deismo

Il termine “deismo” indica in generale quelle dottrine filosofiche secondo le quali la vera religione è quella che postula l’esistenza di una divinità trascendente conforme alla ragione umana e riconoscibile intuitivamente da tutti gli uomini, a prescindere da ogni forma di rivelazione e indipendentemente dai riti e dai dogmi delle religioni positive. Secondo la definizione che ne diede nel 1742 uno dei deisti più noti, Voltaire, “il deismo è una religione diffusa in tutte le religioni”. L’indifferenza alle dispute teologiche e il rifiuto dei conflitti confessionali della prima età moderna nutrirono le iniziali manifestazioni del deismo: così nel Colloquium heptaplomeres di J. Bodin (1597) e nel De Veritate (1624) e De Religione gentium errorumque apud eos causis (1645) di Herbert of Cherbury. Alla fine del Seicento, in coincidenza con la messa in discussione dei princìpi tradizionali dei dogmi religiosi, il deismo fu al centro della riflessione filosofica in Inghilterra. Nella Ragionevolezza del cristianesimo (1695) John Locke – che pure riconobbe il ruolo fondamentale della rivelazione – contrappose la semplicità della predicazione di Cristo all’appesantimento rituale e dogmatico che la rivestì nel corso dei secoli fino a sfigurarla. La polemica antidogmatica di Locke fu approfondita da J. Toland, che nel Cristianesimo senza misteri (1696) negò che si potesse considerare cristiano quanto contrasta con i princìpi della ragione. Toland rifiutò la veridicità dei miracoli in quanto contrari alle leggi della natura. Per A. Collins, autore del Discorso sul libero pensiero (1713), era valido il principio che quanto è superiore alla ragione è contrario alla ragione. Il tema del rapporto tra razionalità e rivelazione, cruciale per i deisti, fu ripreso da M. Tindal, che in Cristianesimo antico quanto la creazione (1730) sostenne che le verità razionali del cristianesimo non richiedono una rivelazione storica: “la religione del Vangelo è la vera originaria religione della ragione e della natura”. La discussione inglese della prima metà del secolo si concentrò quindi sull’esame della razionalità del messaggio evangelico, sottolineando polemicamente l’incoerenza e l’oscurità della tradizione biblica e cogliendo ogni elemento che mostrava la relatività storica di gran parte degli insegnamenti del cristianesimo. L’atteggiamento deista elaborato in Inghilterra si innestò in Francia sulla tradizione scettica ripresa dal libertinismo nel Seicento. Scritti clandestini come l’Esame della religione fecero circolare temi quali il rifiuto dei miracoli e della rivelazione e la denuncia della religione come impostura sacerdotale. Voltaire sottolineò gli aspetti di tolleranza e rigetto della superstizione connaturati a una posizione deistica e li fece penetrare nella cultura illuministica europea. Un’interpretazione molto personale delle tematiche deistiche si ebbe in J.-J. Rousseau, il quale concepì una religione naturale indifferente ai dogmi e alle confessioni, densa d’altronde di valenze emotive estranee all’ispirazione fondamentale dei deisti illuministi. In Germania il deismo non si espresse se non raramente in una rottura con le religioni tradizionali, ma confluì piuttosto nella tendenza a storicizzare la religione e a vedere nei riti e nei dogmi del cristianesimo una conferma delle verità razionali. Il deismo critico ebbe in H.S. Reimarus l’interprete più radicale. I suoi Frammenti di uno sconosciuto di Wolfenbüttel (1774-78), pubblicati postumi da G.E. Lessing, descrissero Cristo e Giovanni come capi politici che fallirono nel piano di creare una monarchia ebraica. Per Lessing stesso, che espresse più volte i princìpi di un deismo razionale e tollerante, una religione semplice e perfettamente conforme a ragione si colloca al termine dell’evoluzione dell’umanità: le religioni positive rappresentano invece le fasi iniziali di un lungo processo di educazione. Solo in questa prospettiva di sviluppo acquistano la loro legittimità. [Edoardo Tortarolo]