etruschi

  1. Provenienza e aree di insediamento
  2. Il sistema politico e sociale
  3. L’economia
  4. La civiltà: lingua, cultura, religione
1. Provenienza e aree di insediamento

Sulle origini degli etruschi le fonti antiche e gli studiosi moderni hanno avanzato diverse ipotesi. La prima, accreditata fin da Erodoto, è che gli etruschi siano originari della regione mediorientale della Lidia, da cui sarebbero poi migrati fino alle coste tosco-laziali in seguito ai grandi sconvolgimenti prodotti dalla guerra di Troia. In età moderna prevalse invece la tesi – accennata in un passo di difficile interpretazione dell’opera di Livio e sostenuta poi da alcuni studiosi tedeschi quali B.G. Niebuhr e K.O. Müller – dell’origine settentrionale degli etruschi (fatti discendere dai reti, ai quali sarebbero strettamente legati): a partire dalla regione del Norico essi si sarebbero progressivamente spinti nell’area padana e nell’Italia centrale, stabilendovi la propria egemonia. Dionigi di Alicarnasso fu il primo a prospettare l’idea del carattere autoctono degli etruschi. Tale ipotesi è stata criticamente ripresa dalla moderna etruscologia, che considera la civiltà etrusca come il risultato di un processo di sviluppo e di “assestamento” etnico-culturale intervenuto in seno alla civiltà villanoviana dell’Italia centrale fra il X e l’VIII secolo a.C. Si spiegherebbero così i molteplici elementi di origine italica (evidenti soprattutto in campo linguistico) presenti nella zona di insediamento propriamente etrusca lungo tutto l’arco di sviluppo di questa civiltà. “Etruria” in senso stretto fu dall’VIII secolo l’area della Toscana meridionale e dell’alto Lazio, dove si svilupparono le città di Tarquinia (la principale della regione e forse anche la più antica) Veio, Cere, Vulci, Roselle, Vetulonia, Populonia, Volsinii, seguite in un secondo tempo dai centri dell’interno di Chiusi, Perugia, Cortona, Arezzo, Fiesole, Volterra. Dal VII secolo, in relazione all’aumento demografico e alla ricerca di nuove risorse, gli etruschi avviarono un consistente moto espansionistico e colonizzatore giungendo a stabilirsi nel Lazio meridionale e in Campania a sud, nella pianura Padana a nord, all’Elba, in Sardegna e in Corsica a ovest (il flusso in quest’ultima direzione fu determinato dall’intento di sfruttare le risorse minerarie delle isole). Si trattò di un fenomeno rilevante che fece degli etruschi – secondo la testimonianza di Livio – l’etnia più diffusa in Italia tra il VII e il VI secolo, nello stesso periodo in cui si dispiegò la potenza della loro flotta nel Mediterraneo. L’assenza di un solido apparato statale e il particolarismo cittadino, tuttavia, diedero un carattere relativamente effimero alla presenza di questo popolo al di là dei confini dell’Etruria propriamente detta. Il Lazio rimase sotto l’egemonia etrusca fino al VI secolo quando anche a Roma furono cacciati i re etruschi (509, secondo la cronologia tradizionale). È tuttora fonte di discussione la precisa definizione del contributo etrusco alla nascita della civiltà romana, che risulta peraltro innegabile. In Campania alcune colonie etrusche (fra le quali la principale fu quella di Capua) sopravvissero fino alla metà del V secolo, ma dopo la sconfitta navale di Cuma (474) e l’inizio dell’espansione sannitica esse persero rapidamente importanza e venne meno ogni carattere “nazionale”. Nella pianura padana – che era stata l’area di maggiore colonizzazione fra il VI e il V secolo con centri di primaria importanza quali Felsina (l’odierna Bologna), Spina, Mantova – fu invece la pressione celtica a determinare nel IV secolo il crollo del fragile sistema politico etrusco. Infine, lo stesso nucleo storico più antico, l’Etruria propriamente detta, fu travolto dall’espansionismo romano. A partire infatti dalla capitolazione di Veio (396), alterne e anche drammatiche vicende – la ribellione dopo la prima guerra sannitica e la sconfitta nella battaglia di Perugia (310), l’insurrezione durante la terza guerra sannitica e la sconfitta presso il lago Vadimone (283) – portarono all’inquadramento dell’area tosco-laziale nel sistema politico-amministrativo dell’Urbe.

