europeo (nel maggio 1979 aderì alla CEE, divenendo membro effettivo dell’organizzazione nel 1981). Rimasero invece tesi i rapporti con la Turchia per la questione di Cipro (nel 1974 si ebbe la crisi più grave, che provocò la decisione di Karamanlis di far uscire temporaneamente la Grecia dalla NATO per protesta contro il mancato appoggio fornito dal Patto Atlantico alla causa dei greci ciprioti). All’inizio degli anni Ottanta entrò in crisi il partito di Karamanlis, diviso fra un’ala più conservatrice e una liberale, e incapace di esprimere una nuova dirigenza autorevole che sostituisse quella del vecchio leader. Dopo le dimissioni di Karamanlis dal governo e la sua elezione a presidente della repubblica nel 1980, nell’ottobre 1981 la maggioranza dell’elettorato si orientò verso il Partito socialista panellenico (PASOK). A. Papandreu, leader del PASOK, avviò subito una politica di riforme volte a sostenere il settore pubblico dell’economia in un contesto di forte aumento dell’inflazione e della disoccupazione. Il nuovo orientamento ottenne il consenso dell’elettorato alle elezioni del 1985 e alle presidenziali dello stesso anno, quando fu eletto C. Sartzetakis, appoggiato dal PASOK. Tuttavia nel 1986, nel quadro di un’incipiente crisi economica, le elezioni amministrative segnarono una nuova svolta: Papandreu dovette assumere posizioni di maggiore apertura nei confronti di Nuova democrazia provvedendo a un rimpasto governativo per indebolire l’opposizione alla politica di austerità. Continui scioperi generali e lo scoppio di scandali dovuti alla corruzione dei quadri dirigenti portarono alla crisi del governo Papandreu nel 1989. Le elezioni politiche, vinte da Nuova Democrazia, costrinsero i conservatori a una inedita coalizione con i comunisti filosovietici e gli europeisti uniti nella Coalizione di sinistra. Il governo del conservatore Tzannetakis ispirò la propria politica alla parola d’ordine della catarsi, ovvero del rigore morale, che ebbe come primo effetto il rinvio a giudizio dello stesso Papandreu accusato di corruzione. Le nuove elezioni determinarono ancora un mutamento nell’assetto della coalizione: i comunisti, gravemente sconfitti, uscirono dalla coalizione e Nuova Democrazia costituì un governo monocolore guidato da K. Mitsotakis. In contrasto con la politica di sostegno alle imprese di stato condotta da Papandreu, Mitsotakis privatizzò importanti settori dell’industria pubblica e inasprì la politica fiscale liberalizzando il prezzo dei beni di largo consumo. Alla fase di difficili rapporti diplomatici con gli Stati Uniti durante il governo Papandreu, Mitsotakis oppose una repentina apertura verso gli americani, conscio della necessità dell’appoggio statunitense ed europeo per far fronte alla crisi economica. Mentre il governo prospettava l’ipotesi di una grande coalizione di unità nazionale con il sostegno dei maggiori partiti, nel maggio 1990 Karamanlis fu rieletto alla presidenza della repubblica. Alla debole opposizione politica del PASOK, ancora fortemente in crisi, si aggiunse nel corso del 1991 la contestazione studentesca, specie nelle università, che permise al PASOK di rafforzarsi e a Papandreu di chiedere ripetutamente le elezioni anticipate. Dopo la ratifica del trattato di Maastricht, che ebbe il sostegno dello stesso Papandreu, le elezioni politiche del 1993 portarono nuovamente al governo i socialisti di Papandreu. Si aggravò intanto la situazione politica ai confini della Grecia, soprattutto dopo la proclamazione dell’indipendenza della Macedonia (1991) e con il precipitare del conflitto nella ex Iugoslavia. Papandreu si schierò contro la Macedonia, accusata di voler conquistare la propria indipendenza a scapito dell’unità greca e della tranquillità della provincia greca di Macedonia, e diede il proprio appoggio politico alla Serbia. Nel 1996 Papandreu, malato, diede le dimissioni, lasciando la guida del governo a Costas Simitis, la cui nomina fu sanzionata dalle elezioni del 1997. Simitis in politica interna si impegnò a favorire il processo di privatizzazioni e il risanamento delle finanze; ma questo non consentì alla Grecia di soddisfare i criteri necessari all’ingresso nell’unione monetaria europea. In politica estera gli eventi più importanti furono le rinnovate tensioni con la Turchia. Nel 1996 i due paesi furono sull’orlo di un conflitto armato per il controllo di una piccola isola; e nel corso dei primi anni Duemila le tensioni si acuirono periodicamente in relazione alla controversa questione di Cipro. Nel conflitto del 1999 della NATO contro la Iugoslavia la Grecia non prese parte alle operazioni militari.

