diritti

  1. Premessa
  2. Tipologia dei diritti
1. Premessa

Diversamente dal diritto, che designa una costruzione tecnico-giuridica e scientifica (benché poggiante in ultima analisi su assiomi filosofici indimostrabili), la definizione dei diritti non è stata soggetta nel tempo a un’analoga elaborazione, rimanendo invece sempre ancorata alla sua radice etica e storico-politica, nonché a forme espressive retoriche e poco rigorose sotto il profilo giuridico. Un discorso sui diritti deve pertanto rapportarsi alle manifestazioni che di questi si è data nell’ambito delle tradizioni costituzionalistiche succedutesi nella storia, all’interno delle due impostazioni fondamentali dell’età moderna e contemporanea: quella giusnaturalista e quella giuspositivista. Nel diritto naturale i principali diritti soggettivi – caratterizzanti la libertà degli individui nello stato di natura – sono considerati precedenti a ogni legislazione positiva. Alcuni di questi, come il diritto alla vita, alla salute e alla difesa della proprietà, sono per definizione inalienabili anche per i teorici dell’assolutismo. Viceversa, secondo la lezione giuspositivista, i diritti sono posti, sono cioè istituiti dall’autorità politica tramite una norma giuridica che li consacra come tali a livello costituzionale o nella legislazione ordinaria.

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2. Tipologia dei diritti

Storicamente i diritti sono sempre stati il frutto di lotte politiche e sociali sfocianti in dichiarazioni solenni che ne attestavano l’esistenza, la legittimità e la durata, a partire dalla Magna Charta fino ai Bills of Rights inglesi e americani, alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino della Rivoluzione francese e alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata dall’assemblea dell’ONU nel 1948 e recepita in tutte le carte costituzionali dei paesi aderenti. È opinione diffusa presso i costituzionalisti che mentre lo stato costituzionale ottocentesco fu sostanzialmente definibile come uno “stato di diritto”, lo stato democratico del Novecento si ponga sempre più come “stato dei diritti”. Partendo dal presupposto della “storicità” dei diritti, secondo cui la loro affermazione e realizzazione funge da indicatore del progresso sociale e politico, è possibile elencarne diverse “generazioni”. Vi è il nucleo originario dei diritti “umani”, “civili” e “politici” classici, tra cui figura il diritto all’eguaglianza a prescindere dalle differenze di razza, civiltà, sesso, religione, ecc.; vi sono anche compresi i fondamentali diritti di libertà e di eguaglianza politica, di libertà d’opinione, d’espressione e di associazione, d’impresa, ecc. Vi sono poi i diritti “sociali” o “di seconda generazione”, che scaturiscono dalla fase delle lotte delle classi popolari e del movimento operaio tra Otto e Novecento, e che si concretizzano nel diritto al lavoro, all’assistenza e alle assicurazioni sociali, all’istruzione, ecc. Dopodiché subentrano i diritti “di terza generazione” o “ecologici”, ossia il diritto a vivere in un ambiente non inquinato. Naturalmente i diritti di tale specie sono ancora difficilmente traducibili in linguaggio giuridico, essendo dovuti a una coscienza sociale e politica in via di affermazione. La stessa difficoltà di codificazione permane anche per una “quarta generazione” di diritti, che si va profilando all’orizzonte e va ad aggiungersi, ampliandola, alla categoria dei diritti umani: i diritti che riguardano la protezione dell’umanità contro le manipolazioni biologiche del patrimonio genetico umano.

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