diritto

  1. Definizione
  2. Il diritto in età antica e medievale
  3. Il diritto in età moderna e contemporanea
  4. Il diritto nel mondo non occidentale
  5. Il diritto internazionale
1. Definizione

Il ruolo del diritto nella vita storica è stato ed è tuttora quello di regolare, mediante sistemi di norme (sistemi o ordinamenti giuridici), i rapporti sociali di vario livello e tipo. Perché vi sia diritto occorre che esista un’autorità in grado di emanare norme e di farle rispettare mediante il consenso oppure, in ultima istanza, la forza. Gli ordinamenti giuridici possono risultare o da atti di imposizione dall’alto, come nei regimi dispotici o assolutistici, oppure da processi di partecipazione politica, come nei regimi fondati sulla libertà e sulla democrazia. In questi ultimi la legge poggia su “diritti” riconosciuti e su carte costituzionali che riflettono i principi su cui le norme, vincolanti per chi governa e chi è governato, devono fondarsi per essere “legittime” (costituzione). Il diritto è ciò che dà fondamento allo stato in generale e ai tipi di stato in particolare. Per “stato di diritto” si intende quello stato in cui vige il primato della legge. Le norme del diritto si distinguono da altri tipi di norme per il loro carattere di obbligatorietà, tanto che la loro violazione è oggetto di sanzioni coercitive. Il diritto può essere consuetudinario (come nella common law anglosassone), oppure espressione di atti di volontà del potere statale che si esprimono in leggi specifiche (come nei codici e nelle costituzioni scritte). Il diritto è stato distinto anche in “diritto naturale”, considerato come insieme di diritti preesistenti (fondati sull’idea di ciò che è “giusto” per natura e quindi inviolabile) al diritto emanato dal potere statale, e “diritto positivo”, per il quale si intende il corpo delle leggi emananti dall’ordinamento politico. Le concezioni “giusnaturalistiche” si fondano sull’idea che la legittimità del diritto positivo derivi dal fatto che le sue norme non siano in contraddizione con i diritti naturali. Per contro le concezioni “giuspositivistiche” partono dal presupposto che i diritti sono il prodotto di quanto statuito dall’ordinamento positivo. Il diritto si distingue in tre grandi sezioni: il diritto pubblico, che regola la vita stato e delle sue istituzioni (di cui costituiscono articolazioni il diritto costituzionale, amministrativo, penale, processuale, ecclesiastico); il diritto privato, che regola i rapporti tra gli individui (di cui sono articolazioni il diritto civile, commerciale, del lavoro); il diritto internazionale, che regola i rapporti tra gli stati e gli enti internazionali.

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2. Il diritto in età antica e medievale

