colonizzazione

Lessicalmente indica la riduzione a “colonia” (dall’identica voce latina) da parte di un determinato paese o stato di territori esterni, ovvero l’adattamento di questi siti all’accoglimento di popolazioni provenienti dalla madrepatria con lo scopo di metterne a frutto le caratteristiche agricole, mercantili, minerarie, ecc. Tuttavia il concetto, presente fin dalla storia antica – con riferimento ai popoli colonizzatori per eccellenza, quali furono in particolare i fenici, i greci e i romani – si caricò col tempo di significati diversi, di modo che appare necessario distinguere tra il tipo di colonizzazione antica e quella moderna e contemporanea. Se per quella antica prevalse la modalità di costituzione di colonie con cittadini che creavano una comunità legata da rapporti stretti di cittadinanza e di civiltà con la madrepatria, per l’epoca moderna la colonizzazione si sviluppò per lo più lungo le linee disegnate dalla storia del colonialismo, ossia attraverso lo sfruttamento delle risorse e dei popoli arretrati dell’Africa, dell’Asia e delle Americhe da parte delle potenze europee, tecnologicamente più forti ed evolute. In tal caso la colonizzazione si confonde col colonialismo più aggressivo (salvo eccezioni dovute a comportamenti civilizzatori legati a peculiari approcci pacifici di tipo religioso o etico) e sottintende la sottomissione violenta delle popolazioni colonizzate. Essa ebbe termine nella seconda metà del Novecento con il compimento del processo di decolonizzazione, che tuttavia, attraverso il neocolonialismo, non esclude il persistere di posizioni e atteggiamenti di superiorità economico-culturali.