Etiopia

Stato attuale dell’Africa orientale.

  1. Dalla preistoria al regno di Aksum
  2. Dalla caduta del regno di Aksum (IX secolo) al XIX secolo
  3. L’Etiopia di fronte al colonialismo europeo
  4. Dal secondo dopoguerra a oggi
1. Dalla preistoria al regno di Aksum

Nel territorio etiopico sono stati ritrovati giacimenti fossili con resti di ominidi appartenenti alla specie Australopithecus afarensis e Australopithecus africanus risalenti, rispettivamente, al pleiocene e al pleistocene. Particolare rilevanza ha assunto, nel 1974, il rinvenimento ad Hadar (nella Valle del Rift) di uno scheletro femminile, chiamato dai suoi scopritori Lucy, risalente a 3.500.000 anni fa. In epoca storica sull’altipiano etiopico, ai confini con l’attuale Eritrea, sorse intorno al V secolo a.C. l’importante regno di Aksum, che la leggenda fa risalire addirittura al re Salomone e a una regina etiopica di Saba. Il regno si formò per effetto di migrazioni di gruppi cusciti e poi semiti provenienti dall’Arabia meridionale e della prevalenza fra essi del gruppo degli habash (da cui prese forse nome l’Abissinia). Sicuramente in età ellenistica questo stato aveva già raggiunto grande splendore: fu in contatto e per lo più in rapporti di alleanza con i romani; lo stesso avvenne successivamente con l’impero di Bisanzio. Toccò quindi il suo apogeo fra il IV e il V secolo: infatti nel 325 Ezana (320-342) riuscì a conquistare il regno di Meroe e durante il suo regno, grazie all’opera evangelizzatrice di S. Frumenzio, fu introdotto il cristianesimo e venne adottato l’alfabeto etiopico, elementi caratterizzanti della cultura etiopica successiva. La dinastia aksumita seguì poi, dopo il concilio di Calcedonia (451), la chiesa copta di Alessandria. Dopo un primo tentativo espansionistico nella penisola arabica agli inizi del IV secolo, intorno al 525 la monarchia aksumita riuscì a imporre con il re Caleb la propria sovranità nell’area yemenita, che fu mantenuta fino alla fine del VI secolo. L’espansione araba del VII secolo compromise le tradizionali relazioni commerciali con i paesi del Mediterraneo e contribuì in modo determinante, insieme alle rivolte delle popolazioni indigene non cristiane, al crollo del regno, avvenuto intorno al 976 con la distruzione della capitale da parte di popoli agau, che in seguito diedero vita alla dinastia etiope degli Zagué. Quella aksumita fu una civiltà al tempo stesso agricola e urbana, incentrata in particolare sul commercio (soprattutto dell’avorio) con i paesi situati lungo il Mar Rosso e con l’impero romano d’Oriente.

Top

2. Dalla caduta del regno di Aksum (IX secolo) al XIX secolo

Dopo una breve parentesi (secoli XII-XIII) in cui il potere fu esercitato dalla dinastia degli Zagué, nel 1270 Yekuno Amlak (1270-85) diede inizio a una dinastia che si faceva discendere dal mitico primo re di Aksum Menelik I, figlio di Salomone e della regina di Saba. I secoli XIV e XV furono contrassegnati da una certa prosperità e dallo sviluppo di una cultura incentrata sulla religione cristiana, di cui ogni sovrano (negus neghesti, re dei re) si fece difensore in nome dell’unità nazionale. Fu intrapresa una dura lotta sia contro i popoli pagani della zona nordoccidentale del paese, sia contro l’ebraismo, sia soprattutto contro l’influenza dell’islam lungo le coste e nell’area meridionale. Alla chiesa fu anche assegnata la proprietà di un terzo dei beni dello stato. Con Zara Jacob (1434-68) la dinastia raggiunse l’apice della sua potenza e il suo progetto di realizzare l’unità religiosa intorno alla chiesa copta parve concretizzarsi nel quadro di legami piuttosto stretti con l’Europa. Già dalla fine del XV secolo tuttavia l’islam registrò le sue prime vittorie e, sotto il regno del negus neghesti Lebna Denghel (1508-1540), il sultano dell’Adal Ahmad ibn Ibrâhîm detto Gragn devastò il paese conquistandolo quasi completamente. L’intervento dei portoghesi, sbarcati a Massaua nel 1541, rese alla fine possibile la sconfitta di Ahmad ibn Ibrâhîm nel 1543. Si profilò tuttavia una nuova minaccia: l’invasione dei galla, un popolo nomade camitico di religione pagana precedentemente stanziato nella regione del Lago Rodolfo, che dal XVI secolo si insediò nella zona meridionale dell’Etiopia convertendosi all’islam. Dopo il fallimento del tentativo dei gesuiti di introdurre il cattolicesimo in Etiopia e la morte dell’abile negus Fasilidas (1632-67) seguirono due secoli di decadenza dell’autorità imperiale, cui corrispose una crescente importanza dei ras delle province e degli stessi capi galla. Si determinò quindi quella situazione di grave vacanza dell’autorità centrale e di strapotere delle singole signorie locali che caratterizzò il paese almeno fino alla fine dell’Ottocento.

