fasci siciliani

Movimento insurrezionale siciliano scoppiato nel 1893, durante il primo ministero di A. Giolitti, e represso nel corso del 1894 dal nuovo capo del governo F. Crispi. Sorto nelle città già al principio degli anni Novanta come espressione e forma organizzativa degli artigiani e dei ceti medi in crisi, i fasci assunsero carattere di massa con il coinvolgimento degli zolfatari e dei contadini. Nonostante la presenza di un gruppo dirigente ispirato a ideali repubblicani e talvolta socialisti (Giuseppe De Felice Giuffrida, Nicola Barbato, Rosario Garibaldi Bosco), il movimento ebbe una natura fondamentalmente spontanea. Obiettivi comuni delle lotte erano le amministrazioni locali e il sistema di riscossione delle imposte. Le forme di lotta andavano dal rifiuto di pagare le tasse a veri e propri assalti ai municipi e agli uffici del dazio. Alla radice vi era il diffuso malcontento della popolazione siciliana nei confronti della classe dirigente locale – composta prevalentemente di latifondisti assenteisti e reazionari – e dello stato unitario il quale, lungi dal risolvere i tradizionali problemi delle masse popolari meridionali, ne aveva di fatto creati di nuovi con l’aumento delle tasse e la coscrizione obbligatoria. Anche la scelta protezionistica della Sinistra storica si era rivelata vantaggiosa per gli industriali del nord e per i latifondisti che producevano per il mercato interno, ma dannosissima per gli agricoltori, numerosi in Sicilia, che si rivolgevano essenzialmente al mercato straniero. Alle rivendicazioni più strettamente economiche e politiche si aggiungeva poi la crescente consapevolezza dell’arretratezza civile della regione, evidente specialmente ai giovani che tornavano dal servizio militare prestato nelle zone più sviluppate del paese. Il partito socialista, colto di sorpresa da un movimento nato in modo spontaneo, sottovalutò i fasci siciliani, abbandonandoli di fatto a se stessi. Giolitti, scontentando le classi dirigenti soprattutto meridionali, non ricorse a metodi repressivi straordinari, ma si limitò a prendere normali misure di ordine pubblico. Dopo le sue dimissioni (novembre 1893), Crispi proclamò lo stato d’assedio e procedette a una drastica repressione, che costò un centinaio di vittime e circa 2000 arresti.