élite

Ripreso dal vocabolario storico e sociologico francese di autori come H. Taine e F. Le Play, il termine élite indica la parte “scelta”, “eletta” del popolo – sia essa un’aristocrazia, un’oligarchia o l’equivalente della moschiana “classe politica” – che detiene di fatto i poteri politici, sociali, economici o ideologici decisivi all’interno di un gruppo. Il concetto di élite si pose alla base di una vera e propria corrente di pensiero sociologico e politico, l’elitismo, i cui maggiori teorici furono inizialmente, tra Otto e Novecento, Mosca, Pareto e Michels. Nel prosieguo del XX secolo l’indirizzo elitista è stato sviluppato nella cultura politologica occidentale, in particolare – oltreché in Italia ancora da Dorso e Burzio – in Europa da Mannheim, Schumpeter e negli Stati Uniti da Burnham, Lasswell, Wright Mills, Parsons e Dahl. Fin dalla sua prima opera, Sulla teorica dei governi e sul governo parlamentare (1884), Mosca aveva espresso la convinzione che i governanti fossero, in tutte le forme di stato e di governo e in tutti i sistemi sociali, una minoranza al di sotto della quale si muove la maggioranza dei governati. Tale classe minoritaria, ma organizzata, coesa e coordinata al suo interno, egli la chiamò “classe politica”. Posto così nella sostanza l’antecedente del nucleo originario della teoria delle élites, il concetto fu fissato classicamente da Pareto, sulla scorta di una concezione pessimista e realista della storia, considerata priva di una logica o di un fine razionali, e vista come una scena sulla quale si ripete eternamente la stessa trama in forme diverse e con diversi protagonisti. Sul piano politico, una simile visione implicava il protrarsi di una lotta costante e ciclica tra gruppi e classi al fine d’imporre la propria egemonia. Il gruppo, all’interno di una classe, formato dagli individui che nelle diverse branche d’attività occupano le posizioni di vertice, è detto da Pareto l’élite. Essa è il soggetto principale della battaglia politica in tutti i sistemi storicamente osservabili, da quelli assolutisti ai liberali, dai democratici ai socialisti. È un’aristocrazia di fatto, non di sangue, benché, all’occasione, non ne siano esclusi i nobili. Il compito dell’élite è la conquista del potere tramite l’insediamento della sua parte preminente al governo. Vi è dunque una componente dell’élite “di governo” e un’altra che ne resta fuori. Tra le élites avversarie è sempre in corso una guerra senza quartiere. Per mantenersi al potere, le élites hanno bisogno di un continuo rinnovamento, incorporando possibilmente quadri emergenti dagli strati inferiori della società. Il cambiamento si ha, però, per decadenza e sconfitta dei dominatori, anche dall’alto in basso. Si ha così un processo di “circolazione delle élites” che ha un andamento “anaciclico”. Tale movimento è dovuto alle cause più disparate, dalla corruzione biologica a quella morale e psicologica delle élites. Il risultato finale è però sempre il ricomporsi di un nuovo equilibrio con un’altra élite al potere. Concepita inizialmente in polemica con le dottrine democratiche e socialiste e contro ogni metafisica della sovranità popolare, la teoria delle élites – soprattutto nei suoi sviluppi nella cultura angloamericana – si è poi aperta a reinterpretazioni di carattere liberaldemocratico nella scuola del cosiddetto “elitismo democratico”.