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11. La crisi greca

Le elezioni del 2000 riconfermarono il governo Simitis che avviò una politica di rigore economico che consentì alla Grecia di entrare a far parte del gruppo dei paesi della UE che adottano l’euro. Nel 2004 il PASOK lasciò il potere nelle mani dei moderati di Kostas Karamanlis, nipote di Kostantinos, che fu riconfermato primo ministro anche nel 2007. Le proteste nei confronti delle misure neoliberali adottate in campo economico dal governo di Karamanlis degenerarono in violenti scontri con la polizia nel dicembre del 2008, dopo l’uccisione di un giovane manifestante. Nel 2009, sull’onda della crisi finanziaria globale, Karamanlis indisse elezioni anticipate, che furono vinte a stragrande maggioranza dal PASOK guidato da George Papandreu, che divenne così il terzo della sua famiglia – dopo Georgios Papandreu e Andreas Papandreu – a rivestire l’incarico di primo ministro. Per scongiurare la minaccia della bancarotta, Papandreu introdusse misure drastiche di risanamento dei conti pubblici che suscitarono nuove proteste, senza tuttavia ottenere gli effetti desiderati. A fronte dell’aggravarsi della crisi, nella primavera del 2010 l’UE e il FMI assicurarono alla Grecia un pacchetto di prestiti per svariati miliardi di euro. Nonostante ciò, la situazione economica del paese continuò a peggiorare al pari dell’intensificarsi della protesta sociale, che nel giugno 2011 degenerò in violenze. Dopo alcuni falliti tentativi tesi alla formazione di un governo di unità nazionale, Papandreu fece approvare ulteriori misure di riduzione della spesa pubblica. Col proposito di contenere i possibili effetti sull’intera economia europea, i principali capi di governo europei si dichiararono disponibili a un nuovo prestito solo di fronte alla garanzia di nuove misure draconiane di stabilizzazione. All’indomani di un incontro con il cancelliere tedesco Angela Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy, il premier Papandreu annunciò di voler sottoporre il piano di salvataggio dell’economia greca a un referendum popolare, suscitando però energiche proteste sia da parte dell’opposizione interna sia da parte degli altri leaders europei. All’indomani di un incontro con il cancelliere tedesco Angela Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy, il premier Papandreu annunciò di voler sottoporre il piano di salvataggio dell’economia greca a un referendum popolare, suscitando però energiche proteste sia da parte dell’opposizione interna sia da parte degli altri leader europei. Nonostante il superamento di un nuovo voto di sfiducia, Papandreu rassegnò le dimissioni, passando il timone del governo a Lucas Papademos, già vicepresidente della Banca centrale europea, che si incaricò di guidare un governo di coalizione ad interim.
Nel febbraio 2012, al fine di ottenere un ulteriore prestito da parte della Banca centrale europea e dal Fondo monetario internazionale, il parlamento approvò nuovi tagli alla spesa pubblica, scatenando violente proteste popolari. Il sempre più diffuso malcontento si riflesse sui risultati delle elezioni parlamentari del maggio 2012, che registrarono un forte calo di consensi da parte dei partiti tradizionali (PASOK e Nuova democrazia) e la simultanea affermazione della sinistra radicale e dell’estrema destra. Di fronte all’impossibilità di formare un governo di coalizione, furono indette nuove elezioni, che permisero al leader di Nuova democrazia, Antonis Samaras, di assumere l’incarico di premier e formare un governo di coalizione col PASOK.

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100. TABELLA: Sovrani della Grecia moderna

Ottone (Principe Ottone
adi Baviera) 1833-1862
Giorgio I (Principe Guglielmo
di Danimarca) 1863-1913
Costantino I 1913-1917
Alessandro 1917-1920
Costantino I 1920-1922
Giorgio II 1922-1923
Repubblica 1924-1935
Giorgio II 1935-1944
Reggenza 1944-1946
Giorgio II 1946-1947
Paolo I 1947-1964
Costantino II 1964-1974

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