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2. Il sistema politico e sociale

La civiltà etrusca fu segnata da un forte particolarismo politico. Dalla seconda metà dell’VIII secolo essa fu imperniata su città-stato sorte dall’aggregazione e dall’espansione dei villaggi villanoviani. Gelose della propria autonomia, esse non diedero mai vita a uno stato unitario a struttura centralizzata. Ciò non esclude tuttavia, come avvenne del resto anche nel mondo greco, la realizzazione di un certo livello di “federalismo”. Vi sono infatti testimonianze della costituzione di alleanze relativamente stabili – le cosiddette “leghe” – ispirate da motivi religiosi, economici o anche (ma molto più raramente) da necessità politico-militari. Le fonti romane parlano in proposito di una dodecapoli etrusca che aveva il suo centro nel santuario di Voltumna presso Volsinii, e riferiscono anche di due altre leghe etrusche, costituite sempre da dodici città, presenti nella pianura padana e in Campania. A prescindere dalla scarsa attendibilità dell’indicazione circa il numero delle città aderenti alle leghe (probabilmente introdotto per una più o meno esplicita volontà di uniformare fenomeni simili), queste testimonianze mettono comunque in luce un aspetto della civiltà etrusca che ne temperò, almeno relativamente, il carattere particolaristico. Sul piano interno le singole città-stato attraversarono due fasi istituzionali: la prima monarchica, la seconda repubblicana. Il momento di passaggio dal primo al secondo assetto si colloca tra il VI e il IV secolo, contemporaneamente quindi ad analoghi sviluppi nel mondo greco, fenicio e latino. È anche verosimile che si sia trattato dell’esito naturale di un processo relativamente lungo di evoluzione del quadro istituzionale e sociale. Pare del resto che nella stessa fase monarchica gli etruschi non abbiano sviluppato una vera e propria civiltà palatina, perché il potere economico-politico fu sempre appannaggio dell’aristocrazia, da cui provenivano i lucumoni (re-sacerdoti preposti al governo e all’amministrazione della giustizia e del culto nelle singole città). Le stesse funzioni dei lucumoni confermerebbero a loro volta una concezione ancora piuttosto primitiva e, in ogni caso, “sacrale” della sovranità. Da questa situazione originaria, una progressiva articolazione della struttura sociale avrebbe prodotto assetti di tipo repubblicano e oligarchico, caratterizzati dalla presenza di un senato gentilizio, assemblee popolari e magistrati supremi temporanei (unici o collegiali) denominati zilath, ai quali si affiancavano altre magistrature collegiali con compiti politici e religiosi. Le stesse caratteristiche del sistema onomastico etrusco sembrerebbero confermare tali sviluppi. Questo infatti – caratterizzato dal prenome personale e dal nome della famiglia – testimonia che nel periodo arcaico la società aveva già una struttura “gentilizia” ed era contraddistinta da numerosissimi gruppi familiari. Da tale inquadramento era esclusa una parte consistente della popolazione – servi, stranieri, attori – che infatti viene nominata con il solo nome personale. Fra le famiglie inserite nel sistema gentilizio, peraltro, pare vi fosse una certa omogeneità sociale. In seguito si sarebbero formati aggregati familiari più ampi, com’è testimoniato sempre dal sistema onomastico. Al tempo stesso si sarebbe determinata una più netta differenziazione fra alcune gentes investite più di frequente di cariche politiche o religiose, che costituivano quindi l’élite dominante, e le altre gentes minori. Non è facile stabilire esattamente le condizioni di vita di queste ultime durante il periodo repubblicano, ma vi fu certo un peggioramento della loro situazione rispetto al periodo arcaico. Importante è infine rilevare che entro la società gentilizia etrusca la donna godette di una notevole considerazione per il suo ruolo nella famiglia e, al tempo stesso, di una relativa libertà di partecipazione alla vita pubblica.

