famiglia

Storicamente la famiglia ha costituito la fondamentale unità di base della struttura sociale e, in quanto comunità di individui legati da vincoli di matrimonio, parentela e/o di dipendenza, ha esercitato un insieme di funzioni che sono andate cambiando nel tempo e si sono definite diversamente a seconda dei tipi di società. Queste funzioni riguardano in senso stretto l’attività sessuale e riproduttiva dei coniugi, l’educazione dei figli, l’organizzazione della vita sociale del nucleo familiare in relazione alle risorse economiche comuni. In senso più largo, quando e dove ha avuto il carattere di una comunità fondata su rapporti di dipendenza tra il capofamiglia-padrone e quanti da lui strettamente dipendenti e conviventi (parenti e servi) posti sotto la sua autorità e protezione, la famiglia ha anche costituito, soprattutto nel mondo agrario, un luogo di produzione, di organizzazione e di divisione del lavoro, di controllo sociale. La famiglia riceve le proprie principali caratterizzazioni a seconda che il capo ne sia la donna o l’uomo, del numero dei componenti del nucleo primario, delle sue basi sociali, delle sue funzioni. Là dove l’autorità primaria è la donna e la parentela è indicata dalla consanguineità per via femminile si ha il matriarcato; dove invece il capo è l’uomo il patriarcato. Un altro importante elemento di distinzione è il fatto che l’uomo o la donna abbiano uno solo (monogamia) o più coniugi, uno dei quali di solito uno si trova in posizione privilegiata (poligamia). Nella storia, assai più diffusa della “poliandria” (una donna con più uomini) è stata la “poliginia” (un uomo con molte donne), che è largamente sopravvissuta grazie all’islam, il quale ha mantenuto la donna anche in epoca contemporanea in una posizione di segregazione sociale e culturale e di minorazione giuridica. Nel mondo antico la comunità familiare più diffusa era la “famiglia estesa”, nella quale erano compresi i membri di più generazioni, tanto della famiglia del padrone quanto dei suoi dipendenti. La famiglia patriarcale, nella quale dominava la figura paterna, costituiva la forma prevalente presso gli ebrei, i greci e i romani. In molti casi era poligamica, ma non in Grecia e a Roma. Essa ebbe a Roma una rigorosa definizione giuridica. Al solo paterfamilias, che esercitava la patria potestà, la legge riconosceva personalità giuridica. Egli era dotato di tutti i diritti economici e aveva anche potere di vita e di morte sui membri della famiglia. L’eredità si trasmetteva per via maschile. In Grecia e a Roma vigeva l’istituto del divorzio. La diffusione del cristianesimo incise profondamente sul ruolo e sulla concezione della famiglia, anzitutto per la proibizione del divorzio, derivante dal fatto che il vincolo matrimoniale era considerato un sacramento e quindi non solubile se non dalla chiesa per motivi eccezionali. La famiglia di tipo allargato fu la forma prevalente anche presso le tribù germaniche. Qui le famiglie, composte da membri di varie generazioni di parenti collegate per via maschile, erano integrate in gruppi più larghi con compiti di cooperazione sociale e di difesa (Sippen). Nel tardo medioevo, in conseguenza dello sviluppo dei nuclei urbani, nell’Europa centro-occidentale a partire dagli strati popolari andò assumendo una prevalenza sempre maggiore la “famiglia ristretta” o “nucleare”, composta dai genitori, dai figli e dai parenti più stretti, mentre nelle campagne persistettero tenacemente forme di famiglia estesa in relazione alle esigenze produttive. A condizioni di estrema durezza erano esposte le famiglie degli schiavi, che potevano essere smembrate per effetto della vendita di singoli membri e in cui le donne si trovavano esposte in molti casi alle pretese sessuali dei loro padroni. Effetti di grande importanza sulla famiglia occidentale ebbero il processo di industrializzazione e il grande incremento dell’urbanizzazione tra Sette e Ottocento. Essi segnarono il definitivo sopravvento della famiglia nucleare, che perse ogni rapporto con le funzioni produttive e fu fondata sul compito primario del sostentamento del nucleo familiare e sull’educazione della prole. Se non che molto diverse si presentavano le sue caratteristiche in relazione alla stratificazione sociale. Nelle famiglie medio-alte il padre manteneva una posizione di autorità incontestata, con la moglie in posizione subalterna solitamente anche sul piano economico e i figli impiegati negli studi sino all’età matura. Per contro le famiglie degli operai e dei poveri, in una condizione di costante precarietà economica, presentavano una minore disparità tra uomo e donna, e sovente quest’ultima concorreva con il proprio lavoro a domicilio o esterno al reddito comune. I figli ricevevano un’educazione scolastica elementare oppure non ne ricevevano alcuna; e il loro distacco dal nucleo era assai sovente precoce. Le difficili condizioni dell’esistenza in molti casi favorivano la disgregazione della famiglia. Nelle famiglie artigiane, oscillanti per molti aspetti tra il tipo borghese e quello operaio, la moglie collaborava all’attività del marito. Dovunque erano in gioco consistenti interessi economici, come nel caso della nobiltà e della borghesia urbana e agraria, le scelte matrimoniali erano compiute con una prevalente considerazione per quegli interessi. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento e con una forte accelerazione nel Novecento – con l’innalzamento del livello di istruzione e di reddito anche nelle classi popolari, l’ingresso sempre più ampio delle donne nel mondo produttivo, l’allargamento dei diritti politici anche a queste ultime, la diffusione del divorzio e la maggiore libertà nei rapporti tra i sessi – si è compiuto nel mondo occidentale un progressivo processo verso la parificazione tra uomo e donna. Inoltre le famiglie delle masse lavoratrici hanno assunto le caratteristiche della famiglia nucleare borghese. Ma il processo di emancipazione femminile, la parità giuridica, la diffusione del divorzio, il sovvertimento delle gerarchie tradizionali, la diminuita autorità del padre e spesso di entrambi i genitori sui figli hanno portato alla crisi della famiglia. Spesso a rendere più precari i vincoli familiari sono insieme gli estremi della ricchezza e della povertà. In generale, nei paesi a più alto reddito il numero dei divorzi aumenta e i figli lasciano la casa prima e più frequentemente. La povertà, l’emarginazione e l’emigrazione – fenomeni che interessano in primo luogo i paesi poveri e le periferie delle grandi città – costituiscono potenti fattori di disgregazione della famiglia. Si può infine ricordare, quale indice dei profondi mutamenti in atto nei costumi e nell’istituzione familiare, che negli ultimi decenni è emersa l’esigenza – in taluni paesi già recepita dalla legislazione – da parte di persone dello stesso sesso di stringere vincoli matrimoniali e di poter procedere all’adozione di figli.