ecologica, questione

Con l’espressione “questione ecologica” si indica l’insieme dei problemi posti dalla pressione delle comunità umane sull’ambiente fino al raggiungimento o al superamento del limite di sopportazione dell’ecosistema. Tale questione cominciò a essere posta al centro del dibattito internazionale all’inizio degli anni Settanta del Novecento, all’indomani della pubblicazione del “Rapporto sui limiti dello sviluppo” (1972), commissionato dal Club di Roma al Massachussets Institute of Technology (MIT). Massimi responsabili dell’alterazione degli equilibri ambientali sono il sistema industriale e l’impetuoso incremento demografico dell’età contemporanea. Fino al XVIII secolo la biosfera aveva conservato il proprio equilibrio, ma la rivoluzione industriale ha avviato un consumo di risorse più rapido della loro rigenerazione. La popolazione mondiale (attualmente stimata intorno ai sette miliardi), quintuplicata dall’inizio dell’Ottocento e forse destinata al superamento dei dieci miliardi alla metà del XXI secolo, è in crescita soprattutto nei paesi sottosviluppati (90% dell’incremento demografico mondiale), dove concorre a provocare un forte aumento della mortalità per fame. Nei paesi avanzati l’equilibrio ecologico non è minacciato dal problema demografico, ma dal livello dei consumi individuali, circa quaranta volte superiore rispetto ai paesi poveri, e dagli sprechi indotti dal sistema industriale. Conseguenza dell’intreccio dei diversi fattori è il progressivo impoverimento delle risorse del pianeta. Si prevede che molte risorse minerarie (piombo, stagno, argento, zinco) con gli attuali ritmi di sfruttamento industriale si esauriranno nel giro di pochi decenni. Il petrolio, se non sarà sostituito in tempo da fonti energetiche alternative (solare, eolica ecc.), durerà ancora una sessantina d’anni. Anche senza tener conto del problema irrisolto dello smaltimento delle scorie radioattive,il nucleare, soprattutto all’indomani della catastrofe di Cernobyl (1986) nella ex-Unione sovietica e di quella più recente di Fukushima (2011) in Giappone, non sembra più offrire garanzie sufficienti. Si è dunque da più parti sostenuto che il progresso tecnologico deve andare in due direzioni: verso l’utilizzazione di materiali e di fonti energetiche nuove e non rischiose e verso il risparmio energetico. L’aumento demografico impone l’aumento delle terre coltivate e la coltura di prodotti ad alto rendimento (grano, riso, mais, patata), con il rischio che l’eccessivo sfruttamento dei suoli e della risorsa idrica provochi una progressiva desertificazione, già in atto in alcune regioni per l’abbandono dei sistemi di rotazione, per l’abuso dei prodotti chimici e per il disboscamento selvaggio. D’altronde la cementificazione del territorio, dovuta a esigenze abitative (case) e di comunicazione (strade), riduce il terreno coltivabile. Causa di ingenti danni all’acqua, all’aria e al suolo è l’enorme quantità di rifiuti prodotti dalla civiltà odierna, tra i quali emergono per la gravità delle conseguenze quelli nucleari, attivi per decine di migliaia di anni. L’estinzione continua di specie biologiche, utili anche all’uomo, segnala la pericolosità dell’inquinamento e del disboscamento selvaggio. Risorse indispensabili come l’acqua e l’aria stanno diventando sempre più scarse (acqua) e inquinate, a causa delle industrie, dell’agricoltura (insetticidi, ecc.), delle concentrazioni urbane (traffico, riscaldamenti), di disastri ecologici (incidenti a centrali nucleari, dispersione di petrolio nei mari). Sono noti fenomeni come le piogge acide (che inquinano le falde acquifere), il buco della barriera dell’ozono (che riduce la protezione dai raggi ultravioletti del sole) e l’effetto serra (che può innalzare il livello dei mari fino alla sommersione di zone di terraferma attualmente abitate). Si potrebbe aggiungere ai fattori di rischio per l’ambiente anche il rischio di una guerra nucleare, oggi in grado di cancellare la vita sul pianeta. Le prospettive per il futuro dividono gli esperti in catastrofisti, che vedono nella crescita zero dell’economia e della popolazione o addirittura nella decrescita le uniche speranze in vista di una salvezza già in parte compromessa, e ottimisti, convinti che la scienza e la tecnologia siano in grado di porre riparo anche ai problemi ecologici. Un problema particolare, che pone gravi dilemmi, è costituito dalla tendenza di molti paesi del Terzo Mondo a imitare i modelli di sviluppo del mondo occidentale, col rischio di superare ogni limite di sostenibilità ambientale e di provocare la temuta “catastrofe ecologica”. Ultimamente si sta diffondendo una coscienza ecologica di massa, tesa a rivalutare l’importanza del rispetto dell’ambiente e alla ricerca di nuovi modelli di sviluppo e di consumo. Negli anni Settanta e Ottanta del Novecento, per effetto di questa nuova coscienza, che mette in crisi il mito del progresso illimitato della cultura occidentale moderna, sono sorti in molti paesi industrializzati i movimenti politici Verdi. Se è molto difficile intervenire rapidamente ed efficacemente sul modello di sviluppo e sulla questione demografica, è invece possibile tamponare – e molti sistemi legislativi si stanno muovendo in questa direzione – le conseguenze più negative con leggi per la tutela dell’ambiente. Vi è infine un generale consenso sul fatto che una soluzione radicale della questione ecologica, costosa in termini economici e di trasformazione delle abitudini di vita e di consumo, non possa che essere concertata e coordinata a livello internazionale. In tale direzione si inserisce il trattato internazionale sottoscritto nel 1997, perlopiù noto come “protocollo di Kyoto”, che prevede l’obbligo per i paesi industrializzati una riduzione del 5% delle emissioni di sostanze inquinanti – in particolare i cosiddetti gas serra – rispetto ai livelli registrati nel 1990. Entrato in vigore nel 2005 ad esso non hanno aderito gli Stati Uniti, che pur lo sottoscrissero.