commercio

Per commercio si intende lo scambio di merci con altre merci oppure di merci contro denaro, che può essere svolto su piccola o grande scala. Il commercio è tanto più sviluppato quanto più da un lato sono sviluppati i centri di produzione di beni e i mezzi di trasporto e dall’altro più libero è il regime degli scambi a livello interno e internazionale.

  1. Dall’antichità al medioevo
  2. L’età moderna
  3. L’età contemporanea
1. Dall’antichità al medioevo

Le origini del commercio risalgono a varie migliaia di anni prima di Cristo e sono da collocarsi nell’area tra Asia e Africa popolata da sumeri, assiri, babilonesi ed egiziani. Dopo che tra il III e il II millennio a.C. il Mar Egeo aveva visto emergere importanti flussi di scambio, nel XII secolo si ebbe l’inizio della ascesa del primo grande popolo commerciale dell’antichità, i fenici, che costruirono i loro maggiori centri ad Acri, Tiro, Sidone, Cartagine. I fenici, grandi esploratori, erano in grado con le loro navi di organizzare il trasporto a notevoli distanze. Ai fenici fecero seguito a partire dall’VIII secolo le città ioniche dell’Asia minore e i greci. La distruzione nel 146 a.C. di Cartagine, grande centro commerciale, indusse i romani, fino ad allora poco sviluppati nelle arti marittime, a diventare un popolo, oltre che agricolo, anche commerciale. Nell’antichità il commercio si svolgeva combinando il trasporto marittimo con quello animale. Il commercio internazionale tra Europa e Asia per quanto riguardava i beni di lusso era essenzialmente alimentato dalle esigenze delle classi elevate. Ma l’insufficienza alimentare di Roma, che costruì il proprio porto principale a Ostia, costituì un fattore importante nell’espansione del commercio relativo soprattutto all’importazione di grano, specie dall’Egitto. Il crollo dell’impero romano, le invasioni barbariche e la sparizione o il grande restringimento dell’economia monetaria in Occidente determinarono una caduta drastica del commercio a lunga distanza, che mantenne il suo centro nel Mediterraneo orientale e nell’impero bizantino. Perché in Occidente il commercio potesse rifiorire fu necessario attendere la ripresa dell’economia nel tardo medioevo. Fu quello il periodo anzitutto dell’emergere delle repubbliche marinare italiane e in primo luogo di Venezia e di Genova, le cui flotte diventarono il veicolo della rinascita commerciale in Occidente in direzione del Medio Oriente. Si affermarono anche centri produttivi e finanziari come Milano, Firenze e Lucca.

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2. L’età moderna

L’incremento commerciale nei secoli XII-XV fu il prodotto di un insieme di fattori concomitanti quali la ripresa delle città, la maggiore produzione di beni, l’allargamento della rete delle comunicazioni sia per terra sia per mare e il miglioramento delle tecniche di pagamento. Accanto alle repubbliche marinare una funzione di primato commerciale ebbe nell’Europa settentrionale, a cavallo tra la fine del medioevo e l’inizio dell’età moderna, la Lega delle città anseatiche, tra cui facevano spicco Lubecca e Amburgo, che inserirono la Russia nei circuiti di scambio. Il commercio non marittimo aveva i suoi centri principali nelle fiere, le maggiori delle quali avevano sede in Francia. L’espansione ottomana rese sempre più difficili le rotte commerciali con l’Oriente. Di qui la spinta dei paesi europei occidentali a cercare nuove rotte per raggiungere l’Estremo Oriente, la quale fu alla base delle grandi navigazioni e delle scoperte geografiche promosse principalmente da Portogallo e Spagna e culminate nel 1486, quando venne doppiato il Capo di Buona Speranza, e nel 1492, quando fu scoperta l’America. Ne derivò una rivoluzione che avrebbe avuto come suo effetto nel tempo di spostare, seppure relativamente, il centro del commercio marittimo dal Mediterraneo all’Atlantico in concomitanza con la formazione, a partire dal XVI secolo a opera di Portogallo, Spagna, Inghilterra, Paesi Bassi e Francia, di grandi imperi extraeuropei che per certi aspetti possono essere definiti commerciali, rivolti sì a sviluppare i traffici ma anche a stabilire delle limitazioni e persino dei monopoli nazionali nei rapporti tra colonie e madrepatria. Straordinaria divenne nei secoli XVI e XVII la potenza commerciale olandese. Per favorire il commercio le grandi monarchie costituirono delle compagnie protette dallo stato. I contrasti legati agli interessi commerciali diventarono uno dei maggiori motivi delle guerre tra gli stati. L’esigenza di disporre nelle piantagioni americane e asiatiche di forza lavoro a basso costo su vasta scala ebbe come conseguenza l’incremento del commercio degli schiavi neri, che a partire dalla fine del XV secolo andò crescendo a dismisura e venne praticato da inglesi, olandesi, spagnoli, portoghesi e francesi. Il desiderio dei singoli stati di evitare una bilancia commerciale sfavorevole portò nel XVII secolo al diffondersi delle dottrine mercantilistiche, secondo le quali era indispensabile che le esportazioni verso un altro paese superassero le importazioni, mettendo in atto politiche protezionistiche e rivolte a favorire l’afflusso dei metalli preziosi e a limitarne la fuoriuscita. Il mercantilismo e il protezionismo vennero criticati teoricamente nella seconda metà del XVIII secolo dalle dottrine, esposte anzitutto da A. Smith, favorevoli a incrementare la ricchezza delle nazioni mediante la libertà commerciale.

