Filippine

Stato attuale dell’Asia sudorientale. Fino al XV secolo l’arcipelago filippino fu sede di una civiltà fondata sull’agricoltura itinerante di sussistenza, sulla caccia, sulla raccolta e sulla pesca, con strutture sociali e una base culturale di ceppo malese, anche se scarsamente influenzate da Giava o dall’Asia continentale. L’arcipelago filippino, isolato ai margini dell’Oceano Pacifico, non adottò nessuna delle grandi religioni asiatiche (come l’induismo o il buddhismo), né sistemi di scrittura fondati sul sanscrito o sui caratteri cinesi. Unica eccezione, la modesta e tarda influenza islamica, nelle aree occidentali di Mindanao e nelle isole Sulu. Nel 1521 Magellano giunse nell’arcipelago e lo aprì all’espansione spagnola, che nel corso del XVII secolo si precisò nei suoi caratteri coloniali e per un processo di cristianizzazione che fece delle Filippine l’unico paese cattolico dell’Asia, diverso e separato dall’universo malese-indonesiano originario. Il dominio ispanico (che impose all’arcipelago il suo nome attuale in onore del futuro Filippo II) non portò, all’inizio, alla creazione di una vera economia coloniale. Manila, piuttosto, diventò il centro delle relazioni commerciali nell’area del Pacifico e degli scambi tra il Messico e la Cina. L’influenza spagnola si diffuse soprattutto nell’isola di Luzon, dove la presenza cattolica si associò alla costituzione dei primi veri agglomerati urbani. Le strutture della società vennero trasformate radicalmente dall’introduzione dell’encomienda, una concessione di giurisdizione su un territorio destinata a trasformarsi nel corso del XIX secolo in latifondo. Nel 1896 un’insurrezione nazionalista sostenuta da Washington pose fine alla dominazione degli spagnoli. Ad essi subentrarono, dopo la guerra ispano-americana (1898), gli Stati Uniti, anche se la resistenza al nuovo dominio coloniale durò fino al 1906. Gli Stati Uniti concessero alle Filippine un’ampia autonomia e, in seguito, l’autogoverno, anche se l’arcipelago continuò a restare sotto la sovranità di Washington. Nelle Filippine gli interessi economici americani furono cospicui, in particolare con l’adozione nel 1909 di provvedimenti tariffari destinati ad agevolare l’interscambio tra gli Stati Uniti e l’arcipelago. L’esportazione di prodotti agricoli tropicali fu favorita da nuove leggi agrarie che portarono all’esproprio degli antichi latifondi ecclesiastici cattolici, ma senza determinare la penetrazione di coloni americani, e non ostacolando i processi di concentrazione agraria (che avvantaggiarono soprattutto l’élite sino-filippina dei mestizos) e la diffusione di un’economia di piantagione. Dopo la dura occupazione nipponica durante la seconda guerra mondiale, nel 1946 le Filippine diventarono indipendenti anche se non mutarono i rapporti economici con gli Stati Uniti. Il dopoguerra fu segnato da una profonda e prolungata crisi sociale, testimoniata dalle attività del movimento Hukbalahap, di ispirazione comunista, che era nato al tempo della seconda guerra mondiale in funzione antigiapponese per poi trasformarsi, tra il 1946 e il 1954, al tempo dei governi corrotti e inefficienti dei presidenti Roxas e Quirino, in guerriglia a base rurale. Il movimento Hukbalahap fu sconfitto all’inizio degli anni Cinquanta, con il concorso delle riforme del presidente Magsaysay e di cospicui aiuti americani. Sempre negli anni Cinquanta fu adottata una politica economica fondata sulla “sostituzione delle importazioni”, volta a promuovere un rapido sviluppo industriale del paese, a cui si opposero gli interessi dei grandi proprietari terrieri esportatori di derrate agricole. Nel 1965 Ferdinand Marcos fu eletto presidente. Rieletto nel 1969, impose nel 1972 la legge marziale per contrastare un nuovo movimento comunista armato. La guerriglia, animata dal New People’s Army, costituito nel marzo 1969, pochi mesi dopo la nascita del Partito comunista delle Filippine (fondato da José Maria Sison alla fine del 1968), si rafforzò con l’emarginazione politica dell’opposizione moderata e democratica che culminò nel 1983 con l’assassinio di Benigno Aquino. Il regime di Marcos cadde nel 1986 quando, nel contesto drammatico di una competizione elettorale svoltasi all’insegna di brogli e violenze, ascese alla presidenza Corazon Aquino, vedova di Benigno. Il ricambio politico, rafforzato nel 1992 dall’elezione di Fidel Ramos, non innescò tuttavia un reale processo di crescita economica, sicché le Filippine restarono un’area di relativa arretratezza nel contesto di una regione caratterizzata da una formidabile crescita economica. Nel 1992 le ultime truppe statunitensi lasciarono il paese e Ramos mise in atto una politica di riconciliazione nazionale, avviando trattative con gruppi di ribelli. Nel 1998 fu eletto presidente Joseph Ejercito Estrada, che tentò di avviare accordi con i ribelli del Fronte Moro di liberazione islamico (FMLI) e i guerriglieri di estrema sinistra del Nuovo esercito popolare (NEP). Messo sotto accusa per corruzione (2000), Estrada fu costretto alle dimissioni e gli successe la vicepresidente Gloria Macapagal Arroyo (2001), la quale, nonostante gli sforzi rivolti a ridurre la povertà e a combattere la corruzione, non riuscì a garantire la necessaria stabilità politica al paese. Implicata anch’ella in alcuni casi di corruzione, fu vittima di un tentato colpo di stato nel 2003, ma nel 2004 riuscì a farsi rieleggere per un secondo mandato consecutivo. I tratti sempre più autoritari del suo governo furono la causa di un secondo colpo di stato nel 2006, anch’esso fallito. Nel 2010, in un clima di crescenti tensioni, legate anche all’intensificazione delle violenze da parte dei gruppi islamici, le elezioni presidenziali furono vinte da Benigno S. Aquino III, figlio di Benigno e Corazon Aquino.