Cuba

Stato attuale dell’America centrale.

  1. Il periodo coloniale
  2. Il nuovo stato sotto l’influenza americana
  3. La rivoluzione castrista
1. Il periodo coloniale

Scoperta da Cristoforo Colombo nel 1492, l’isola di Cuba fu conquistata nel giro di pochi anni da Diego Velázquez con una spedizione intrapresa nel 1511. Usata inizialmente dagli spagnoli come base navale per l’esplorazione dei territori circostanti, fu quindi terra di immigrazione per coloni provenienti dalla Spagna e da altri paesi dell’America Latina, i quali avviarono assai presto un’economia agricola di piantagione per la produzione della canna da zucchero e del tabacco, resa possibile dall’importazione di schiavi dall’Africa (i primi arrivi si ebbero a partire dal 1524), che sostituirono la manodopera indigena sterminata nel giro di pochi anni. Durante il periodo coloniale lo sviluppo economico fu ostacolato dalla politica mercantilistica della Spagna, che vietava il commercio con paesi terzi, impediva la produzione di beni che potessero far concorrenza a quelli della madrepatria e deteneva il monopolio del traffico commerciale. Divenne in tal modo sempre più diffusa la pratica del contrabbando, alimentata dalle grandi potenze europee che contendevano alla Spagna il dominio sulle Indie occidentali. Gli attacchi provenienti dall’esterno e lo sfruttamento selvaggio delle risorse da parte della madrepatria precipitarono Cuba in una grave crisi economica e demografica, che raggiunse il culmine verso la metà del secolo XVIII. Nel 1762, al termine di un lungo assedio, l’Avana fu conquistata e saccheggiata dagli inglesi, che la restituirono l’anno dopo alla Spagna in cambio della Florida. Dopo di allora la situazione andò progressivamente migliorando: aumentò la produzione agricola, si ebbe una parziale liberalizzazione del traffico commerciale, la popolazione crebbe, anche in conseguenza di una consistente immigrazione di famiglie spagnole e francesi rispettivamente da Santo Domingo, ceduta dalla Spagna alla Francia nel 1795, e da Haiti in seguito alla guerra civile e alla vittoria della rivoluzione degli schiavi di colore nel 1804. L’isolamento e i dissensi interni all’élite creola circa il futuro assetto dell’isola ritardarono a Cuba il processo di emancipazione dalla dominazione coloniale. Tentativi di dar vita a un movimento indipendentista nei primi decenni del XIX secolo furono soffocati sul nascere e portarono all’intensificarsi delle misure repressive da parte del governo spagnolo. Nel 1868 i liberali creoli guidati da Carlos Manuel de Céspedes insorsero chiedendo la fine della schiavitù e il suffragio universale. Ebbe così inizio la prima guerra di indipendenza, durata dieci anni, che si concluse il 10 febbraio 1878 con l’armistizio di El Zanjón, in base al quale la Spagna concedeva a Cuba l’autonomia amministrativa e la rappresentanza diretta alle Cortes di Madrid, l’amnistia per i prigionieri politici e la graduale abolizione della schiavitù. La pace non durò a lungo. Una grave crisi economica, causata dalla chiusura del mercato statunitense allo zucchero cubano, e la mancata attuazione delle riforme promesse dal governo centrale diedero nuovo slancio al movimento indipendentista. Nel 1895, un gruppo di esuli guidati dal poeta José Martì, fondatore del Partito rivoluzionario cubano, sbarcò sull’isola: la proclamazione a opera dei patrioti di una costituzione repubblicana e la nomina di un governo provvisorio portarono alla seconda guerra di indipendenza. Le difficoltà incontrate dagli spagnoli nel debellare la guerriglia e le reazioni internazionali alla brutalità delle misure repressive adottate nei confronti della popolazione offrirono agli Stati Uniti, che miravano al controllo dell’isola, l’occasione per intervenire nel conflitto. Il 15 febbraio del 1898, prendendo a pretesto l’affondamento nel porto dell’Avana della corazzata Maine, il governo di Washington dichiarò guerra alla Spagna e occupò militarmente Cuba. Il conflitto si concluse nel giro di pochi mesi con il trattato di Parigi, firmato il 10 dicembre 1898. Il 1° gennaio 1899 la dominazione spagnola ebbe termine e Cuba passò provvisoriamente sotto un governo militare statunitense.