Top

3. L’Etiopia di fronte al colonialismo europeo

Nella seconda metà del XIX secolo iniziò un processo di lenta e difficile ricostituzione dell’autorità monarchica per opera del ras Kassa (1855-68) e soprattutto di Menelik II (1889-1907). Il loro progetto dovette però ben presto fare i conti anche con le mire espansionistiche delle potenze europee, desiderose di installarsi in una zona dell’Africa che l’apertura del canale di Suez (1869) aveva reso di primaria importanza. Dopo aver sconfitto i ras delle province e aver unificato il paese conquistando anche le regioni del Tigré e dello Scioa, nel 1855 il ras Kassa si fece incoronare ad Aksum imperatore d’Etiopia col nome di Teodoro II, con l’evidente intento di ricollegarsi alla tradizione dell’antico regno etiopico. Figura ambigua di avventuriero ma al tempo stesso notevole statista in grado di porre mano alla riorganizzazione interna dello stato, Teodoro II rafforzò il potere centrale attraverso la nomina imperiale dei funzionari preposti al governo delle province e costituì un esercito. Il suo tentativo si interruppe però quando gli inglesi, prendendo pretesto dal maltrattamento subìto dai loro ambasciatori, organizzarono contro di lui una spedizione militare (1868) che si concluse con il suo suicidio. Il suo progetto di riorganizzazione interna e di rafforzamento del potere regio fu tuttavia ripreso dal successore, Giovanni IV (1872-89), che ebbe il sostegno degli inglesi. Durante il suo regno furono neutralizzate le mire espansionistiche egiziane verso l’Etiopia (1875-76) ed ebbe inizio la politica coloniale italiana in Africa. Nel dicembre 1882 l’Italia acquistò dalla società di navigazione Rubattino la baia di Assab e occupò la fascia costiera fra Massaua e Assab in Eritrea (1885). Con l’annientamento presso Dogali di un reparto italiano da parte delle truppe etiopiche guidate dal ras Alula (26 gennaio 1887) si concluse il primo tentativo di penetrazione italiana in Etiopia. Nel 1889 a Giovanni IV succedette Menelik II, già ras dello Scioa, che era divenuto imperatore d’Etiopia anche grazie all’appoggio italiano di cui aveva goduto fin dalla fine degli anni Settanta (consistente soprattutto in forniture di armi moderne). Menelik firmò il trattato di Uccialli (2 maggio 1889) con l’Italia (allora governata da F. Crispi, fortemente interessato a riprendere l’intervento in Africa): l’Etiopia riconosceva così all’Italia le sue conquiste in Eritrea, che il 5 gennaio 1890 venne proclamata colonia e sottoposta all’autorità di un governatore (la denominazione di “Eritrea” era in ricordo del Mar Eritreo, nome con cui si designava in greco il Mar Rosso). Il testo del trattato fu in seguito interpretato da parte italiana come l’accettazione etiopica di un protettorato sul paese, che Crispi volle imporre suscitando l’opposizione di Menelik e la reazione franco-inglese. I rapporti fra l’Etiopia e l’Italia si fecero quindi sempre più tesi sino alla denuncia formale da parte etiopica del trattato di Uccialli nel febbraio 1893 e all’inizio delle ostilità. In seguito alle sconfitte all’Amba Alagi (7 dicembre 1895) e soprattutto a Abbà Garimà presso Adua (1° marzo 1896), l’Italia dovette rinunciare – con il trattato di Addis Abeba del 26 ottobre 1896 – al protettorato sull’Etiopia, ottenendo il riconoscimento del