Croce, Benedetto

(Pescasseroli, L’Aquila, 1866, † Napoli 1952). Filosofo, critico letterario e storico italiano. Principale esponente, con G. Gentile, del neoidealismo italiano. Opere principali: Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale (1902), Logica come scienza del concetto puro (1905), Filosofia della pratica (1909), Teoria e storia della storiografia (1917), Storia d’Italia dal 1871 al 1915 (1928), Storia dell’età barocca in Italia (1929), Storia d’Europa nel secolo XIX (1932), La storia come pensiero e come azione (1938). Discepolo di Bertrando Spaventa e di Antonio Labriola, dopo un giovanile interesse per il marxismo, che presto criticò per l’ingiustificata pretesa di fondare sull’economia una scienza oggettiva dello sviluppo storico-sociale (Materialismo storico ed economia marxista, 1900), elaborò il proprio sistema filosofico, di impianto neoidealistico e antipositivistico. Fondò con Gentile nel 1903 la rivista “La Critica”, dalle cui pagine intervenne autorevolmente nei numerosi campi dei suoi interessi culturali e artistici. Liberale convinto, fu ministro della Pubblica istruzione nel governo Giolitti del 1920-21. Dopo iniziali simpatie per il fascismo, dall’aprile del 1925 – quando rispose polemicamente a un Manifesto degli intellettuali del fascismo redatto da Gentile con un “contromanifesto” inneggiante ai valori della tradizione liberale – divenne un risoluto oppositore del fascismo, allontanandosi per questo dal suo vecchio collega. Fece al regime un’opposizione morale e culturale, non impegnata nella costruzione di un movimento politico e perciò tollerata. Dopo la liberazione fu presidente del ricostituito Partito liberale italiano fino al 1948. Con la sua “filosofia dello spirito” riformò la dialettica hegeliana, rivalutando, accanto al momento dell’opposizione, quello della distinzione tra le forme della vita dello spirito. Sottolineò in particolare l’autonomia dell’arte, cui dedicò grande attenzione, e dell’economia – comprendente, in quanto scienza dell’utile, anche il diritto, la politica e le scienze – dalla morale. Sostenne inoltre uno “storicismo” assoluto, secondo il quale la storia è l’unica realtà e la comprensione storica l’unica vera conoscenza. Se in Teoria e storia della storiografia aveva sostenuto il carattere “giustificazionistico” della storiografia, che ha il compito conoscitivo di cogliere la necessità logica presente nella realtà storica (in ciò identificandosi con la filosofia), in Storia come pensiero e come azione, mosso anche dall’esigenza di affiancare alla necessità teoretica di comprendere il fascismo quella etica di combatterlo, affermò l’autonomia dal conoscere, che nell’atto di comprendere “giustifica” ogni accaduto, dell’agire storico, le cui motivazioni possono essere economiche (cioè utilitarie e legate a fini particolari) o etiche (quindi proiettate verso fini universali). Dalla lezione di Machiavelli trasse l’indicazione che la politica è essenzialmente conflitto di interessi e che lo stato, lungi dall’essere sostanza etica come pensava Hegel, sia mediazione tra individui concreti, una complessa sintesi di forza, consenso, libertà e autorità. Convinto che la storia sia una progressiva realizzazione della libertà, pensò che i periodi in cui questa viene negata, come durante il fascismo, siano solo parentesi transitorie. In particolare spiegò il fascismo come frutto di una “malattia morale” prodotta dalla tragedia della prima guerra mondiale.