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2. Il nuovo stato sotto l’influenza americana

La costituzione repubblicana fu approvata il 12 giugno del 1901: in essa fu inserita una clausola, con la quale gli Stati Uniti ottennero la concessione di alcune basi navali e il diritto, qualora lo ritenessero necessario, di intervenire negli affari interni cubani (“emendamento Platt”, abrogato nel 1934). Nel 1902, dopo il ritiro delle truppe americane, si formò il primo governo indipendente sotto la presidenza di Tomás Estrada Palma. I primi trent’anni della repubblica di Cuba furono contrassegnati da una continua instabilità politica alimentata dalla corruzione e dagli scandali e dai ricorrenti interventi statunitensi per reprimere rivolte e insurrezioni. Sotto il profilo economico, grazie all’afflusso del capitale nordamericano e al miglioramento dei rapporti di scambio con gli USA, si ebbe un sensibile aumento della capacità produttiva ma anche della dipendenza economica e finanziaria dal potente vicino, che divenne il principale destinatario dello zucchero e del tabacco cubani. Le elezioni del 1924 portarono alla presidenza il generale filofascista Gerardo Machado y Morales (1925-33), che instaurò la prima dittatura militare nel paese governando con metodi terroristici. L’opposizione nei suoi confronti crebbe nel periodo della grande depressione e sfociò nella proclamazione di uno sciopero generale, che costrinse Machado alla fuga nel 1933. Emerse in quegli anni la figura di Fulgencio Batista y Zaldìvar, un sergente che con l’appoggio degli Stati Uniti dominò direttamente e indirettamente la politica cubana per oltre un ventennio. Presidente della repubblica nel 1940, sconfitto da un blocco di forze democratiche e costretto all’esilio nel 1944, Batista tornò al potere con un colpo di stato nel 1952 dando vita a un regime autoritario e repressivo che, in cambio di aiuti militari e di protezione politica, si fece tutore degli interessi del capitale americano, che controllava di fatto l’intera economia, e di una ristretta oligarchia interna. La corruzione sfrenata, la violenza messa in atto dalle autorità locali per garantire i propri privilegi e la miseria dei contadini e degli operai spinsero molti giovani di estrazione borghese sulla strada dell’opposizione armata. Nel 1953 un gruppo di intellettuali guidati da un avvocato, Fidel Castro, tentò di provocare un’insurrezione, subito abortita, con l’assalto alla caserma Moncada di Santiago (26 luglio). Imprigionati e successivamente amnistiati, i capi del movimento si rifugiarono in Messico, dove riorganizzarono le proprie forze. Nel 1956 Castro, con un’ottantina di partigiani tra i quali Ernesto Guevara, che divenne uno dei suoi principali collaboratori, sbarcò nella provincia cubana di Oriente. I primi scontri diretti con l’esercito di Batista ebbero esito disastroso e i pochi superstiti, tra cui lo stesso Castro, fuggirono sulle montagne della Sierra Maestra. Da qui prese avvio una guerriglia che, conquistato l’appoggio delle masse contadine, si estese rapidamente a tutto il paese e si concluse il 1° gennaio del 1959 con l’insurrezione dell’Avana e la fuga di Batista.