Ordinamenti giuridici, in alcuni casi anche documenti scritti, nei quali l’autorità politica legittimava se stessa sulla base del supposto volere degli dei e faceva appello alla santità della consuetudine, fecero la loro comparsa tra il IV e il II millennio a.C. in Mesopotamia, in Siria, in Egitto, in Anatolia, a Creta e nei regni micenei. Tra essi ha un particolare rilievo il codice di Hammurabi (circa 1740 a.C.). Gli ebrei elaborarono un diritto rigorosamente teocratico (“diritto biblico”), in parte scritto e in parte derivato dalla tradizione orale. Uno sviluppo di eccezionale importanza fu determinato dall’evoluzione politica della Grecia antica e dei suoi ordinamenti politici e socioeconomici. Le città-stato – con le distinzioni tra liberi e schiavi, tra diversi tipi di governo “puri” (monarchia, aristocrazia, democrazia) o “degenerati” (tirannide, oligarchia, oclocrazia), con le norme relative alla partecipazione politica e alle cariche pubbliche, all’esercizio delle professioni, alla vita familiare, con le conseguenti sanzioni – espressero nei secoli V-IV a.C., attraverso le loro costituzioni e le consuetudini, un diritto estremamente ricco ed evoluto. Il punto massimo della civiltà giuridica nel mondo antico venne raggiunto nella Roma repubblicana e imperiale. Una tappa essenziale nell’evoluzione giuridica di Roma fu l’elaborazione delle XII Tavole (451-50), codice scritto strappato dalla plebe al patriziato al fine di avere regole certe e dalla quale trassero fondamento le istituzioni della repubblica e i rapporti tra l’assemblea popolare, il senato e i magistrati in un quadro istituzionale cui pose fine la costituzione del principato di Augusto (27 a.C.) e l’avvento dell’impero. Accanto al diritto relativo alle istituzioni politiche o diritto pubblico, Roma sviluppò nel periodo repubblicano e in quello imperiale il diritto privato, attinente alla regolazione dei rapporti tra i privati; il diritto penale diretto a comminare sanzioni per le violazioni delle norme; il diritto honorarium, per cui in primo luogo i pretori amministravano la giustizia secondo criteri innovativi nel caso ritenessero carenti le norme in vigore; e il “diritto delle genti” attinente alla condizione degli stranieri o alle relazioni con essi. La civiltà giuridica romana è stata tramandata in maniera essenziale attraverso la raccolta di testi fatta effettuare da Giustiniano tra il 529 e il 534 d.C. nota come Corpus iuris civilis. Il Corpus fu il veicolo attraverso il quale il diritto romano, dopo le invasioni barbariche, rinacque specie in Italia e in Francia a partire dall’XI secolo. Di contro alla tradizione giuridica romana, il diritto barbarico aveva un carattere prevalentemente consuetudinario, che si rispecchiò nei poteri giurisdizionali dei monarchi e dei signori feudali sui loro inferiori. Se non che questa matrice consuetudinaria in numerosi casi finì per produrre una legislazione scritta o espressa in codici, come l’editto del sovrano longobardo Rotari (643). Nel medioevo la chiesa, in virtù dei poteri di sovranità da essa acquisiti, produsse un proprio diritto specifico, il diritto canonico, il quale, radicato nel magistero ecclesiastico, era inteso a regolare i comportamenti dei fedeli di tutto il mondo cristiano nella sfera attinente ai doveri verso la religione, collocandosi così accanto al diritto vigente nei singoli ordinamenti politici. Bologna fu nel tardo medioevo il grande centro della rinascita giuridica fondata sulla “riscoperta” del diritto romano. Divenuti il diritto romano e il diritto canonico i due fondamenti del diritto comune (ius commune), nell’Europa medievale andarono sviluppandosi diritti particolari, come il diritto commerciale e il diritto marittimo volti a regolare aspetti cruciali delle attività economiche. La rinascita del diritto romano divenne una realtà di grande rilievo nel periodo rinascimentale in Francia e ancor più in Germania. In Inghilterra la tradizione giuridica andò caratterizzandosi per la prevalenza della common law. Questa fu l’espressione di una condizione di pluralismo giudiziario prodotto per un verso dal persistere dei diritti locali di giurisdizione dei signori feudali, per l’altro dai rapporti tra i poteri della monarchia e quelli dei lord. Accanto alle leggi scritte, nell’Inghilterra medievale si affermò la giurisprudenza basata sulla soluzione dei casi per iniziativa del giudice tenendo conto dei precedenti e creando dei precedenti (rule of precedent), così da rispondere con spirito di concretezza ai bisogni sociali e alla tutela dei costumi e degli interessi dominanti secondo criteri evolutivi. Per evitare il pericolo di eccessi di contraddittorietà e al limite di arbitrio del giudice, la Corona introdusse a partire dalla fine del secolo XIV istanze di ordine superiore che trovarono la loro espressione nel diritto volto a garantire l’equità (equity). Un valore altamente simbolico, tanto da essere considerata come la madre delle libertà inglesi, ebbe la Magna Charta (1215), concessa da Giovanni Senza Terra ai suoi sudditi. Con essa per un verso la Chiesa e i baroni videro tutelati i loro privilegi tradizionali dall’invadenza della Corona, per l’altro furono riconosciuti ai sudditi nuovi diritti in campo giudiziario.