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3. L’economia

Accanto all’agricoltura e all’allevamento, che rimasero sempre le principali risorse dell’economia etrusca, dall’VIII secolo assunsero un ruolo di primo piano lo sfruttamento delle risorse minerarie, il commercio (soprattutto marittimo) e le attività artigianali e manifatturiere. L’agricoltura era basata sulla cerealicoltura e sulla silvicoltura, e poteva contare sia sulla disponibilità di una numerosa manodopera servile (costituita da elementi italici) sia su una tecnica relativamente progredita nel campo della ricerca e della canalizzazione delle acque. L’attività estrattiva fu praticata sistematicamente nei territori settentrionali dell’Etruria storica (colline metallifere e monti della Tolfa) e nell’isola d’Elba. Essa fornì rame, ferro, piombo e argento: metalli che, insieme al bronzo, furono largamente utilizzati negli scambi commerciali. Principale centro di fusione e smistamento del ferro era Populonia (di fronte all’Elba); le colonie della Campania erano sede della lavorazione e dello scambio soprattutto del ferro e del bronzo. La grande disponibilità di metalli grezzi e lavorati fu uno degli elementi decisivi per lo sviluppo commerciale delle città etrusche. L’altro fattore che vi contribuì in modo determinante fu l’eccezionale importanza assunta dalla navigazione marittima, che portò gli etruschi a concorrere con i greci e i fenici per il controllo delle rotte mediterranee. Fra il VII e il VI secolo, infatti, si sviluppò la cosiddetta “talassocrazia” etrusca, che ebbe al tempo stesso un carattere militare-piratesco (sottolineato con intento ostile soprattutto dalle fonti greche) e commerciale. Gli etruschi intrattennero intensi rapporti con il mondo greco e, in subordine, con quello fenicio-cartaginese. Nei centri dell’Etruria meridionale e della Campania le materie prime etrusche venivano scambiate con prodotti lavorati e artisticamente più pregevoli provenienti dal Mediterraneo orientale. Dalla fine del VI secolo il problema del controllo delle rotte commerciali e delle miniere dell’Elba fu all’origine dello scontro con le colonie greche e del forzato ripiegamento etrusco dal Lazio e dalla Campania dopo la sconfitta di Cuma (474).

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4. La civiltà: lingua, cultura, religione

Quella etrusca è una lingua pre-indoeuropea, forse testimonianza di un antichissimo substrato etnico-culturale “mediterraneo”, come farebbero supporre le sue affinità con il ligure, l’iberico e con la lingua di iscrizioni ritrovate in Anatolia e in alcune isole dell’Egeo. Per la scrittura, fin dal VII secolo fu usato un alfabeto straniero (simile a quello greco) di ventisei lettere, modificato in funzione delle esigenze della lingua etrusca. L’utilizzo del metodo combinatorio ha permesso la lettura e la comprensione delle iscrizioni a tipologia fissa (soprattutto di carattere funerario, le più numerose fra quelle pervenuteci). Più problematica è ancora la decifrazione di testi più lunghi e di argomento vario. Nel complesso la cultura etrusca risentì notevolmente del contatto con il mondo ellenico, come risulta dallo sviluppo delle arti plastiche, figurative e architettoniche fino al VI secolo (periodo orientalizzante) e poi ancora, ma in forma assai meno originale, nel periodo ellenistico. La stessa religione non fu esente da influssi e apporti, il più rilevante dei quali è da ravvisarsi nell’antropomorfismo e nell’inserimento nel pantheon etrusco di una serie di divinità sostanzialmente parallele a quelle dell’Olimpo greco: Tin, Uni, Menerva, che verranno poi a loro volta ripresi dai romani nella triade capitolina costituita da Giove, Giunone e Minerva; Thurms (analogo al Mercurio romano); Turan (corrispondente a Venere); Maris (analogo a Marte). Peculiare della cultura etrusca fu invece il carattere preponderante che la religione ebbe nella vita sociale e quotidiana e il suo stretto connubio con tutte le manifestazioni artistiche (dalla letteratura, per noi perduta, all’architettura e alla pittura). Anche il carattere “anonimo” della produzione artistica (solo eccezionalmente legata al nome di un maestro, come nel caso del veiese Vulca) si riconnette a una concezione della vita profondamente mistica. Tipica della religiosità etrusca fu anche la grande sensibilità per la vita ultraterrena, di cui sono testimonianza gli splendidi risultati raggiunti nell’arte funeraria e una concezione cosmologica esoterica per cui natura e mondo celeste sono intessuti di profondi e continui richiami. Quanto al primo punto, si devono ricordare i numerosi reperti provenienti dalle principali necropoli (Cerveteri, Tarquinia): le urne a forma di modellini di case, i vasi recanti i tratti del defunto del periodo più antico, quando anche presso gli etruschi vigeva l’uso della cremazione, le tombe scavate nella roccia riproducenti l’interno delle abitazioni con le loro pitture parietali, il loro arredo e i sarcofagi della successiva fase dell’inumazione. In questi casi infatti se la tecnica denota spesso la derivazione greca, i contenuti rispecchiano le tipiche concezioni dell’aristocrazia etrusca. Il carattere esoterico della cosmologia invece emerge dal complesso di norme che rientrano nella Etrusca disciplina – un codice di prescrizioni religiose e rituali articolato in libri fulgurales, libri rituales e libri haruspicini – e che riguardano in particolare la previsione del futuro attraverso l’osservazione delle viscere degli animali sacrificali, dei fulmini, del volo degli uccelli e di altri fenomeni celesti.

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