Destra storica

Raggruppamento politico e parlamentare che governò il regno d’Italia dalla sua fondazione (1861) fino al 1876. Più che un partito in senso moderno, fu uno schieramento d’opinione, un raggruppamento elettorale e soprattutto un gruppo parlamentare, secondo lo schema tipico dei “partiti di notabilato” diffusi in tutta Europa prima dell’avvento del suffragio universale (all’epoca in Italia solo il 2% della popolazione aveva diritto di voto). Le sue origini risalgono all’avvicinamento, seguito al fallimento dei moti del 1848-49, tra i liberali moderati, ostili al ritorno all’assolutismo, e i democratici delusi dall’insurrezionalismo mazziniano. Il “connubio” tra il centrodestra di Cavour e il centrosinistra guidato da Rattazzi nel parlamento subalpino (1852) e l’unione nella Società Nazionale (1857) di liberali e democratici (Manin, Garibaldi) furono momenti importanti della maturazione della Destra storica, nella quale confluirono liberali napoletani di pensiero vichiano-hegeliano e liberali e democratici toscani, emiliani e dello stato pontificio. Tratto comune fu l’adesione all’impostazione liberale e liberista, laica e socialmente moderata della politica di Cavour. Le personalità di spicco furono B. Ricasoli, U. Rattazzi, M. Minghetti, A. La Marmora, G. Lanza, Q. Sella. Negli anni del governo (1861-76) la Destra storica organizzò il nuovo stato nazionale attraverso una sistematica “piemontesizzazione” degli ordinamenti costituzionali, giuridici e amministrativi e del personale burocratico e prefettizio, al fine di rafforzare la recente e fragile unità del paese. Perseguì il completamento dell’unità nazionale, riuscendo a conquistare il Veneto (1866) e Roma (1870) e affrontando la “questione romana” con la legge delle “guarentigie” (1871). Seguì una politica finanziaria rigorosa, di “economia fino all’osso” (Quintino Sella), rinunciando ad avviare le riforme di cui il paese aveva bisogno e pagando la costruzione del nuovo stato e delle infrastrutture fondamentali (ferrovie) con un pesante fiscalismo, basato su imposte indirette assai impopolari (come la tassa sul macinato del 1868). Rispose al fenomeno del brigantaggio meridionale (1861-65), di cui comprese peraltro le cause sociali, con la pura repressione, senza avviare la necessaria riforma agraria. Dopo la caduta del governo Minghetti nel 1876, avvenuta paradossalmente quando era stato ormai raggiunto l’agognato obiettivo del pareggio del bilancio dello stato, la Destra dovette cedere le redini del potere alla Sinistra storica. Soprattutto a partire dagli anni Ottanta, tuttavia, la politica trasformistica di Depretis doveva progressivamente far venir meno la contrapposizione tra i due schieramenti della Destra e della Sinistra storica.