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3. Il diritto in età moderna e contemporanea

L’impronta prevalente del diritto tra i secoli XVI e XVIII fu data nell’Europa centro-occidentale dall’assolutismo, che ebbe i suoi maggiori centri nelle grandi monarchie di Spagna, Francia, Austria e Prussia. L’assolutismo continentale si costituì mediante una legislazione centralistica, che progressivamente ridusse e infine distrusse i diritti giurisdizionali particolaristici di matrice feudale. Di questo centralismo divennero strumenti essenziali le Corti supreme, assurte a fonti superiori del diritto. La legge divenne privilegio del sovrano, fonte della legge ma egli stesso legibus solutus. Un potenziale significato antiassolutistico, che a mano a mano divenne esplicito, acquistò nel Sei-Settecento la corrente giusnaturalistica, a opera di autori come Johannes Althusius, Huig van Groot (Grozio), Samuel Pufendorf e Christian Thomas Wolff, i quali, rifacendosi a correnti di pensiero antico e medievale, attribuirono alla ragione il compito di indagare i fondamenti “naturali” del diritto (giusnaturalismo). Di qui l’asserzione di un diritto naturale o di diritti naturali, visti come presupposti di un retto diritto positivo. Dentro questa prospettiva sono da collocarsi sia il pensiero politico di John Locke, grande teorico dei diritti naturali come fondamento del diritto positivo e della sua legittimità, sia la concezione illuministica delle riforme e sia quella rivoluzionaria, che si espresse in America nei principi costituzionali federali e in Francia nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 e nella Costituzione del 1791. Un capitolo centrale dei diritti di libertà fu altresì quello scritto in Inghilterra in seguito alla prima e alla seconda rivoluzione dirette contro l’assolutismo con l’Habeas Corpus Act del 1679 e il Bill of Rights del 1689. Uno sviluppo di enorme importanza nell’evoluzione del diritto fu segnato da un lato dalle “consolidazioni” e dalla codificazione e dall’altro dalle costituzioni. Al fine di dare agli organi giurisprudenziali punti di riferimento certi secondo criteri di uniformità, le norme consuetudinarie e le leggi incominciarono a essere raccolte in maniera sistematica. Si trattò di quel processo che diede luogo prima alle “consolidazioni” delle norme e poi ai veri e propri codici. Espressioni delle prime furono le varie Ordonnances fatte emanare da Colbert tra il 1667 e il 1681 relativamente agli affari della giustizia, criminali, commerciali e marittimi. A partire dalla metà del XVIII secolo ebbe inizio il processo di codificazione, finalizzato a costituire raccolte di leggi tali da manifestare coerenti progetti normativi. Dopo i tre codici della Baviera in materia penale, processuale e civile del 1751-54, la codificazione andò intensificandosi e allargandosi e raggiunse un momento particolarmente alto col Codice civile (1804) e con i successivi codici per il commercio, la procedura civile, le materie criminali e penali (1806-1810) emanati da Napoleone. Le costituzioni scritte, a partire da quella approvata nel 1787 negli Stati Uniti ed entrata in vigore nel 1789 e da quella francese del 1791 furono intese a dare una base certa alle istituzioni degli stati, ai rapporti tra i poteri e alle relazioni tra governanti e governati (costituzione). Nate da due rivoluzioni esse risposero alla necessità di dare nuovi fondamenti giuridici in conseguenza della rottura dei precedenti ordinamenti istituzionali. Le costituzioni – che sono state emanate vuoi a opera di assemblee costituenti vuoi per concessione del monarca (come la Charte octroyeé di Luigi XVIII in Francia del 1814 o lo Statuto di Carlo Alberto del 1848) – hanno sanzionato le diverse forme di stato e di governo e la natura dei rapporti culturali, politici e socioeconomici. I principali tipi di costituzioni otto-novecentesche si dividono tra liberali o liberaldemocratiche (fondate sul riconoscimento del pluralismo, sui diritti di libertà dell’individuo e dei gruppi e sul diritto di proprietà pieno o soggetto a limiti) e costituzioni a tendenzialità socialista o socialiste (dirette all’introduzione della proprietà collettiva dei mezzi di produzione e fondate sul primato del partito comunista o sul suo monopolio politico e quindi sulla soppressione del pluralismo politico e della divisione tra i poteri). I primi esempi di costituzioni socialiste sono state quelle sovietiche del 1918, 1924 e 1936. I regimi fascista e nazionalsocialista, mentre, al pari dei regimi socialisti, hanno abolito lo stato di diritto e costruito ordinamenti giuridici antiliberali e antidemocratici, non hanno però prodotto proprie costituzioni.