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3. L’età contemporanea

Una nuova rivoluzione di grande portata nel commercio, paragonabile a quella determinata dalle grandi scoperte geografiche, fu quella prodotta dalla rivoluzione industriale. Quest’ultima, nel corso della sua intensificazione, creò le condizioni per una sempre maggiore produzione di merci nell’ambito di una più accentuata e diffusa divisione del lavoro internazionale. Inoltre, lo sviluppo demografico e l’innalzamento del livello di reddito delle masse nei paesi industrializzati allargarono enormemente la domanda di beni che l’industria era ormai in grado di soddisfare. L’anima del commercio internazionale non fu più lo scambio di beni per le classi alte e medie ma quello che coinvolgeva masse crescenti. Tali tendenze si accentuarono nell’Otto-Novecento. Il paese guida dell’industrializzazione e quindi anche del commercio internazionale fu per gran parte del XIX secolo la Gran Bretagna, fino a che essa venne raggiunta e quindi superata dagli Stati Uniti e dalla Germania. L’Inghilterra, forte della sua supremazia, divenne la patria del libero scambio, che l’avvantaggiava enormemente. Il commercio internazionale aumentò in maniera straordinaria grazie allo sviluppo delle ferrovie e della navigazione a vapore. Se non che quando l’industrializzazione andò estendendosi dalla Gran Bretagna, i paesi industriali più giovani sentirono l’esigenza di ricorrere a una legislazione protezionistica, che si diffuse nella seconda metà del XIX secolo a difesa dei propri prodotti, solitamente più cari. Inoltre, le grandi concentrazioni economiche e gli stati industriali entrarono in competizione per la conquista di mercati, così che le esigenze industriali e commerciali diventarono una componente decisiva del colonialismo e dei contrasti imperialistici dell’età contemporanea (imperialismo). Le difficoltà insormontabili nel disciplinare con reciproco vantaggio il commercio nell’ambito di un’economia mondializzata furono fattori determinanti dello scoppio delle guerre mondiali e della catastrofica crisi economica del 1929. Nel corso degli anni Venti e Trenta si assistette all’emergere del Giappone sulla scena commerciale mondiale. Dopo il 1945 la questione del commercio internazionale venne percepita come decisiva ai fini non solo dello sviluppo economico ma anche del mantenimento della pace. Espressione di grande importanza della volontà di creare nuove condizioni fu la stipulazione nel 1947 del General Agreement on Tariffs and Trade (GATT), originariamente sottoscritto da 23 paesi e rinegoziato in seguito varie volte, il quale era rivolto a facilitare gli scambi riducendo le barriere doganali. La liberalizzazione degli scambi fu alla base del processo di integrazione dell’Europa occidentale a partire dalla costituzione nel 1957 della Comunità Economica Europea e di altre organizzazioni internazionali. I paesi a regime comunista dell’Unione Sovietica e dell’Europa orientale formarono nel 1949 il Council for Mutual Economic Assistance (COMECON). Di grande importanza fu anche il North American Free Trade Agreement (NAFTA), firmato nel 1992 da Stati Uniti, Canada e Messico ed entrato in vigore al principio del 1994, che diede vita a una enorme area di libero scambio.

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