democrazia

  1. Premessa e definizioni
  2. Tipi di democrazia
1. Premessa e definizioni

Il termine “democrazia” (dal greco demos, popolo, e kratos, potere), significa letteralmente “potere (o governo) del popolo” ed è uno dei concetti fondamentali della storia e della scienza politica antica e moderna. Anche se, occorre precisarlo, fu usato con accezioni profondamente diverse – e per indicare realtà politiche essenzialmente differenti – nelle epoche predette e all’interno della stessa cultura politica greca. Nel dialogo dei principi persiani raccontato da Erodoto nelle Storie, Otane denominava isonomia il sistema politico in cui tutti erano eguali di fronte alle leggi e partecipavano all’esercizio del potere. Platone (nella Repubblica, nel Politico e nelle Leggi) e Aristotele (nella Politica) intesero col termine “democrazia” la forma di governo della moltitudine, degenerata, corrotta, simile all’oclocrazia e alla demagogia. Aristotele – al quale risale la tripartizione classica delle forme di governo – chiamava politeia la forma di governo che noi contemporanei intendiamo come “democrazia”, con valenza moralmente e politicamente positiva: il governo dei più o, al limite, di tutti i cittadini. In questo senso la democrazia s’opponeva alla monarchia (governo di uno solo) e all’aristocrazia e all’oligarchia, cioè al governo dei migliori o dei pochi. Polibio riprese nelle Storie questa tripartizione modificandola nell’ultimo termine e riproponendo la parola “democrazia” in un senso più vicino, dal punto di vista formale, a quello della modernità. Con una distinzione, che vale per tutti i teorici citati: nell’antichità greco-latina (sebbene sia necessario sottolineare che la repubblica romana non fu una democrazia, ma uno “stato misto” con componenti monarchiche, aristocratiche e democratiche) la vita politica delle città-stato democratiche (poleis) partiva dal presupposto che tale regime si applicasse solo ai cittadini liberi, non ai semiliberi e tanto meno agli schiavi o agli stranieri ivi occasionalmente residenti, che erano privi di diritti politici. Le antiche democrazie erano perciò fondate su una base estremamente limitata della popolazione cittadina. Se questo formò il tratto più importante di difformità rispetto alle concezioni moderne della democrazia – in cui il valore di riferimento è l’eguaglianza e pertanto l’elemento caratterizzante appare essere il massimo allargamento egualitario dei diritti, non solo formali, a tutta la popolazione di uno stato – non mancarono altre specificità, che tuttavia saranno più o meno ricorrenti in altri modelli di democrazia legati a età successive. Una di queste, da illustrare più diffusamente, concerneva il modo e la dimensione territoriale dell’esercizio della democrazia, che nell’antichità fu generalmente diretta e cittadina, mentre nell’età moderna-contemporanea è di solito indiretta e ha avuto possibilità d’applicazione anche su scala continentale. Le coppie dicotomiche antica-moderna, diretta-indiretta introducono ad altre due coppie tipologiche (per elencare almeno le più note), affermatesi nel corso dell’evoluzione storica e politica, che, nel loro intreccio, definiscono i contorni e i modi di realizzazione “delle” concezioni democratiche: formale-sostanziale, rappresentativa-plebiscitaria. Occorre aggiungere che, sul piano della storia delle dottrine e delle istituzioni politiche, nelle elaborazioni moderne della democrazia confluirono – oltre alla teoria classica accennata sopra – altre due tradizioni di pensiero. In primo luogo, la teoria medievale (ma di derivazione romana) della sovranità popolare, elaborata in opposizione all’assolutismo monarchico e riversatasi nel filone del costituzionalismo liberale e democratico: da questo punto di vista, la democrazia può essere definita come quel regime in cui la sovranità appartiene a tutti i cittadini. In secondo luogo, la tradizione repubblicana, che in epoca moderna ha determinato la sostituzione della tripartizione classica delle forme di governo con la bipartizione monarchia-repubblica, laddove appunto il repubblicanesimo ha finito sovente con l’assorbire l’ideale democratico.