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4. Il diritto nel mondo non occidentale

Una forma di diritto di grande importanza fu in India quella hindu, attestata da una serie di fonti elaborate tra il III secolo a.C. e il V secolo d.C. Si trattò di un diritto teso a esprimere norme di rettitudine e di giustizia (dharma), intese come di origine divina, interpretate sulla base della tradizione e delle consuetudini dai bramini e rivolte a regolare una società basata sulle caste e a fornire ai sovrani principi di comportamento e di governo. La più significativa di queste fonti è costituita dalle Leggi di Manu. In seguito, tra il VII e il XII secolo, il diritto hindu andò in parte tecnicizzandosi, così da definire, oltre che dei principi, anche delle procedure. Fu quello il periodo nel corso del quale i musulmani procedettero a conquistare la gran parte del subcontinente indiano. Agli hindu fu consentito di conservare il proprio diritto, salvo che nei campi penale e fiscale. In seguito alla conquista dell’India nel XVIII secolo, gli inglesi mantennero in vigore per certi aspetti il diritto hindu e musulmano, ma nel secolo seguente imposero i loro codici. Dopo il raggiungimento dell’indipendenza nel 1947, l’Unione Indiana, il Pakistan e il Bangladesh hanno distinto tra un diritto comune per tutti i cittadini e un diritto personale individuale a seconda dell’appartenenza alle varie comunità etnico-religiose. Nella Cina antica il diritto poggiava su un fondamento etico-religioso, articolato nel principio del fa e in quello del li. Il primo manifestava l’idea del momento sanzionatorio, il secondo l’osservanza dei buoni comportamenti dettata dalla religione e dall’etica. I due principi convivevano spesso in tensione tra loro. I confuciani e i taoisti erano sostenitori della superiorità del li. L’esigenza di fissare regole in materia penale fu alla base di varie raccolte scritte (VI secolo a.C. – VII secolo d.C.) quali l’Hing-shu (libro delle pene), il Li Kuei e il codice emanato dalla dinastia Tang. Nel settore del diritto ispirato dal fa comparvero nel tempo numerosi codici volti a disciplinare le norme penali e amministrative. La crescente influenza europea portò il governo cinese negli anni Venti e Trenta del Novecento ad adottare nuovi codici, come quello civile e quello penale. In materia politico-istituzionale il governo nazionalista fece approvare nel 1946 dall’Assemblea nazionale una costituzione, i cui effetti furono vanificati dall’avvento al potere dei comunisti nel 1949, salvo che per Taiwan, dove si rifugiò il governo di Chiang Kai-shek. I comunisti di Mao Zedong adottarono nel 1954 la prima delle loro costituzioni. In Giappone la rivoluzione Mejij del 1868 aprì la strada a una rapida e intensa opera di modernizzazione giuridica influenzata prevalentemente dalla Francia e dalla Germania. Adottata una costituzione autoritaria ispirata al modello prussiano, nel corso degli anni Novanta fu introdotta una serie di codici. Nel 1946, dopo la sconfitta nel secondo conflitto mondiale, il Giappone adottò una nuova costituzione democratica, sotto la pressione e l’influenza statunitense, attuando anche radicali riforme giuridiche espresse dai codici. Il diritto musulmano, di derivazione prettamente religiosa, è da ricondursi all’insegnamento di Maometto a partire dal 622. Esso poggia su un principio fondamentale: la shari’a, ovvero la via direttamente indicata ai fedeli da Allah. Da esso deriva il principio del fiqh, da cui vengono tratte le norme che attengono ai comportamenti individuali e collettivi. Le fonti principali del diritto islamico sono da un parte il libro sacro, il Corano, e dall’altra la sunna, vale a dire la tradizione islamica radicata negli insegnamenti di Maometto. Storicamente importante per la definizione delle norme è stata l’attività di interpretazione affidata alle varie scuole di “dottori”. Il diritto musulmano ha avuto un ambito di elaborazione e di applicazione vastissimo, che coincide con le aree di penetrazione dell’islam nel mondo. Analogamente a quanto avvenuto nel mondo cinese e indiano, in alcuni paesi musulmani l’influenza occidentale ha portato il diritto di radice etico-religiosa a esprimersi attraverso una specifica produzione legislativa e l’elaborazione di codici.