possesso della sola Eritrea. Sul piano internazionale l’Etiopia di Menelik acquisì in questo modo un notevole prestigio, che fu accresciuto anche dall’espansione della sovranità imperiale nella regione etiopica attraverso una vera e propria riconquista. Questo processo portò alla sottomissione del Tigré e all’ampliamento dell’impero verso occidente e soprattutto verso est e sud: l’Etiopia raggiunse allora le frontiere attuali. Menelik fondò la nuova capitale imperiale, Addis Abeba, nel cuore dell’Abissinia, sede dell’etnia amhara, rappresentante della parte più antica della popolazione cristiana. Il nome di Abissinia fu poi usato dagli italiani per indicare l’intera Etiopia. All’interno Menelik tentò di avviare la modernizzazione del paese, grazie anche agli aiuti francesi. Il programma di modernizzazione fu poi cautamente ripreso, dopo anni di lotte per il potere, dal ras Tafari, dapprima reggente, poi negus e infine, dal 1930 al 1974, imperatore col nome di Hailé Selassié. Nel 1931 egli promulgò una costituzione che proclamava il suo potere assoluto e di diritto divino, ma prevedeva l’istituzione di un consiglio privato e di un parlamento con funzioni consultive. Nonostante i tentativi di modernizzazione, in questo periodo l’assetto arcaico del paese non fu radicalmente trasformato: l’economia (essenzialmente agricola) rimase infatti assai arretrata e inoltre l’assenza dell’industria e l’insufficienza delle comunicazioni non consentirono di scalfire il potere della grande proprietà. In questo clima si profilò nuovamente la minaccia dell’espansionismo coloniale. Negli anni Trenta infatti, nonostante nel 1928 fosse stato firmato un trattato italo-etiopico di amicizia e di cooperazione, il governo fascista si decise per la conquista militare del paese. Fin dal 1932 furono preparati piani di aggressione e nel 1934, prendendo pretesto dall’incidente di Uàl-Uàl, l’Etiopia fu messa sotto accusa davanti alla Società delle Nazioni. Era il preludio dell’invasione, che iniziò senza dichiarazione di guerra il 3 ottobre 1935. La resistenza abissina – che poteva contare su forze e mezzi enormemente inferiori rispetto a quelli messi in campo dal regime fascista – fu piegata nel giro di sette mesi dalle truppe guidate da Pietro Badoglio e da Rodolfo Graziani, che fecero ricorso a massicci bombardamenti e all’uso di gas asfissianti. Nonostante il persistere di sacche di resistenza che adottarono la tattica della guerriglia, la guerra di conquista si concluse nel maggio 1936 con l’entrata di Badoglio in Addis Abeba. Vittorio Emanuele III fu proclamato imperatore d’Etiopia. Nel 1936 l’Etiopia entrò a far parte dell’Africa orientale italiana (che già comprendeva Eritrea e Somalia). Fra il 1936 e il 1941 l’amministrazione coloniale si sforzò di incidere sulla struttura socioeconomica del paese avviando opere pubbliche, abolendo la schiavitù e rafforzando l’autorità centrale. I risultati furono tuttavia inadeguati rispetto alle esigenze di una reale modernizzazione del paese e risposero piuttosto alla logica di uno sfruttamento incapace di cogliere le peculiarità delle culture locali. Nel 1941 il paese fu liberato dalle truppe anglo-francesi e fu riposto sul trono Hailé Selassié. Nel 1947, con il trattato di Parigi, l’Italia rinunciò definitivamente a ogni pretesa su di esso.

