Göring, Hermann

(Rosenheim 1893, † Norimberga 1946). Militare e uomo politico tedesco. Ufficiale di aviazione nella prima guerra mondiale, divenne membro del Partito nazionalsocialista nel 1922, assumendo l’anno successivo il comando delle SA. Nel novembre del 1923 fu con Hitler uno dei protagonisti del putsch di Monaco. Dopo un esilio di cinque anni in Austria, in Italia e in Svezia, fu eletto deputato al Reichstag (1928), di cui divenne nel 1932 il presidente. Con l’ascesa di Hitler alla cancelleria (30 gennaio 1933), che favorì grazie ai suoi contatti con l’alta finanza e con il generale Hindenburg, entrò nel governo ottenendo vari incarichi, tra cui il ministero dell’Aviazione e la carica di primo ministro in Prussia. Diede quindi vita alla Gestapo, la polizia segreta del regime reclutata direttamente dalle SA e dalle SS, che diresse fino al 1936, e allestì i primi campi di concentramento. Fu uno dei principali responsabili dell’incendio del Reichstag (27 febbraio 1933) e, insieme a Heinrich Himmler, del complotto che portò poi all’eliminazione di Gregor Strasser, di Ernst Röhm e della sinistra del partito nella “notte dei lunghi coltelli” (30 giugno 1934). Nell’ottobre del 1936 subentrò a Hjalmar Schacht come responsabile della politica economica del nazismo e mise in atto il secondo “piano quadriennale” che segnò la conversione della Germania all’economia di guerra. Feroce antisemita, fu uno dei principali ispiratori delle leggi razziali del 1938 e della persecuzione degli ebrei. Nel 1939 fu nominato da Hitler successore alla cancelleria e, un anno più tardi, maresciallo del Reich. Riorganizzò e diresse la flotta aerea dell’esercito tedesco (la Luftwaffe) alla vigilia e durante la seconda guerra mondiale, in cui vide peraltro un grave rischio per i destini della Germania. Accusato di inefficienza soprattutto all’indomani della battaglia d’Inghilterra, perse gran parte della sua influenza e del suo potere nel 1943. Celebre per le immense ricchezze e le collezioni di arte che accumulò depredando i territori occupati, verso la fine delle guerra assunse un atteggiamento ostile a Hitler e, pur senza entrare direttamente nella file della resistenza, fu favorevole – insieme a diversi esponenti dell’esercito – a una pace separata con le potenze alleate in funzione antisovietica. Espulso dal partito e condannato a morte nell’aprile del 1945, riuscì a fuggire. Catturato dalle forze alleate, gli fu comminata la pena capitale per crimini di guerra nel processo di Norimberga, ma si suicidò poco prima dell’esecuzione.