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5. Il diritto internazionale

Il diritto internazionale si divide in pubblico e in privato. Il primo attiene alle relazioni internazionali, innanzitutto a quelle tra gli stati; il secondo ha per oggetto in prevalenza le regole che gli stati con i loro differenti ordinamenti giuridici stabiliscono al fine di disciplinare all’interno del proprio territorio diritti e doveri di cittadini stranieri e soggetti collettivi come ad esempio le imprese estere. Le origini del diritto internazionale moderno sono da collegarsi alla riflessione iniziata nel XVI secolo da pensatori come il teologo spagnolo Francisco de Vitoria e l’italiano Alberico Gentili sul tema della “guerra giusta” ovvero della distinzione tra guerre legittime e non legittime, ripresa e sviluppata soprattutto dall’olandese Ugo Grozio, autore di De jure belli ac pacis (1625). Grozio analizzò non solo il problema della distinzione tra guerre giuste e non giuste, ma anche quello delle azioni di guerra lecite e non lecite e delle ragioni umanitarie da rispettare nei conflitti. La più generale questione della regolamentazione dei rapporti tra gli stati in relazione alla condanna della guerra e all’“utopia della pace” divenne un tema diffuso di riflessione nel XVIII secolo, trovando espressioni particolarmente significative in Rousseau e Kant. Sotto lo stimolo del progetto di pace perpetua elaborato dall’abate di Saint-Pierre, Rousseau sostenne che era necessario superare la condizione per cui i trattati fra gli stati assumevano il carattere più di tregue passeggere che non di autentiche paci. Kant nel saggio Per la pace perpetua (1795) osservò a sua volta che relazioni internazionali in grado di superare la guerra avevano come presupposto che tutti gli stati abbracciassero ordinamenti interni fondati sul diritto e la libertà, poiché i conflitti armati hanno la loro prima radice nelle ambizioni degli stati non liberi e militaristi. In età contemporanea dal tentativo di porre limiti alle manifestazioni peggiori della violenza in guerra è nato il diritto internazionale di guerra, che, dopo la conferenza di Bruxelles del 1874, ebbe più precise formulazioni nelle conferenze dell’Aja del 1899 e del 1907. Di grande importanza furono anche le conferenze e convenzioni di Ginevra che nel 1864 e nel 1906 regolarono il trattamento dei feriti di guerra, nel 1906 e nel 1929 i diritti dei prigionieri, nel 1949 la tutela, oltre che dei feriti e dei prigionieri, anche dei civili e degli ospedali nelle zone di guerra, nel 1974-77 il trattamento dei guerriglieri e dei mercenari nelle guerre di liberazione nazionale e nelle guerre civili. La violazione sistematica dei diritti umani a opera dei regimi autoritari e soprattutto totalitari e gli orrori del secondo conflitto mondiale misero in primo piano l’esigenza di tutelare su scala internazionale i diritti di libertà e i principi di umanità, di costituire organizzazioni volte a favorire la pace e di allargare e regolare la cooperazione politica ed economica tra gli stati. Del 1948 è la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo emanata dalla Nazioni Unite; del 1950 la Convenzione europea per la protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, con la costituzione di una Commissione e di una Corte europea dei diritti dell’uomo con sede a Strasburgo; rispettivamente del 1958 e del 1961 sono la Commissione con sede a New York e la Commissione europea con sede a Ginevra create per gli arbitrati in materia di commercio internazionale; del 1975 sono gli accordi di Helsinki, firmati da 34 stati tra cui gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, sul riconoscimento permanente dei confini usciti in Europa dalla seconda guerra mondiale e sul rispetto dei diritti umani e delle libertà civili; del 1980 è la Convenzione di Vienna diretta a regolare la vendita internazionale delle merci. Uno sviluppo quanto mai importante ha avuto il diritto sovranazionale messo in atto da Comunità di stati come la Comunità Europea trasformatasi nel 1992 in Unione Europea e il Mercosur formato da stati latino-americani. Nel campo delle relazioni fra stati un posto di primissimo piano occupa l’Organizzazione delle Nazioni Unite, che, sorta nel 1945 sul fallimento della Società delle Nazioni costituita nel 1919, ha inteso gettare le basi di una collaborazione internazionale fondata su principi democratici e sull’obiettivo di preservare la pace, costituendo organismi di governo dell’organizzazione stessa e attivando meccanismi di sanzioni contro i trasgressori delle norme stabilite. [Massimo L. Salvadori]

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