Top

4. Dal secondo dopoguerra a oggi

Nel dopoguerra la monarchia etiopica conservò i suoi tratti autoritari e autocratici nonostante alcune concessioni “democratiche”: nel 1955 fu infatti promulgata una nuova costituzione, peraltro largamente disattesa, che introduceva il suffragio universale e garanzie liberali e nel 1966 fu varata una riforma della costituzione che rafforzava i poteri del governo e del primo ministro di fronte all’imperatore. Sul fronte internazionale, e in particolare nel continente africano, Hailé Sélassié riuscì a imporre la propria figura come quella di uno dei principali interpreti del panafricanismo (dal 1963 Addis Abeba fu sede dell’Organizazione per l’unità africana, OUA) riuscendo a conseguire importanti successi diplomatici. In politica interna si evidenziarono invece fin da subito gravi difficoltà, dovute principalmente alla pesante situazione economica (che i finanziamenti statunitensi tamponavano provvisoriamente ma non risolvevano) e ai contrasti etnici, che assunsero progressivamente la connotazione di movimenti indipendentisti in Tigré, nell’Ogaden e soprattutto in Eritrea. Nel Tigré Hailé Sélassié dovette sin dal 1942 sedare una rivolta capeggiata da un principe che aveva sostenuto il governo coloniale italiano: fu questo il preludio dei molti tentativi separatisti che travagliarono la regione nel dopoguerra e portarono alla formazione di un Fronte popolare per la liberazione del Tigré (FPLT). Il problema dell’Ogaden fu dovuto all’apertura del contenzioso con la Somalia immediatamente dopo la restituzione di questa regione da parte della Gran Bretagna e al contemporaneo sorgere di movimenti somali separatisti. Ma il problema politico più grave, che costantemente minacciò la stabilità dell’Etiopia, fu quello legato all’Eritrea: l’unione di tipo federale di Etiopia ed Eritrea, formalizzata sin dal 1950, nascondeva in realtà l’intento di predominio della prima sulla seconda, come risultò chiaro nel 1960 quando l’Eritrea fu ridotta a provincia etiopica. Nel paese si diffuse quindi progressivamente un malcontento sempre più profondo, che dalla fine degli anni Sessanta si espresse nell’aperta rivolta dell’Eritrea – dove nel 1970 fu decretato lo stato di emergenza -, nelle agitazioni popolari e studentesche del 1968-69, nello scontento di una buona parte dell’esercito. La situazione fu poi esasperata dall’incapacità del governo di far fronte alla drammatica carestia del 1973. Nel febbraio 1974 fu quindi costituito, in un clima di gravissima conflittualità, un Comitato di coordinamento delle forze armate (DERG), che prese di fatto il potere, destituendo e arrestando il vecchio imperatore, che invano aveva promesso un’ulteriore revisione della costituzione. Anche all’interno del DERG scoppiarono però ben presto forti contrasti, culminati nel novembre 1974 in un’epurazione la cui vittima più nota fu il generale Aman Mikaèl Amdon, allora capo di stato maggiore dell’esercito, di origine eritrea. Prevalse in un primo momento Taferi Banti, che divenne il nuovo capo dello stato provvisorio, e con lui si affermò una sorta di radicalismo ideologico proiettato verso la costruzione di un modello di socialismo africano: nel 1975 furono nazionalizzate industrie, banche, compagnie di assicurazioni, fu avviata (non senza forti contrasti) la riforma agraria e fu abolita la monarchia (Hailé Sélassié morì nell’agosto di quell’anno). Nel 1977 un nuovo colpo di stato militare portò al potere il colonnello Hailé Mariam Menghistu, anch’egli esponente del DERG. Questi instaurò un ferreo regime autoritario e avviò una spietata repressione nei confronti degli indipendentisti eritrei e contro qualsiasi forma di dissenso (da quella nostalgica a quella dei militanti dell’estrema sinistra del Partito rivoluzionario del popolo etiopico, fino ai cristiani e agli ebrei etiopi, detti falascià). Quando gli Stati Uniti sospesero le forniture militari al regime etiopico, questi si allineò completamente all’Unione Sovietica, di cui divenne un caposaldo nella regione del Corno d’Africa. Fu proprio grazie all’appoggio di esperti sovietici e di consiglieri cubani che nel 1978 