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2. Tipi di democrazia

Posto che sono state teorizzate numerose e particolareggiate tipologie democratiche, le basilari sono le seguenti. a) diretta-indiretta. Nel primo caso il potere legislativo è senza mediazioni in mano ai cittadini riuniti in assemblea (come accadeva nelle antiche città-stato o ancora in alcuni cantoni svizzeri). Nel secondo caso, oggi più diffuso, la democrazia è di tipo rappresentativo in quanto la sovranità popolare viene esercitata costituzionalmente attraverso la delega a deputati in organismi legislativi che “rappresentano” la volontà dei cittadini, dai quali sono liberamente eletti a suffragio universale. Dal potere legislativo dipende la fiducia e il controllo del governo. b) rappresentativa-plebiscitaria. La democrazia rappresentativa (e indiretta) sopra definita si oppone anche alla democrazia “plebiscitaria”, in quanto la seconda si fonda sull’espressione di un atto di volontà popolare (plebiscito) o comunque su forme analoghe di approvazione di scelte costituzionali e di elezione di capi che non pongono in essere una delega o una rappresentanza temporanea di sovranità, ma stabiliscono un rapporto diretto, generalmente illimitato tra un capo, per lo più carismatico, e il popolo. In realtà, tale forma di democrazia, per quanto spesso originata da una pronuncia popolare, ha dato luogo a regimi autoritari e dittatoriali; quindi non sarebbe propriamente da considerarsi come tale. c) formale-sostanziale. Il criterio distintivo tra questi due tipi consiste nell’interpretazione e nell’applicazione del principio di eguaglianza. La democrazia formale – che a ogni buon conto, come ha insegnato H. Kelsen, costituisce la base ineliminabile di ogni democrazia – si risolve in una serie di regole e procedure, il cui rispetto dovrebbe garantire a tutti i cittadini l’esercizio costituzionale dei loro diritti-doveri politici: elezione dei rappresentanti (con libertà di voto) nelle istituzioni; partecipazione ai referendum; governo della maggioranza e garanzie per la minoranza (che deve avere la possibilità di diventare a sua volta maggioranza); libertà di scelta fra diversi partiti e programmi politici, ecc. La democrazia sostanziale amplia il campo egualitario di tali diritti anche alla società e all’economia: i cittadini dovrebbero godere di pari condizioni e possibilità sociali, non solo giuridiche. Con l’avvento dei movimenti e dei partiti socialisti (e, a maggior ragione, comunisti) si creò una divaricazione rispetto all’interpretazione liberale della democrazia, scaturente dall’esigenza di comporre la libertà dei singoli con i limiti imposti loro dall’estensione a tutti dei medesimi diritti. Tanto il liberalismo classico tendeva a restringere il quadro del godimento dei diritti di eguaglianza alle classi dominanti o intermedie della popolazione, tanto il socialismo e il comunismo lo estendevano a tutte e vi comprendevano la giustizia sociale. La democrazia liberale fu definita allora dai teorici del movimento socialista e anarchico come “borghese”, tipica cioè di una società dominata dalla borghesia, e ad essa fu contrapposta la democrazia “socialista” (o “sociale”), che nel contesto della rivoluzione comunista fu denominata anche “proletaria” (caratterizzata dal dominio del proletariato e dallo scopo dell’abolizione delle classi). Gli stati comunisti fondati nel secondo dopoguerra e gravitanti nell’orbita dell’Unione Sovietica furono detti anche “democrazie popolari”. Loro tratto saliente fu la presenza di un partito unico che esercitava totalitariamente il potere. Dall’esasperazione degli aspetti legati alla realizzazione sostanziale del principio egualitario, dalla massificazione emergente nelle moderne democrazie e schiacciante la libertà individuale, come pure dal tipo plebiscitario, nasce la cosiddetta “democrazia totalitaria”, che però di questa ha solo il nome e altro non è che una variante del totalitarismo. [Corrado Malandrino]

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