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3. La rivoluzione castrista

Divenuto primo ministro, Castro varò un programma di politica economica (diversificazione della produzione, riforma agraria, nazionalizzazione delle imprese straniere) che gli alienò il sostegno della borghesia moderata e lo mise in rotta di collisione con gli Stati Uniti. Questi, colpiti nei propri interessi e intenzionati a stroncare sul nascere una rivoluzione che avrebbe potuto estendersi ad altri paesi latino-americani, presero ad appoggiare l’opposizione anticastrista, contribuendo in maniera determinante all’inserimento di Cuba nel blocco sovietico e alla trasformazione della rivoluzione democratica cubana in rivoluzione socialista. Le tappe fondamentali di questo processo furono: la firma di importanti accordi commerciali tra Cuba e l’URSS tra il 1959 e il 1960; la decisione degli USA di attuare l’embargo per tutte le merci dirette a Cuba nel 1960; la rottura delle relazioni diplomatiche tra i due paesi agli inizi del 1961; il fallito tentativo da parte di un gruppo di esuli cubani armati e finanziati dalla CIA, con la tacita approvazione del presidente Kennedy, di sbarcare sull’isola nella baia dei Porci e rovesciare il regime di Castro nell’aprile dello stesso anno; la proclamazione di Cuba “prima repubblica socialista d’America”, avvenuta il 1° maggio 1961, e la sua espulsione nel 1962 dall’Organizzazione degli Stati Americani. L’installazione di rampe missilistiche sull’isola da parte di tecnici militari sovietici nell’ottobre del 1962 portò a una crisi senza precedenti tra Stati Uniti e Unione Sovietica. La prova di forza tra le due superpotenze si risolse con lo smantellamento delle rampe da parte dell’URSS, che compensò Cuba con il rafforzamento degli aiuti sul piano economico e militare. I restanti anni Sessanta furono caratterizzati dal processo di costruzione di una società socialista all’interno e dal tentativo di porsi come punto di riferimento dei movimenti anticoloniali e anti-imperialisti del Terzo Mondo all’esterno. Le crescenti difficoltà economiche dovute all’isolamento, il fallimento dei tentativi di esportare la rivoluzione in America Latina e il processo di distensione internazionale avviato dall’Unione Sovietica segnarono una svolta, agli inizi degli anni Settanta, nella politica estera di Cuba. Al miglioramento delle relazioni con gli Stati Uniti seguì il ritiro delle sanzioni economiche da parte di questi ultimi e il rientro di Cuba nell’OSA nel 1975. Ma nel 1976 l’intervento di militari cubani dapprima in Angola, in appoggio al Movimento popolare di liberazione (MPLA), filosovietico, quindi nei frequenti conflitti interafricani, rinfocolò la tensione con il governo di Washington che rinnovò il blocco economico. Sempre nel 1976 entrò in vigore una nuova costituzione socialista, approvata con referendum popolare, e si tennero le prime elezioni per le assemblee municipali. Nel 1980 esplose la questione dei profughi: in seguito all’occupazione dell’ambasciata peruviana da parte di una folla di cittadini cubani desiderosi di lasciare il paese Castro tolse le restrizioni all’espatrio. Nel giro di pochi mesi circa 120.000 persone emigrarono verso gli Stati Uniti, che protestarono energicamente. Il sostegno dato dal governo cubano ai movimenti rivoluzionari in America Latina e in Africa e le persistenti tensioni con Washington non impedirono la ripresa del dialogo tra i due paesi, favorito dal rinnovato processo di distensione apertosi con l’Unione Sovietica. Nel 1983 Castro si dichiarò disposto a cercare una soluzione negoziale dei conflitti nell’area centroamericana, aderendo all’iniziativa del cosiddetto “gruppo di Contadora” (formato da Colombia, Messico, Panamá e Venezuela). Nel 1984 fu avviato un negoziato sul problema degli espatri clandestini da Cuba verso gli Stati Uniti, che si concluse con un accordo teso a regolare il flusso migratorio. Anche sul problema della presenza militare cubana in Africa Castro assunse un atteggiamento realistico, consentendo al ritiro graduale delle truppe cubane dall’Etiopia e dall’Angola. Sul piano interno, non si ebbero negli anni Ottanta mutamenti di rilievo. Nonostante le difficoltà economiche e il crescente indebitamento del paese nei confronti dell’Unione Sovietica e dell’Occidente, il potere restò saldamente nelle mani di Castro, il quale, nel 1989, in occasione del trentesimo anniversario della rivoluzione cubana, respinse la perestrojka di Gorbacëv e riaffermò la propria fedeltà ai principi del leninismo. Il crollo dell’Unione Sovietica e del suo impero tra il 1989 e il 1991 costituì un colpo gravissimo per il regime castrista, che si trovò privo di importanti aiuti economici e dell’appoggio sovietico. Il che aggravò la già pesante situazione economica di Cuba, determinando la fuga di molte migliaia di persone, giunte con ogni mezzo in Florida. Le tensioni con gli Stati Uniti restarono molto forti. Nel 1996 gli americani inasprirono le sanzioni economiche, stabilendo penalità per le imprese anche non statunitensi che facessero investimenti a Cuba. Le gravi difficoltà economiche indussero Castro a introdurre nel sistema economico elementi dell’economia di mercato e a incoraggiare gli investimenti stranieri. Un successo per Castro fu nel 1998 la visita nel paese di papa Giovanni Paolo II, il quale, se per un verso rivolse aperte critiche al regime per il suo disconoscimento dei diritti di libertà politica e religiosa, per l’altro espresse una ferma condanna dell’embargo americano nei confronti di Cuba, alcune clausole del quale furono abolite nel 1999 dal presidente americano Bill Clinton. Nei primi anni Duemila, nonostante la perdurante condizione di isolamento internazionale, Cuba poté beneficiare di un importante accordo commerciale con il Venezuela di Hugo Chávez. Nel 2005 le precarie condizioni di salute di Castro sollecitarono la questione della successione al potere e, a distanza di un anno, il fratello di Castro, Raúl, assunse provvisoriamente il potere. Nel 2008 l’Assemblea Nazionale elesse Raúl Castro Ruz quale nuovo leader del paese. Quest’ultimo avviò un graduale ma significativo processo riformistico, favorendo una moderata privatizzazione dell’economia e allentando la stretta del regime sulla società. A questi primi provvedimenti seguì nel giugno del 2008 l’annullamento delle sanzioni economiche da parte dell’Unione Europa. A seguito di alcune dichiarazioni dello stesso Fidel Castro, nel luglio 2011, l’assemblea nazionale approvò una serie di nuove misure rivolte a favorire una progressiva liberalizzazione dell’economia, soprattutto nei settori dell’agricoltura, dei trasporti e delle costruzioni.
Dopo esser stato rieletto alla presidenza dello stato nel febbraio 2013, Raul Castro annunciò la sua intenzione di ritirarsi nel 2018, cioè alla scadenza naturale del suo mandato.

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