gli etiopi riuscirono a sconfiggere i somali e a conquistare l’Ogaden (i rapporti fra i due paesi furono normalizzati soltanto nel 1988) e a ottenere iniziali successi contro il Fronte popolare di liberazione dell’Eritrea e il Fronte popolare per la liberazione del Tigré. La svolta marxista-leninista in politica interna culminò con la costituzione, nel 1983, di un Partito unico dei lavoratori (WEB), di cui divenne segretario lo stesso Menghistu, e con la promulgazione nel 1985 di una nuova costituzione che trasformava l’Etiopia in una repubblica popolare. Contemporaneamente si diede forte impulso alla riorganizzazione dell’agricoltura in senso collettivistico e si avviarono campagne di alfabetizzazione. Il regime, tuttavia, rivelò sempre più chiaramente la propria incapacità di far fronte ai bisogni di una popolazione con un altissimo tasso di crescita demografica e con un reddito pro capite fra i più bassi del mondo, soggetta a ripetute e gravissime calamità naturali (la siccità nel 1984 provocò un milione di morti, e ancora più grave fu quella del 1987) e divisa da profondi odi tribali. Soprattutto in campo agricolo i progetti di modernizzazione fallirono clamorosamente per le resistenze delle popolazioni a quella che si configurò sempre di più come una vera e propria deportazione di interi gruppi al fine di indebolire radicalmente i movimenti di resistenza antigovernativi. Il diffondersi del malcontento – cui diede espressione il fallito colpo di stato del maggio 1989 – fu un fenomeno parallelo all’intensificarsi dell’azione dei ribelli eritrei, tigrini e oromo che, tra il 1989 e il 1990, ottennero notevoli successi senza peraltro riuscire a organizzarsi in un fronte comune. In un paese sull’orlo del collasso economico, abbandonato dai suoi stessi partner tradizionali – fra cui l’Unione Sovietica e Cuba – il 21 maggio 1991 Menghistu fu quindi costretto a cedere il potere, dopo la vittoriosa offensiva del Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiopico (EPRDF). Prendendo atto dell’eterogeneità etnica del paese, il governo provvisorio, affidato alla guida di un tigrino, Meles Zenawi, riconobbe la legittimità delle aspirazioni autonomistiche dell’Eritrea, che nel 1993 proclamò la propria piena indipendenza. Nel 1994 l’EPRDF conseguì una schiacciante vittoria alle elezioni per l’Assemblea costituente, la quale varò una costituzione che stabilì una forma di governo parlamentare dividendo il paese in nove regioni relativamente autonome e garantendo particolari diritti ai diversi gruppi etnici. Le elezioni del 1995 per il Parlamento segnarono una nuova affermazione dell’EPRDF con la nomina di Meles Zenawi a capo del governo; e in quello stesso anno il paese assunse la denominazione di Repubblica democratica federale di Etiopia. Il governo centrale non fu però riconosciuto da minoranze etniche appartenenti agli Omoro, agli Amhara e ai Somali dell’Ogaden. Contro i fondamentalisti islamici somali, intesi a ottenere l’indipendenza della loro regione, le truppe governative nel 1996 intrapresero azioni belliche che fecero alcune centinaia di morti. A partire dal 1994 migliaia di seguaci di Menghistu furono arrestati e imprigionati. Nel 1998 ebbe inizio un aspro conflitto con l’Eritrea per contrasti sui confini, che nel giugno del 2000 fu interrotto da una tregua siglata dai due paesi ad Algeri. Nonostante la presenza di una missione ONU, le tensioni tra Etiopia ed Eritrea proseguirono anche nel corso dei primi anni Duemila senza trovare una soluzione definitiva. Negli anni successivi l’EPRDF rimase al potere anche se, in occasione delle elezioni del 2005, in un clima di intense violenze, le opposizioni incrementarono significativamente il numero dei loro seggi in parlamento. Nel 2006 il governo inviò un proprio contingente militare in Somalia a difesa del governo di transizione di Abdullah Yusuf Ahmed. Le elezioni generali del 2010 diedero una larga maggioranza all’EPRDF e Meles fu così riconfermato nella sua carica di primo ministro.
Alla morte di quest’ultimo, avvenuta nell’agosto 2012, l’incarico di primo ministro passò nelle mani di Hailemariam Desalegn.

Top